Una generazione che rischia di perdere il suo appuntamento con la storia e di rimanere per sempre così com’è ora: immobile. Le prospettive sono le meno rosee possibili e le politiche del lavoro miopi, il blocco del turnover e la crisi economica sono i tre pilastri sui quali si fonda l’incertezza per il futuro che affligge tanti ragazzi italiani.
Se guardando le strade delle città era chiaro già a molti quanto fosse difficile il mondo del lavoro giovanile, da adesso c’è l’amara certificazione dell’Istat: la disoccupazione dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni è al 38,8% (di poco sopra al Portogallo e meglio solo di Spagna e Grecia) e i dati si fanno via via più drammatici quando fotografano la fascia di popolazione tra i 25 e i 34 anni (quella dei giovani adulti). Dal 2010 ad oggi, lì sono stati distrutti 750mila posti di lavoro: un esercito di disoccupati che, quando può, vola all’estero per cercare fortuna, ma che spesso è costretto a rimanere a casa con il timbro di “bamboccione” ben impresso sulla fronte. Gli anni di studio nemmeno bastano: appena il 60,2% di chi ha completato gli studi lavora; cinque punti in meno rispetto al 2012 e ben dieci in meno rispetto al 2007, un’èra economica fa. Agghiacciante, poi, è lo spread nord-sud: l’81,4% dei giovani che vivono a ridosso delle Alpi lavora; sotto Roma, invece, l’asticella si ferma ad un deludente 51%.
Invertire la tendenza è l’auspicio di chi continua, invano, a vagare con il curriculum in mano. Purtroppo, però, la complessità rischia di rendere endemica una stortura sociale come questa: si pagano, adesso, anni di scelte politiche miopi e decenni di lussuosi banchetti consumati sul tavolo del debito pubblico. Finché non si agevolerà davvero l’assunzione di giovani capaci, e fino a quando non si favorirà il ricambio generazionale negli uffici di mezza Italia, questo Paese sarà costretto a convivere con gli scheletri del proprio passato, rinunciando di fatto a far vivere il suo futuro. Dei dati snocciolati dall’istituto di ricerca ciò che sconvolge è che nemmeno lo studio basti a garantire un accesso privilegiato nel mercato del lavoro: quando quattro ragazzi su sei non lavorano dopo diciotto anni di studi – magari un ottimi istituti pubblici – vuol dire che per invertire la rotta bisogna fare azioni mirate, precise e studiate. L’improvvisazione non basta.
Del sud, poi, c’è da capire cosa si voglia fare. Il caso, cinico e baro, ha voluto che le statistiche dell’Istat uscissero pochi giorni dopo l’annuncio dei 1500 esuberi dell’Ilva di Taranto. La siderurgica jonica è una grande metafora di una terra che ha voglia di fare e tanta sfortuna: generazioni di tarantini hanno pagato a caro prezzo il loro diritto al lavoro, ma adesso quello che fa paura è non riuscire a trovare un’alternativa. Al sud, dove lavora un giovane su due, si ha disperato bisogno di un piano, di un progetto. Un’idea, magari geniale, che possa realizzare il sogno, tanto triste quanto vero, di molti giovani italiani: pagare le tasse col proprio lavoro.