L’autogestione è finita. Parola di Silvio. E, forse, stasera rinascerà Forza Italia: un primo passaggio almeno. Questa la decisione dopo due giorni di incontri dove l’ex premier ha cercato ancora una volta di tenere unito il partito in vista di una via crucis giudiziaria che non accenna a concludersi. Alla fine ha dovuto arrendersi all’evidenza: stando così le cose esistono due partiti dentro il Pdl-Forza Italia. Un cammino diverso, quello che immaginava Berlusconi. Una Forza Italia che sarebbe dovuta nascere nella “concordia” e all’insegna della centralità della sua battaglia giudiziaria.
Le cose, però, sono andate diversamente: da una parte le inquietudini dei “falchi”, dall’altra la preoccupazione delle “colombe”, tutti sulla carta preoccupati di salvare il Cavaliere e il progetto politico ma per strade sempre più divergenti. Alla fine però – dopo lo choc della fiducia “scippata” dai governativi, le nuove inchieste, l’interdizione “lampo” e il voto sulla decadenza – Berlusconi ha deciso che sarà lui a tentare di salvare se stesso: si rimetterà a capo del partito, senza ulteriori cariche, in modo «da capire chi sta con me e chi rema contro».
Il leader, infatti, ha compreso come la pace sancita dopo la giornata “terribile” del voto di fiducia a Letta di fatto è impossibile: lo dimostra la “disobbedienza” agli ordini di Berlusconi («non litigate sulle agenzie di stampa», «non andate in televisione» ), e lo ha reso evidente l’incauto “assist” del Pd con l’elezione-forzatura di Rosy Bindi alla Commissione nazionale Antimafia: gesto che ha contribuito a colpire la credibilità dei sostenitori bipartisan delle larghe intese e riattivare la voglia di caccia dei falchi. Due giorni fa, infatti, i “lealisti” hanno dato la prova di forza arrivando quasi a sfiduciare il ministro delle Riforme Gaetano Quaglieriello.
Uno scambio di colpi davanti al quale il Cavaliere non ha potuto non reagire. Regista dell’operazione “azzeramento” un redivivo Denis Verdini che avrebbe messo in opera un meccanismo infallibile: la riunione di un ufficio di presidenza (a norma di statuto del Pdl) dove a votare sarebbero in 24, dei quali solo 5 in quota “governativi”. Di fatto una potenziale trappola per la truppa che guarda alla “responsabilità”. L’obiettivo del capo, però, non è solo quello di riprendere in mano il partito (il cui unico vertice sarebbe lui, ovviamente), ma anche di non umiliare Alfano (si cerca di non “azzerarlo” del tutto) e di mantenere anche la fiducia al governo – a meno di novità sul fronte fiscale.
Il problema a questo punto è: come reagirà Alfano? Le opzioni, come si narra tra analisti, sarebbero tre: accettare la volontà di Berlusconi, creare un partito “di governo” gemellato con quello di “lotta” oppure accettare di mettersi a capo del Ppe italiano in rotta con il centrodestra del suo maestro. Ancora una volta, come in un fatale gioco da tavola, il dado ritorna al delfino: sarà questione anche oggi di “quid”?
@rapisardant