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Libri. “Bassofondo”, letteratura e socialità nel fascista di sinistra Marcello Gallian

by Michele De Feudis
15 Novembre 2012
in Libri
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La letteratura del Ventennio ha subito una vera damnatio memoriae. Sono stati esclusi dalle antologie autori scomodi e irriducibili al gioco democratico del dopoguerra, la cui poetica era di valore indiscutibile, mentre si sono salvati gli scrittori che dal fascismo si erano convertiti alle “magnifiche sorti e progressive”. In questo novero non poteva rientrare Marcello Gallian, intellettuale romano tra i più irregolari del novecento, nato nel 1902 e morto nel 1968 poverissimo, dopo aver trascorso gli ultimi anni di vita barcamendosi per sbarcare il lunario, arrivando anche a vendere sigarette di contrabbando alla stazione Termini.

Era un rivoluzionario, un fascista di sinistra fino al midollo, Gallian. Da pochi giorni è tornato in libreria il romanzo “Bassofondo” (pp. 191, euro 12,50) per l’editore Marsilio: l’opera ebbe un destino controverso, pubblicata nel 1935, fu poi ritirata e riapparve con numerosi tagli e un nuovo titolo “In fondo al quartiere”. La satira feroce contro le mollezze della borghesia, anche dopo la censura, rimaneva il centro della narrazione. Gallian, del resto, aveva preso parte all’impresa di Fiume, era stato prima sansepolcrista e poi tra le camicie nere della Marcia su Roma. Collaborava con la rivista “900” di Massimo Bontempelli e al Teatro degli Avanguardisti di Anton Giulio Bragaglia. Non auspicava nessuna moderazione del regime, e per questo fu emarginato nonostante Mussolini lo aiutasse finanziariamente. “Il fascismo di Gallian – scrive Pietrangelo Buttafuoco nella prefazione – è, senza dubbio, quello socialista e più sinceramente mussoliniano. S’identifica, infatti, con un vitalismo istintivo, primitivo, puro, utopistico, che lo porta ad interessarsi degli strati più umili, a quella sorta di proletariato pre-industriale condannato a vivere in vicoli maleodoranti, pregni di una umanità sporta, istintiva, destinata a consumare la sua esistenza ai margini della storia. E’ il collante di quell’idea tutta italiana della strada e dell’irruenza che troverà vita per poi svanire nella tragica stagione della Repubblica Sociale Italiana, nell’ultimo Mussolini restituito al socialismo originario, quello dei bassifondi da dove ha origine ogni emancipazione”.

I romanzi di Gallian hanno la freschezza di affresco popolare dell’anima inquieta delle borgate, dove risaltano sorprendenti e autentiche lezioni di sopravvivenza. I protagonisti di “Bassofondo” sono il giovane bulletto Giovanni Battista Timorato Dio e la bottegaia Lisa Matrona, venditrice di merletti quasi sulla cinquantina. Tra loro nasce una relazione ossessiva, legata a giochi di potere nella coppia e al rapporto con l’opinione pubblica: una vedova e un attaccabrighe nemmeno ventenne generavano fisiologicamente materiale per il chiacchiericcio dei commercianti della zona. Dalla storia, però, emerge con nitidezza l’energia liberatoria della scazzottata, sublimata nell’aggressività febbrile celebrata dai futuristi. Così Giovanni, dopo aver riservato una ospitalità autentica a un maresciallo eritreo offrendogli la cena, aveva dato inizio a una furiosa zuffa descritta mirabilmente: “Fu un tafferuglio: insolenze, improperi, odi di tutta la giornata scoppiarono: i padri affidarono i figli alle donne, li difesero con barricate di sedie, armarono le femmine di bicchieri e bottiglie ad ogni evenienza: poi si lanciarono contro il giovane che s’era alzato di scatto e, impugnata una sedia, la roteava in aria, perfettamente, a mulinello, senza scomporsi”.

Gallian, infine, rappresenta in pieno lo stile che lo scrittore Pino Tosca definiva proprio del “fascismo povero” e lo storico Enrico Landolfi inquadrava nel “fascismo bello”, perché non inseguiva alcuna legittimazione sociale che non fosse il riconoscimento dell’essere differente. Una lezione di grande attualità in tempi grami di intollerabili sbracature politiche. L’autore romano, infatti, aveva una poetica non conformista: “Non concedo e non concederò mai il minimo piacere al pubblico, la minima vanità di scrittore a me stesso. Certi lussi, degni di tempi borghesi – scriveva nella prefazione de “Il soldato postumo” – abbandono volentieri agli anziani ispessiti pedagogisti di ogni letteratura. Disdegno dunque la ricerca del plauso”. E non a caso, Sibilla Aleramo, aveva una predilezione per il fascista rosso al punto da confessargli: “Lei è il solo scrittore che qualche volta invidio”.

*dal Secolo d’Italia dell’11 novembre 2012

Michele De Feudis

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