“Grazie al mio popolo e viva Bolivar”. Hugo Chavez incassa il 54,2 per cento delle preferenze e si prepara a governare per la quarta volta consecutiva, dopo i trionfi del ’98, del 2000 e del 2006. Il Venezuela ha scelto di non deragliare dai binari e continua la sua corsa sulle rotaie del “socialismo del XXI secolo” che, nel caso specifico, significa aumento di salario minimo e pensioni, costruzione di nuove case, allungamento delle ferie, programmi per l’alfabetizzazione e per il potenziamento delle strutture sanitarie. Il tutto finanziato dai proventi del greggio nazionalizzato, gestito dalla holding statale Pdvsa, straordinaria leva strategica ed economica che l’altra parte del mondo vorrebbe demolire non soltanto per questioni di denari.
Quell’intuizione che ad Enrico Mattei costò la vita è ormai conclamata ovvietà: l’arma energetica è garanzia di libertà, di indipendenza, di autodeterminazione, impedisce ai suoi detentori di girovagare per il globo con il cappello in mano (cedendo, ad ogni passo, un pezzo di sovranità) e permette l’elaborazione di scomode politiche di ampio respiro. Le stesse che condannano i Putin, i Chavez, gli Ahmadinejad alla gogna mediata occidentale, ormai appiattita su di una sola metodologia operativa: far credere che i leaders in questione siano ad un passo dall’abisso, ormai prossimi alla disfatta. Stando ai giornali euro-americani la Siria era sul punto di cadere, a volte era persino “già caduta”, sei mesi fa. Putin stava per subire una memorabile batosta. Chavez rischiava di essere messo al tappeto dal competitore Henrique Capriles, uno che, guarda caso, ha puntato tutto su inflazione, corruzione e giovanilismo (il pensiero unico è spesso un mantra patetico: i blogger russi hanno soprannominato il sessantenne Putin il “nonnino da pensionare”). Naturalmente, non è successo nulla di tutto ciò: la Siria ancora resiste, Putin ha dilagato e Chavez ha vinto. Quest’ultimo, non casualmente, ha chiesto che il risultato venga “riconosciuto” al più presto: un passaggio scontato, si potrebbe pensare, ma da quando i popoli non sono più sovrani anche l’acquisito diviene ipotetico.
Obtorto collo tutti i media hanno registrato l’esito elettorale non senza, però, aprire un nuovo spiraglio indugiando sulle condizioni di salute del rieletto presidente. Ha davvero sconfitto il cancro? Riuscirà ad arrivare a fine legislatura? È il precariato dei non-allineati: o sono ad un passo dal perdere le elezioni o sono ad un passo dal perdere la vita. In ogni caso, il terreno sotto i loro piedi è sempre sul punto di crollare. Tale è il messaggio di plastica che si desidera artificialmente veicolare nonostante la realtà suggerisca tutt’altro orizzonte: il Comandante Chavez è ancora, dopo quindici anni, in piedi fra le (nostre) rovine.