Ma dove vuole arrivare Angelino Alfano? Se lo chiedono, da giorni, sodali (e fratelli coltelli) di partito, osservatori e, in qualche modo, lui stesso. Se l’è chiesto, a dire il vero, Silvio Berlusconi in primis: «Mi ha tradito?». Alla fine – a qualche giorno dalla seduta drammatica che ha determinato la “non sfiducia” al governo – inizia a dipanarsi l’obiettivo dell’ex delfino diventato uomo: non è quello di mollare il suo padrino politico, almeno per il momento, né tantomeno quello di “volare” da solo. Ma andiamo con ordine. Per il soliti maligni, la scelta di “rompere” il fronte berlusconiano da parte del vicepremier – a pochi giorni da quel voto in Giunta che ha decretato il penultimatum al Cavaliere – sarebbe stato frutto di un progetto nato il dicembre scorso all’interno di quell’opzione chiamata Italia popolare: la reunion con la quale i moderati del Pdl intendevano traghettare il centrodestra dal carisma berlusconiano alla teutonica sobrietà del Ppe.
È lì che in molti hanno visto la genesi di quella pattuglia di parlamentari – guarda caso tutti i ministri in quota dell’attuale Pdl – che non vedrebbe l’ora di sbarazzarsi della presenza ingombrante di Berlusconi per abbracciare quell’orizzonte “moderato” con il quale, soprattutto fuori dai confini nazionali, si intende “normalizzare” il centrodestra italiano. Obiettivo reale, quello dei tifosi del Ppe italiano, ma non sembra – almeno a giudicare dalla pazienza tutta democristiana dell’ex Guardasigilli – un obiettivo possibile nel breve raggio per colui che viene considerato il leader naturale di questo processo.
Sconfessata o rimandata l’opzione “ribaltonista”, non resta che ammettere, allora, che il “quid”, in questo caso, Angelino l’ha trovato: costringendo per la prima volta Berlusconi ad ammettere l’esistenza di una fronda organizzata, e salvando, con tutta possibilità, il “caro leader” dal vortice che si sarebbe abbattuto sulla sua persona se il Pdl avesse staccato la seconda spina in due anni ai governi di emergenza. Ma soprattutto Alfano è riuscito a far ricredere il capo che, sì, «Angelino è il migliore» e quindi «di lui non si può fare a meno».
Ha capito perfettamente Alfano che cosa vuole. Di certo non un partitino stile quello tentato da Gianfranco Fini. Per questo l’opzione parlamentare – in realtà caldeggiata dagli inquieti neocentristi – è stata stoppata da lui stesso. No, Alfano vuole ri-prendersi il Pdl-Forza Italia: ciò che reputa suo e che è stato, da quando è vicepremier, scippato da falchi, pitonesse e affini. E tutto questo intende farlo con un potentato reale – la quota Cl all’interno del partito – e con il gioco di rimbalzo che gli viene dal “riconoscimento” di Enrico Letta e di Giorgio Napolitano da una parte e dal Pd, interessato a disarticolare il partito di Berlusconi, dall’altro.
Una partita rischiosa per Alfano, questa, che viene da subito contesa – perché compresa – da un altro ex enfant prodige (nonché ex amico proprio di Alfano) come Raffaele Fitto che ha chiesto infatti un congresso per far emergere i numeri e la reale portata della fronda popolare all’interno del Pdl. Un’uscita, quella di Fitto, che ha scosso il partito e innervosito lo stesso Berlusconi che ha stoppato l’iniziativa e blindato il suo ex delfino perché sa bene di essere uscito indebolito dalla batosta. E perché sa bene di non potersi privare di una pattuglia che – traditori o meno – gli permette ancora un’agibilità all’interno di un governo uscito rafforzato dalla crisi, in tutte e due i sensi, grazie proprio ad Angelino: quello che, in tutto è questo, è entrato colomba ed è uscito leader. Anche se gli costa maledettamente ammetterlo che sia andata proprio così: parliamo di Silvio ovviamente….
@rapisardant