Giornalista, 32 anni, una bella collega per moglie e un figlio; proprietario e direttore del settimanale “Toi” da un milione di copie, componente del “Tout Paris”, Alain Poitaud vede la sua vita cambiare totalmente da un giorno all’altro. Una sera torna nella sua lussuosa casa e trova ad aspettarlo, davanti al portone, un ispettore di polizia che lo invita a seguirlo al Quai des Orfèvres, la Centrale di Polizia di Parigi, per comunicazioni importanti. A casa non c’è “micetta”, nomignolo con il quale lui chiama la moglie Jacqueline. Mezz’ora dopo, al cospetto di un commissario di polizia viene a sapere che lei ha ucciso sua sorella minore Adrienne con un colpo di pistola. L’arma era nel comodino di Alain. La prigione di Simenon non è un giallo poiché l’assassino si conosce sin dalle prime pagine e tutta la trama di questo “roman dur” gira intorno all’indagine psicologica di Alain e all’inchiesta della polizia che, in breve tempo, chiarisce tutto, ma con difficoltà il movente dell’omicidio. Nel giro di qualche giorno viene fuori che Alain è stato per sette anni l’amante di Adrienne ma che ormai la storia fra il giornalista e la cognata è terminata da almeno un anno. E allora, qual è il movente? Questo interrogativo diviene il cruccio di Alain Poitaud che non capisce la dinamica dell’omicidio ma comincia ad analizzare i rapporti con la propria moglie e si rende conto che la vita frenetica che i due conducono non lascia molto spazio all’intimità della famiglia. Alain non ha mai messo in dubbio i sentimenti e la forza del rapporto con Jacqueline nonostante fosse un dongiovanni con avventure, storie che durano nel tempo, incontri occasionali. Con la polizia Alain ammette di aver avuto una relazione con Adrienne finita almeno un anno prima, motivo per cui non può essere la causa scatenante del delitto. Agli interrogatori del pm la moglie Jacqueline fa scena muta, ammette solo di aver ucciso la sorella. Non aggiunge altro e rifiuta di rispondere alle domande del magistrato.
Una Parigi fredda e piovosa
Non riveliamo come finisce la storia, che si snoda in una Parigi fredda, grigia e piovosa, ma possiamo dire che per la prima volta Alain, sempre fra la gente, si sente solo e il vuoto interiore gli fa balenare nella mente la possibilità che egli non conoscesse poi così bene la sua vita e, in fondo, neanche quella di Jacqueline. Alain aveva sempre voluto fuggire la vita borghese che i genitori, invece, speravano per lui e crede di esserci riuscito dopo tre anni nell’esercito francese, il lavoro di giornalista, l’apertura indovinata di un rotocalco di successo, feste, cene e pranzi con il meglio della società parigina. Ma Alain alla fine comprende la monotonia della vita borghese e sente crescere lentamente il vuoto in sé insieme con una tristezza non lenita dalla compagnia di varie ragazze e con la convinzione che forse lui non è un ribelle, un uomo che non ha bisogno di nulla come credeva in precedenza.
*Georges Simenon, La prigione, (Adelphi ed., trad. Simona Mambrini, pagg, 170, euro 18)