La recente riapertura, a Roma, della casa-museo di Mario Praz, restaurata e messa a disposizione del pubblico assieme a quasi tutti i preziosi arredi (sono esposti 800 pezzi su 1200), è un’eccellente opportunità per riaccendere l’attenzione su un protagonista importante della cultura italiana del Novecento ingiustamente dimenticato o, peggio, ignorato. Apprezzato specialmente come anglista, autore di opere fondamentali come la sua Storia della letteratura inglese, e soprattutto La carne, la morte e il diavolo e Il patto col serpente, Mario Praz (1896-1982) è stato uno storico del gusto, un appassionato collezionista di oggetti, di libri e di mobili e, anche, un raffinato giornalista culturale, lontanissimo dal conformismo progressista imperante nel dopoguerra, come dimostrano alcune opere pubblicate da Aragno negli scorsi mesi a cura dei fratelli Giovanni e Giuseppe Balducci, che hanno raccolto articoli e scritti di Praz pubblicati, tra l’altro, su “Il Tempo” e “il Borghese”.
Accanto all’erudito specialista del Romanticismo inglese scopriamo con piacere l’eclettico aristocratico del gusto e il brillante elzevirista, nel quale, come ricorda Giuseppe Balducci nel “Profilo di Mario Praz” contenuto in Misteri d’Italia, “prevalgono l’aneddoto prezioso, la descrizione di ambiente, il pettegolezzo biografico, l’attenzione per il particolare, la divagazione appassionata gratuita e la notazione paesaggistica”.
Storico del Decadentismo, Praz è dotato di una natura antidecadente, e si rivela un libero e appassionato esploratore di curiosità, sensibile, colto e mai aridamente erudito. Nell’intervista di Fausto Gianfranceschi contenuta in Omelette soufflée à l’antiquaire. Elogio degli antiquari si secca per la qualifica di “professore” che lo accompagna -o meglio, “perseguita”- preferendo essere conosciuto e apprezzato come “scrittore”. Nella raccolta Collezionare libri, infatti, con stile prezioso e mai affettato riesce a descrivere in modo divertente, e divertito, la passione più ardente per chi la dovesse contrarre: la bibliofilia, meglio conosciuta come “libridine” (ma questo Praz non lo scriverebbe mai…), l’eccitazione e tormento di schiere di eruditi che, invece di amare il libro per quanto custodisce, se ne innamorano perché oggetti belli o unici.
“Alcuni, scrive Praz, amano i libri perché libri, cioè testimonianze del pensiero umano, ma molti li amano solo perché carta stampata con lusso, perché sono cose rare, o perché la loro legatura è come una preziosa stoffa o uno squisito merletto. È l’eterna storia dei frequentatori delle feste dionisiache: “Molti sono i portatori di tirso, ma pochi i veri Baccanti”.