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Al funerale di Vittorio Emanuele di Savoia Carignano, a Torino, non c’era grande pubblico. Poche anche le teste coronate: la regina madre di Spagna e il principe Alberto di Monaco, oltre a rappresentanti di famiglie reali decadute.
Interessante la presenza dell’arciduca Martino d’Asburgo e del principe Aimone di Savoia Aosta, con la consorte, principessa Olga, a testimoniare un sentimento di pur difficile riavvicinamento fra i rami Carignano e Aosta.
Significativa l’assenza di cariche della Repubblica italiana e del Comune di Torino. Non c’era il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, già dirigente dell’associazione giovanile monarchica (il presidente del Senato, Ignazio La Russa, aveva reso omaggio alla salma a Venaria il giorno prima). Né ha meravigliato l’assenza delle principesse Maria Gabriella e Maria Beatrice, stante i noti difficili rapporti familiari.
Figlio di genitori discordi, esule da bambino, Vittorio Emanuele non ha avuto l’insegnamento per i principi del sangue (eredi al trono, cioè), né la formazione militare, né quella politico-istituzionale. Ha così vissuto nel jet-set, tra amicizie altolocate, tra affari importanti, senza poter tornare in Italia fino al 2003.
Il matrimonio con Marina Ricolfi Doria – violando lo Statuto albertino, prescrivente che la sposa sia di famiglia reale – ha comportato automaticamente per Vittorio Emanuele la rinuncia allo status di principe ereditario, con la perdita dei diritti dinastici.
Vittorio Emanuele ha però continuato a considerarsi capo della Real Casa, argomento penoso per i monarchici italiani, che – pur solidali per motivi storici e sentimentali col ramo dei Savoia Carignano – sostenevano il principe Amedeo di Savoia Aosta, scomparso nel 2021, che era divenuto tacitamente successore di re Umberto II; monarchici italiani che, dopo di lui, sostengono il principe Aimone.
Recentemente Vittorio Emanuele aveva dichiarato nulla la legge salica, cioè la successione dinastica solo in linea maschile da padre in figlio. Ma una norma costituzionale non si abolisce “motu proprio”, neanche da parte di un sovrano o di un capo della Real Casa, titolo del resto perduto da Vittorio Emanuele, in seguito alle nozze.
Violando lo Statuto albertino? Non mi risulta….
Marina Ricolfi Doria non era neppure di ‘famiglia mediatizzata’, come lo fu la moglie del 1mo Duca d’Aosta Amedeo, figlio di Vittorio Emanuele II, Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna. Moglie ‘non morganatica’, che fu anche Regina di Spagna per un paio d’anni…
Non c’entra niente lo Statuto Albertino! Le norme regolanti i matrimoni in Casa Savoia erano più vecchie, erano le Regie Patenti emanate da Vittorio Amedeo III nel 1780, codificando appunto norme preesistenti, e prevedevano l’assenso del capo di Casa Savoia (cioé il Re) per il matrimonio di un principe. Nel caso l’assenso fosse negato e il matrimonio fosse con una donna di rango diseguale, il principe avrebbe perso il diritto di successione al trono. Nel caso invece l’assenso ci fosse stato, il matrimonio sarebbe stato dinastico o morganatico. Evidentemente Umberto II non volle concedere l’assenso e quindi Vittorio Emanuele perse i diritti al trono.
Informarsi prima di sparare cannonate (lo Statuto! Oltretutto lo Statuto non vigeva più, dato che era lo Statuto del Regno, che nel 1946 era finito!) sarebbe meglio.