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Luci e ombre di Giuseppe Bottai

Il saggio di Cavanna sul gerarca fascista tra sensibilità per la cultura plurale e impegno in divisa

by Gianfranco Andorno
5 Giugno 2024
in Cultura
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Dopo la disfatta di Caporetto, Giuseppe Bottai, non ancora ventenne, si arruola negli Arditi d’Assalto. Ferito, è decorato con la medaglia di bronzo al valor militare. Come Ungaretti cerca nelle poesie un paese che vada oltre, oltre alla guerra, un paese innocente. La poesia: “Non c’è un paese.”

Deposte le armi frequenta i letterati di Roma futurista, fa volantinaggio di libelli che inneggiano alla repubblica contro l’ingessatura savoiarda. Il 6 aprile del 1919 insieme a Massimo Rocca fonda il primo fascio nella capitale. La frenesia del fare dei marinettiani, la cultura dell’azione, va a giuste nozze con lo squadrismo emergente.

Bottai non accetta le incertezze,  di vagare nel limbo, nel 1922 è stanco di non sapere cosa sia il fascismo, lo dichiara. Ha un violento contrasto con gli intransigenti di Farinacci seguito da un confuso episodio di presunte dimissioni ma viene confermato in Parlamento per le sue qualità. Subito dopo fonda e dirige la rivista quindicinale Critica fascista. Sarà la sua tribuna, una palestra ancora pregna della matrice futurista. Infatti, vi denuncia la nausea e lo schifo per quel brulicame putrido di uomini marci che galleggia nel paese.

Il pamphlet è aperto ad ogni novità e discussione. “Dateci un’opposizione!” il suo grido accorato.  È una sentinella alla controrivoluzione liberale che potrebbe essere la pietra tombale del movimento. Malaparte, quello che odia le pecore feroci, è d’accordo. C’è  licenza per l’originale: “Contro il socialismo necessità di diseguaglianza.” Ancora: “La democrazia italiana non è una democrazia ma un governo di partiti”, sembra un ammonimento odierno. Il suo contraltare? Un’aristocrazia di massa.

Si augura la seconda ondata, dall’insurrezione alla rivoluzione, mala sua rivoluzione è culturale, non violenta. Predica “la rivoluzione permanente”,  emulando involontariamente Trotsky. Il suo revisionismo si riallaccia al Risorgimento, ai suoi ideali spirituali incompiuti.

Nel 1926 nasce lo Stato Corporativo con  la Carta del Lavoro. Bottai è il Ministro delle Corporazioni dal 1929 al 1932.  È severo e intransigente nei suoi compiti, controlla  la stesura  dei contratti di lavoro e la loro applicazione, cura la dislocazione degli uffici di collocamento. Forse commette l’ingenuità di affidarsi ai padroni buoni. Esistono? Vagheggia un ordine sociale di cooperazione, un seme che in un certo modo fiorirà con Olivetti e attualmente sperimentato in Russia e Cina. Bottai è anticapitalista, antiborghese e non lo nasconde. Nel 1932 difende il filosofo Ugo Spirito che teorizza: “corporazioni detentrici dei mezzi di produzione.” La prospettiva di una possibile nazionalizzazione. Questo desta l’interesse di Gramsci che evoca auspica un  bottaismo di sinistra, come riportato da Enrico Nistri.

L’utopia di Bottai è superare il socialismo e il liberalismo, imboccando una terza via, come ricorda Lino Cavanna nel suo libro. Il lavoro di Cavanna presenta una sagace e minuziosa analisi della rivista “Critica Fascista”, della sua storia, rivista che sovente è stata una prua che feriva l’onda placida del consenso. E per l’eclettismo dei suoi collaboratori un vaso di Pandora.

Bottai si sofferma sul ruolo degli intellettuali mettendo in guardia dall’intellettualismo infecondo e invita a diffidare della tecnica! Ingegneri italiani diffidate della politica dei politicanti e della tecnica pura: gretta, senza passione.

Plasma l’uomo nuovo. Il suo uomo nuovo è integrato nello stato ma soprattutto è un uomo. Occorre produrre il nuovo italiano. Un incrocio tra Leonardo da Vinci e Muzio Scevola, ci sembra di capire. Raccomanda: “Il primato dell’uomo sull’uomo”, l’uomo dei mestieri, della coscienza sull’istituzione!”

Nel 1936 passa al Ministero dell’Educazione, protegge i poeti ermetici, approva la poesia libera dall’oratoria politica. Nel dibattito culturale ad aver la peggio è il materialismo aberrante, zavorrato questo dall’egoismo. I valoro etici sono vincenti. La visione internazionale di Bottai è molto tagliente: “Il fascismo italiano non deve appoggiare gli istituti di reazione che fermentano nel mondo.” E c’è la guerra civile spagnola.

Nel suo carnet l’avversione per la guerra con Balbo, sino all’estremo quando i recalcitranti si erano convinti per le vittorie militari tedesche. Preziosa e incessante la sua ricerca nei diversi campi ma il paese immaginato nelle sue poesie, libero dal giogo di ideologie di potere, non lo ha mai trovato.

In cantina c’è dell’altro. Giuseppe Bottai nel 1943 aderisce all’ordine del giorno Grandi che destituisce Mussolini. Per questo l’anno seguente viene condannato a morte da un tribunale della Repubblica Sociale Italiana.  Contumace, si rifugia in  conventi e poi si arruola nella Legione Straniera. Servizio che gli servirà come necessaria purificazione per il dopo. La Legione straniera, il grado di sergente, le battaglie nella foresta alsaziana, il rientro… questi sono accessori per i cronisti, gli storici. A noi interessa il pensiero, anche controverso, e la sua proiezione.

Siamo al quasi plauso totale di Giuseppe Bottai e naturalmente  è contrapposto al regime fascista dimenticando che sino al 1943 è stato un fedele seguace del capo del governo, per lui leader carismatico. Ossequiente a ogni sua decisione.

Cavanna: “E in cantina, anche senza uva e mosto c’è un ribollire che aiuta col passato a scoprire il futuro.”

(Colloquio informale, a due voci, con Cavanna U. Lino e il suo libro: “Critica Fascista, un discorso interrotto.” Edito da Passaggio al Bosco.)

 

Gianfranco Andorno

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Tags: andornocavannagiuseppe bottai

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