In un solo giorno solo due pezzi importanti del comparto industriale ed economico italiano sembra che siano finiti in mano straniere. Il caso di Alitalia e di Telecom Italia – rispettivamente in trattativa con Air France la prima, ceduta agli spagnoli di Telefonica la seconda – ha monopolizzato infatti una giornata “storica”, in negativo, per l’identità industriale dell’Italia. E il governo di Enrico Letta? A quanto pare non prevede intromissioni sulle vicende che riguardano gli assetti proprietari di Telecom e Alitalia. «Il governo si chiama fuori da Alitalia e Telecom», ha fatto sapere una fonte governativa interpellata dall’agenzia Reuters. Eppure già da ieri si sapeva sia del riassetto di Telco che consente alla spagnola Telefonica di rafforzare la propria partecipazione nella holding di controllo dell’azienda italiana; così come si sapeva di un cda straordinario di Air France-Klm che ieri sera ha rinviato la decisione su un eventuale aumento della propria quota in Alitalia della quale detiene già il 25%: argomenti che interessano, eccome, le sorti di un’economia in crisi come quella italiana.
Eppure le uniche parole registrate sono state quelle del ministro dei Trasporti Maurizio Lupi che sulla ipotesi di crescita di Air France nel capitale Alitalia ha spiegato che «dal nostro punto di vista non ci sono assolutamente preclusioni. L’unica cosa è che l’Italia non sia solo un posto dove prelevare domanda da spostare su Parigi». Se questa è l’unico commento di un componente dell’esecutivo non è mancata invece la reazione sia il Pd sia il Pdl che hanno chiesto al governo di riferire sulle due vicende in Parlamento.
Duro il commento di Luigi Zanda, presidente dei senatori democratici: «Le vicende contestuali di Alitalia e Telecom rappresentano in modo impietoso l’esito di una lunga catena di errori in gran parte dovuti all’assenza ventennale di una politica industriale e, conseguentemente, alla prevalenza degli interessi privati sugli interessi pubblici». Renato Brunetta, capogruppo del Pdl alla Camera, ha chiesto che venga fatta chiarezza: «Cosa cambierà con i due terzi del capitale Telco in mano agli spagnoli? Ci saranno ancora le risorse per gli investimenti e per lo sviluppo dei servizi? A che punto è il progetto di scorporo della rete fissa e quali sono le prospettive del settore in Italia?».
Beppe Grillo, da parte sua, ha parlato di un’Italia che «perde i pezzi» chiedendo che il governo «dirotti i fondi della Tav per bloccare la vendita». Da Sel Gennaro Migliore ha attacco così: «Dopo una privatizzazione sbagliata 15 anni fa, ora avviene una svendita», mentre di colpevole silenzio del governo parla il presidente dei deputati di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: «Apri i giornali online e ti accorgi che l’Italia sta perdendo Alitalia e Telecom».
Anche i sindacati hanno espresso forte preoccupazione per le sorti del comparto produttivo italiano. Sul caso Telecom una critica a tutto campo arriva dall’Ugl, con il segretario nazionale del reparto telecomunicazioni Stefano Conti che ha spiegato come con la vendita «un altro un asset, tra i più strategici per il Paese, come quello delle telecomunicazioni finisce sotto il controllo straniero». Per il sindacalista «ormai da anni l’Italia è terra di conquista a livello economico e produttivo. Il Governo poteva esercitare con la golden share un potere di autorizzazione condizionata in presenza di determinate operazioni che riguardano strutture strategiche per la Nazione, ma si è ancora in attesa di un provvedimento attuativo della Legge n. 56 dell’11 maggio 2012 che viene sistematicamente rinviato da mesi. Si sperava in una partecipazione economica in Telecom della Cassa Depositi e prestiti, ma alla fine neppure questa opzione ha interessato il Governo».
Anche per la Uil si tratta di un duro colpo: «Cosi perderemo un’altra delle poche, grandi imprese che ancora restano sotto il controllo italiano» ha spiegato Luigi Angeletti. Non solo. Secondo il segretario della Uil «così accadrà fatalmente quello che è naturale che accada: che nei prossimi anni quando si tratterà di decidere dove investire lo si farà sulla base di interessi, legittimi, che pero’ non risiederanno a Roma ma a Madrid. E naturalmente questo accordo ha una ricaduta per noi negativa sul fronte occupazionale non solo nell’immediato ma soprattutto per il futuro».