Sul Barbadillo, Maurizio Cabona sta interrogando giornalisti e intellettuali con senso storico (Franco Cangini, Roberto Giardina, Nico Perrone, Vittorio Savini…) sul declino nazionale. Anche gli accademici hanno tentato di spiegare perlomeno la crisi della Repubblica. Ma nessuno s’è spinto indietro fino alle modalità di nascita della stessa.
Anzitutto le forze politiche che questa Repubblica vollero erano in maggioranza movimenti anti-risorgimentali: marxisti e clericali. Essi ereditarono lo Stato unitario, da essi non voluto. Mi vengono in mente certi bellissimi palazzi di Pola o di Fiume, in degrado fino a pochi anni fa perché svuotati da chi li volle: costruiti da italiani, erano abitati da croati, a loro estranei.
Inoltre le modalità di nascita della Repubblica lasciano a desiderare. Si parla spesso di colpi o colpetti di Stato nella storia repubblicana: moti genovesi ed emiliani che fecero cadere il governo Tambroni, avviso di garanzia notificato a Berlusconi a Napoli, vicende giudiziarie dell’attuale magistratura corrotta e politicizzata… Ma si dimentica che la Repubblica stessa è nata da un colpo di Stato. Senza aspettare i risultati definitivi del referendum, il primo governo De Gasperi proclamava la Repubblica. Uno sfregio giuridico e politico.
Le ideologie che vanno al potere, diciamo così, nel secondo dopoguerra, non amano lo Stato unitario, non amano il principio di Nazione e smantellano gli stessi, istituendo le Regioni, a statuto speciale e ordinario, poi esaltando il “particulare”, col declinare della stessa lingua italiana, imbastardita dall’introduzione di termini stranieri (anglo-americani), fra la noncuranza dei governi. Da ultimo si esaltano gli Stati preunitari, del tutto indifendibili, volendosi sfasciare l’Unità, con ricostruzioni storiche senza fondamento. Si è giunti ad autorizzare, da parte del Ministero della Difesa, la posa – nel forte di Fenestrelle – di una lapide che parla di migliaia di soldati napoletani ivi morti di stenti, quando la verità è di due-tre morti e di detenzione di un mese. Si spacciano per verità le fantasie di Civiltà cattolica dell’epoca (1860-1870). Del resto Francesco Crispi scriveva: “Repubblica in Italia vuol dire le repubbliche” e “La monarchia ci unisce, la repubblica ci dividerebbe”.
L’abolizione dell’istituto monarchico ha rotto l’ultimo legame con il Risorgimento e i suoi ideali, di cui la Monarchia fu la maggiore artefice. Per Piero Operti, “con la sua sola presenza il Re, impersonante una suprema autorità derivata dall’alto e riconosciuta dal basso, attesta l’esistenza di un ordine etico. La Monarchia è per assunto la custode dei valori morali di un popolo e quindi è organicamente incompatibile col materialismo storico che fa della sola economia il destino dell’uomo. La Monarchia non disconosce il dato economico, ma lo tiene ‘dentro sua meta’; essa accoglie ogni esigenza di giustizia sociale (…); essa può essere rivoluzionaria senza sovvertimenti e conservatrice senza reazioni, e nella sua funzione mediatrice delle età e conciliatrice degli interessi è tradizionale in quanto gelosa dei valori consacrati dai secoli e ancora vitali, e innovatrice in quanto aperta ad ogni istanza di vero progresso”.
Mai questa Repubblica, per quel che ricordo, ha avuto un soprassalto di orgoglio, di dignità. Chi predicava rispetto, amore, sacrificio per la terra dei padri era odiato dalle sinistre e deriso dai clericali. Alcide De Gasperi, “il trentino prestato all’Italia”, li definì “le povere anime patriottarde”.
I protagonisti politici di allora instaurano una prassi che si sviluppa con l’invecchiare della Repubblica. Pietro Nenni usa lo slogan:”La repubblica o il caos”, Giovannino Guareschi viene perseguitato perché denuncia la corruzione della Dc. Il referendum stesso si svolge con modalità inaccettabili: Venezia Giulia, Pola, Fiume e Zara, provincia di Bolzano, italiani delle colonie, italiani all’estero, prigionieri di guerra non ancora rientrati non sono ammessi al voto. Palmiro Togliatti, ministro della Giustizia, rallenta il rientro dall’Urss dei soldati prigionieri per impedire la diffusione della verità sui paesi sovietici. Voci di brogli circolano ovunque, nessun controllo successivo permette di accertare il vero. Anzi tutti i documenti vengono distrutti.
La violenza delle sinistre intimidisce ampi strati della popolazione. Intere regioni sono in mano ad ex partigiani comunisti, diventati bande armate di assassini. La promessa di sottoporre ad approvazione popolare la Costituzione, non viene mantenuta. “La più bella costituzione del mondo”? E’ opera di un’assemblea di politicanti che la impronteranno di sé. Non si tiene il referendum confermativo, perché si teme la reiezione. La nuova Italia nasce così senza il consenso popolare.
Questi eventi colpiscono al cuore il regime. Anche gli accademici latitano, temono il potere o temono di perdere i privilegi conquistati. Sono solo storici di regime, che magari affermano tesi contrarie a quelle pubbliche, ma solo parlando all’orecchio del collega in Consiglio di facoltà. Il direttore del mio Istituto, alcuni anni fa, mi donò un suo libro “adottato da dodici facoltà”. Non vi era cenno del trapasso istituzionale. Meravigliato, volevo parlargliene. Mi si telefonò alla sera, scongiurandomi: “Se tieni alla carriera, non farlo”.
*docente universitario