Ora convulse nel centrodestra. Il vicepremier Angelino Alfano ha dettato la linea al Pdl, in dissenso con i diktat del Cavaliere: “Votiamo compatti domani la fiducia a Letta”. Il segretario del Pdl, spiazzato dalla scelta non condivisa del Cavaliere di chiedere alla delegazione ministeriale del partito di dimettersi, sarebbe intenzionato ad andare in fondo, delegittimando la linea decisa a Palazzo Grazioli. Da qui l’eventualità che il Pdl si divida e si arrivi a una scissione. Sulla stessa linea di Alfano c’è anche Carlo Giovanardi: “Quaranta senatori pronti a votare la fiducia. Ci sono i numeri per un gruppo autonomo”. Scalpita di contro Sandro Bondi: “Voto la fiducia solo se me lo chiede Berlusconi”. E il Colle emette questa nota: “Nell’incontro di questa mattina (tra Letta e Napolitano) si è configurato – è scritto nel documento del presidente della Repubblica – con il presidente del consiglio il percorso più limpido e lineare sulla base di dichiarazioni politico-programmatiche che consentano una chiarificazione piena delle rispettive posizioni politiche e possano avere per sbocco un impegno non precario di sviluppo dell’azione di governo dalle prime scadenze più vicine agli obiettivi da perseguire nel 2014”.
Silvio Berlusconi ha reagito pubblicando una lettera al settimanale Tempi molto dura verso Napolitano e Letta e indicando nei poteri internazionali i mandanti del suo esautoramento. Eccone uno stralcio: “Enrico Letta e Giorgio Napolitano – scrive l’ex presidente del Consiglio – avrebbero dovuto rendersi conto che, non ponendo la questione della tutela dei diritti politici del leader del centrodestra nazionale, distruggevano un elemento essenziale della loro credibilità e minavano le basi della democrazia parlamentare. Come può essere affidabile chi non riesce a garantire l’agibilità politica neanche al proprio fondamentale partner di governo e lascia che si proceda al suo assassinio politico per via giudiziaria?”. “Il Pd (compreso Matteo Renzi) ha tenuto un atteggiamento irresponsabile soffiando sul fuoco senza dare alcuna prospettiva politica. Resistere per me è stato un imperativo morale che nasce dalla consapevolezza che senza il mio argine – che come è evidente mi ha portato ben più sofferenze che ricompense – si imporrebbe un regime di oppressione insieme giustizialista e fiscale. Per tutto questo, pur comprendendo tutti i rischi che mi assumo, ho scelto di porre un termine al governo Letta”. ”Ho scelto la via del ritorno al giudizio del popolo non per i “miei guai giudiziari” ma perché si è nettamente evidenziata la realtà di un governo radicalmente ostile al suo stesso compagno di cosiddette “larghe intese”. Un governo che non vuole una forza organizzata di centrodestra in grado di riequilibrarne la sua linea ondivaga e subalterna ai soliti poteri interni e internazionali”.
@barbadilloit