
La verità è molto più semplice. Chi pensa che le idee, le identità, le appartenenze, i voti, non servano a creare potere, gerarchie e differenze, persino insopportabili in tempi di crisi o è un bugiardo oppure è un ipocrita. Nella realtà lo squallore dei festini della destra romana ha un che di fascinoso. Di umano. C’è una laida nefandezza dionisiaca, un bieco sì alla vita, che il nuovo italiano tecnocratico, in via di costruzione controllata, perderà nel suo povero, sobrio, vestito puritano. Poveri, sottomessi, colonizzati, ma onesti.
La verità è che Fiorito e compagni non andrebbero radiati dal consesso pubblico per la loro gestione da vergogna dei soldi regionali, ma perché vera caricatura di una comunità politica che evocava, attraverso i richiami al fascismo, ben altre ed elevate visioni del mondo: alla fine si sono dimostrati sì puttanieri, scialacquatori dalle mani bucate di risorse di tutti, privi di morale, maschilisti, arroganti in toga e beceroni, ma soprattutto uomini senza battaglia, senza volontà politica, senza palle, da vent’anni al servizio di chi vorrebbe far credere pulita, e facciamocela una bella risata, la liberaldemocrazia.
La verità? Ogni Tangentopoli serve solo a cambiare le diverse gerarchie, le atroci differenze, fra potenti e sottomessi. Ed ogni volta, nella storia italiana, tutto decade. Tonfa un Fiorito a costo della politica intera, fino a quando non saremo costretti a scegliere fra Goldman Sachs e Casaleggio. Quel giorno, con buona pace di Gibelli e Giuli, governerà davvero un matriarcato bancario. Fioccheranno oneste madri di famiglia candidate premier: tanto, a loro, il bancomat obbligatorio sopra i 50 euro servirà solo per fare la spesa.