La rassegnazione è lo stato d’animo che più ci distingue. Negli ultimi anni abbiamo auspicato una società riformabile, ma ci siamo ritrovati senza idee, senza riforme, senza una realtà politica trasparente. Ci siamo ritrovati orfani. Non ci sono più ‘nuovi ordini’. Neanche alleanze politico-culturali credibili. Ma, in questi momenti storici, il poeta, proprio lui, ha la possibilità di raccontare il dolore delle illusioni perdute.
Anche Gottfried Benn vive l’equivoco della politica. L’ ideologia prima gli sembra una chance, per intravedere un cambiamento nell’umanità, poi diviene la spazzatura della storia. Egli comprende così le feroci illusioni e si fa orfano del suo tempo, un uomo lontano da ogni inganno ideologico, un perseguitato dai nazisti nel 1938 e dagli americani nel 1945.
Eppure, non sappiamo trovare un riferimento critico a Benn. Perché? E’ oltremisura algida la sua poesia? Essa è svuotata di ogni visione ideale? Di sicuro egli è un materialista che decide di raccontare le ‘forme morte’ e la sublimazione della ‘staticità’ (Poesie statiche, 1944).
Intanto leggiamo gli intellettuali di destra. Inseguiamo gli archetipi culturali. Citiamo Pound, Junger, Hamsun, Mishima, Drieu la Rochelle,.. Ma non spolveriamo neanche un verso del poeta tedesco, anche se Benn è l’autore che traduce gli stati d’animo della coscienza del perduto e dell’ esaurimento del tempo; cioè gli stati d’animo tanto provati in questi anni, gli anni dell’incertezza.
Periodicamente, Einaudi ristampa Morgue (1912), Aprèslude (1955) facendone opere nicciane, opere scritte da un Benn ‘nipote’ del filosofo di Sils-Maria, un ‘nipote’ privo dell’entusiasmo dionisiaco dello ‘zio baffuto’.
Ora il poeta da rileggere è il pensatore senza speranza, ben consapevole della dura ciclicità delle esperienze,“Devi saperti immergere, devi imparare, / un giorno è gioia e un altro giorno obbrobrio…” (Aprèslude)
La sua poesia grida un consuntivo del secolo ventesimo; grida la consumazione totale delle strutture sociali, “Distruzioni – / ma dove non c’è più nulla da distruggere / persino le rovine invecchiano…” (Frammenti e distillazioni, 1951)
Così la storia non offre più appelli e al poeta “ resta oscuro il canto delle ore / un anno sulla frana della Storia / frana dei cieli e frana del potere…” (Poesie statiche)
(Si spera, tuttavia, che uno scrittore non finisca mai il suo canto, sulla frana della storia, mentre marciano mercati, nani e ballerine.)
“… nella mia mente distrutta/ tutto va in pezzi, in attimi si frange rabbrividendo” (Frammenti e distillazioni). Ed è forse questo il destino della poesia contemporanea: allineare le macerie? O esiste un’altra sorte? Quella del canto della rabbia?
Sulla tomba di questo poeta andrebbe issata, a mezz’asta, la bandiera della poesia. La bandiera che simboleggia che il mondo è stato esplorato, però, adesso sta affondando, “Affondano i continenti e si disfano le stirpi… dopo le legioni, dopo gli dei tutti…” (Aprèslude)
Pietro Citati scrive,“ Soltanto la tomba di Gottfried Benn, uno dei più grandi poeti del secolo, è polverosa, abbandonata, coperta di erbe e ragnatele.”
Il sepolcro di Benn incustodito?! Probabilmente c’è una ragione. Gli uomini amano ricordare più i fatui stregoni delle parole, meno gli artisti ostili a ‘le magnifiche sorti e progressive’.
Adesso, invece, noi tutti pensiamo a qualcuno che, arrivando da lontano, porti un fiore sulla tomba di Gottfried.