Se oggi, a distanza di oltre sessant’anni, è possibile provare a riscrivere un pezzetto di storia italiana, è merito anche di persone come Giorgio Pisanò, giornalista e politico del vecchio Msi, scomparso il 17 ottobre di quindici anni fa. E Giampaolo Pansa, giornalista onesto e coraggioso, l’ha sempre riconosciuto. E’ stato lui, Pansa, a rendere patrimonio collettivo di una nazione una verità storica che in precedenza era stata appannaggio di poche migliaia di italiani ostinati. Ostinati lettori di ostinati piccoli autori storici come Pisanò, che diffondevano quasi clandestinamente le loro opere.
“Il sangue dei vinti”, uscito nel 2003, ha squarciato il velo di omertà che teneva ostaggio un’intera nazione; così come in seguito hanno continuato a fare “Sconosciuto 1945” (2005), “La grande bugia” (2006) e “I gendarmi della memoria” (2007). Ma questi libri fondamentali non sarebbero mai stati scritti se prima non ci fossero state le opere di Pisanò: “Sangue chiama sangue” (1962), “Storia della guerra civile in Italia” (1965) e il più recente “Il triangolo della morte” (1992).
Nato a Ferrara nel 1924, figlio di un funzionario pubblico di origine pugliese, Giorgio Pisanò brucia la “prima” delle sue vite combattendo con l’impeto dei vent’anni la guerra persa della Rsi, prima nella X Mas, poi con le Brigate Nere, infine, dopo il 25 aprile, con gli ultimi sbandati nel ridotto della Valtellina. Arrestato dai partigiani il 28 aprile del 1945 finisce in carcere a Sondrio e poi per un anno e mezzo in un campo di concentramento a Terni. Liberato nel novembre del ’46, è tra i fondatori dell’Msi a Como.
Ma è l’anno successivo che inizia la sua “seconda” vita, quella di giornalista. Lavora al settimanale “Meridiano d’Italia”, poi passa al rotocalco “Oggi”, di Edilio Rusconi, dove comincia a raccogliere materiale e testimonianze sul periodo della guerra civile e sul famoso mistero dell’oro di Dongo. Scrive anche su un altro settimanale Rusconi, “Gente”. Nel 1963 lancia la rivista “XX Secolo”, dove pubblica inchieste scottanti su vari enigmi italiani, fra cui la morte di Mattei. Nel 1968 resuscita e dirige il famoso settimanale “Candido”, fondato da Giovannino Guareschi, che porterà regolarmente in edicola fino al 1992.
L’attività di giornalista si interseca poi con la sua “terza” vita, quella di parlamentare. Nel 1972 viene eletto in Senato nelle file dell’Msi e vi rimarrà per cinque legislature, fino al 1992, partecipando fra l’altro a commissioni delicate come quella di Controllo sulla Rai, la Commissione Antimafia e quella che indagò sulla Loggia P2. Nel ’91, pochi anni dopo la morte di Almirante, lascia l’Msi e fonda un suo partito, Fascismo e Libertà, ricoprendo anche la carica di consigliere comunale a Cortina d’Ampezzo. Nel ’95, dopo la “svolta di Fiuggi”, aderisce al progetto di Pino Rauti per dar vita alla Fiamma Tricolore, partito che abbandonerà presto anche per il peggioramento delle sue condizioni di salute. Muore a Milano il 17 ottobre del 1997 dopo una lunga malattia.
La sua ultima avventura editoriale risale al 1994, quando aveva fondato il mensile “Seconda Repubblica”. Sottotitolo: “Periodico dei fascisti e dei produttori per la democrazia corporativa”. I bersagli erano ben chiari e lo stesso Pisanò li individuava in un’intervista al Corriere della Sera: “Fini e i suoi uomini”. “Sono un giornalista d’ assalto, non un intellettuale – commentava in quella circostanza – La logica, il buon senso e i miei settant’anni mi consigliavano di starmene tranquillo. Ma la logica e il buon senso non hanno mai avuto un ruolo determinante nella mia vita”. Comunque si giudichi l’uomo Giorgio Pisanò e la sua cinquantennale attività politica e giornalistica, è stato un personaggio genuino, disinteressato, che merita un posto nella galleria ideale di chi preferisce cantare “fuori dal coro”.