«La somministrazione di dosi crescenti di austerità e rigore al singolo Paese, e soprattutto se incentrata sull’aumento del prelievo fiscale, si rivela, alla prova dei fatti, una terapia molto costosa e, in parte, inefficace, e che neppure offre certezze circa il definitivo allentamento delle tensioni finanziarie».
E ancora: «Particolare attenzione dovrà essere posta alla previsione di meccanismi incentivanti e sanzionatori per la gestione delle partecipazioni azionarie in società degli enti locali in crisi». E questo «per facilitare da un lato la gestione di eventuali esuberi occupazionali e dall’altro i processi di dismissione evitando che questi si traducano in svendite del patrimonio pubblico».
Il calo del Pil «è stimato al 2,4% (contro il -1,2% del Def di aprile), ma sorprende soprattutto la diminuzione dell’1% del prodotto anche in termini nominali: un risultato eccezionalmente negativo che, storicamente, si era verificato solo nel 2009, l’anno centrale della grande recessione». Per compensare il forte calo della domanda aggregata che trascina in basso il Pil «è necessario rafforzare la strategia per la crescita, affidando ad essa obiettivi più ambiziosi di quelli finora adottati».
Poi l’affondo finale: la spesa delle famiglie si è contratta a metà del 2012 del 4%. Un dato che è «presumibilmente destinato a peggiorare nella seconda parte dell’anno e nei primi mesi del 2013».
Non sono parole di Beppe Grillo, né di Roberto Maroni. E neppure di pericolosi economisti keynesiani, neo-marxisti o che si richiamano a Ezra Pound. La chiara bocciatura della politica economica del governo Monti, sia pure espressa con linguaggio austero e pacato, arriva niente meno che dal presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, durante un’audizione sul Def dinanzi alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. Il caso caso italiano, ha concluso Giampaolino, «è esemplare, perché consente di verificare come il rigore di bilancio, da solo, non basta, se manca una crescita dell’economia su cui appoggiare la sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica».
Una vera e propria bacchettata sulle dita di Monti, Fornero e Passera, che fra l’altro giunge non da un fesso qualunque ma dal presidente della magistratura contabile italiana, che di conti pubblici qualcosa dovrebbe capirne. Eppure il “grido di dolore” lanciato nei giorni scorsi da Giampaolino è passato quasi sotto silenzio. I principali giornali italiano l’hanno ignorato oppure hanno “annegato” le sue critiche nel “pastone” all’interno delle pagine economiche. Vietato disturbare il manovratore, persino se sei il presidente della Corte dei Conti. Tutto questo mentre sulle prime pagine campeggiavano i titoli sulle malefatte della “casta”, sulle procedure per le primarie del Pd, sull’ultimo sermone di Napolitano.
Parole al vento, quelle di Giampaolino. La notte scorsa il Consiglio dei Ministri ha varato la cosiddetta “legge di stabilità” che, fra gli altri provvedimenti, contiene l’aumento dell’Iva dal 21 al 22%. Una stangata che pagheremo tutti e che renderà molto meno efficaci boccate d’ossigeno come il taglio di un punto dell’Irpef e norme (tutte da verificare, però) come l’introduzione della Tobin Tax e l’estensione dell’Imu ai beni immobili della Chiesa. In sostanza la ricetta dell’uomo in loden non cambia: tagli indiscriminati ai servizi pubblici (un altro miliardo in meno alla Sanità, anche se lo stesso ministro Balduzzi l’ha criticato e ha dichiarato che non verrà applicato), limitazioni dei diritti sindacali (confermato il blocco dei contratti degli statali fino al 2014. Per il 2013-2014 non sarà erogata neanche l’indennità di vacanza contrattuale) e inasprimento delle imposte. Punto.
Con buona pace di Giampaolino e di chi si ostina a far osservare che applicare una cura da cavallo, senza incentivi alla crescita, rischia di sprofondare il Paese nel baratro. Un’ultima chicca: per risparmiare d’ora in poi le notti italiane saranno più buie perché si taglierà anche sui costi dell’illuminazione pubblica. Esultano ladri e stupratori. Se volete uscire di sera portatevi dietro una torcia. E l’ultimo spenga la luce su questa povera nazione chiamata Italia.