Il padre, principe di Piemonte, e futuro Umberto II, e la madre, principessa Maria José del Belgio, avranno altri tre figli: Maria Pia, la maggiore, nata nel 1934; Maria Gabriella, nata nel 1940; e Maria Beatrice, nata nel 1943. La prima casa su cui il bambino posa lo sguardo è villa Rosebery, splendido palazzo napoletano, poi divenuto residenza ufficiale del presidente della Repubblica. Paffuto, riccioli biondi, detto “Budda” dai genitori, pare sorridere in un’atmosfera tranquilla, al riparo dai soprassalti del mondo. Ma l’immagine armoniosa già si offusca.
L’ideale romantico della principessa Maria José ha scarsa eco nello sposo, la cui famiglia non riserva un’accoglienza calorosa alla principessa nota per l’indipendenza. La corte romana mal tollera l’audacia di colei che è cresciuta in un’atmosfera di intensa emulazione intellettuale e artistica e che, con sprezzo del pericolo, definisce “tribuno volgare, sempre in posa e orgoglioso” il Duce. Posizioni che valgono alla principessa Maria José a fine 1942 di dover fuggire da Roma coi figli per Sant’Anna di Valdieri, nel Cuneese, poi, un anno dopo, quando i tedeschi invadono l’Italia, in Svizzera.
Bimbo al Quirinale
Così sballottato, il principe Vittorio Emanuele torna a Roma nel 1945. L’infanzia prosegue tra gli ori del palazzo del Quirinale, dove appare al balcone circondato da genitori e sorelle. Lo attesta una rara foto del maggio 1946. Il re Vittorio Emanuele III ha appena abdicato e comincia il brevissimo regno del figlio, il re Umberto II, e della regina Maria José: trentacinque giorni, che rendono la coppia “il re e la regina di maggio”. Infatti il 2 giugno un referendum sancisce la vittoria della repubblica. Per la regina e i figli è tempo di lasciare l’Italia.
“Abbiamo saputo l’esito del referendum mentre eravamo in vacanza nella nostra villa ‘Maria Pia’ a Napoli” – confidava il principe Vittorio Emanuele. “Ero giovanissimo, partire su un nave mi divertiva. In cinque giorni siamo arrivati in Portogallo. Mio padre ci ha raggiunto pochi giorni dopo in aereo”. Sintra, poi Cascais. L’episodio portoghese dura pochi mesi.
Ragazzo in Svizzera
Caduta la monarchia, l’unione di facciata cui si era prestata per anni Maria José non ha più senso. Si separa dal marito e torna in Svizzera coi due figli maggiori, stabilendosi al castello di Merlinge. Il principe Vittorio Emanuele di Savoia prosegue gli studi alla scuola internazionale fino alla maggiore età, poi prende il volo per gli Stati Uniti: a San Diego, California, passando otto mesi nella Marina americana accanto allo scienziato Jacques Piccard, poi sulla costa orientale, dove entra nell’ufficio di agenti di cambio a New York. Diplomato, il principe ottiene l’accredito in Borsa. Ma lavorare per gli altri non lo soddisfa. Tornato in Svizzera, apre un suo ufficio: vendita di elicotteri, costruzione di oleodotti, mercato immobiliare. Il vasto campo d’azione gli apre le porte del Vicino Oriente, dove conclude vari affari in Iran. Se tutto pare sorridere al giovanotto alto quasi due metri, sempre biondo, è anche perché una ragazza ne ha preso il cuore…
Marina Doria
Il principe Vittorio Emanuele di Savoia era un ragazzino quando aveva incontrato Marina a Crans-sur-Sierre, a una merenda per bambini. Si ritroveranno poi negli anni migliori delle loro gioventù. Maggiore di due anni rispetto a lui, Marina Ricolfi Doria è la seconda di quattro figlie di René Doria, industriale svizzero scomparso troppo presto, nel 1970. Alta, atletica, campionessa internazionale di sci nautico a fine anni ’60, la ragazza mostra la stessa inclinazione del fidanzato per le idee moderne. Ma sull’idillio grava un’ombra.
In virtù della lettera patente del 13 settembre 1780, emanata da Vittorio Amedeo di Sardegna, confermata con regio editto del 16 luglio 1782, il matrimonio con una ragazza non di sangue reale priverebbe Vittorio Emanuele del diritto di salire al trono. L’ex re d’Italia non gradisce l’unione. Non consacrandola, condanna la coppia a errare nel limbo del fidanzamento. Il colpo è duro per il figlio, tenuto nel 1964 ad assistere a denti stretti all’unione del cugino, Amedeo d’Aosta, con Claudia di Francia. Nozze regali, celebrate in Portogallo, in presenza del re Umberto II, visibilmente soddisfatto, che potrebbe vedere in Amedeo l’erede tanto desiderato.
Va anche detto che lo stile di vita del principe Vittorio Emanuele rompe con l’abituale riserbo degli eredi reali. Dichiara: “Ho deciso di lavorare come chiunque. Guadagno abbastanza da vivere e .dunque ho il diritto di divertirmi come mi va, di agire come credo. Sono un uomo come gli altri, ma mi trovo al posto di erede al trono d’Italia. Morto mio padre (voglia il Cielo che accada tra molti anni), gli succederò”. Vittorio Emanuele è come una candela accesa dai due lati. Nel 1962 ha polverizzato una Ferrari contro un albero. Nell’abitacolo, principe e fidanzata sono pieni di fratture: ventuno per lei, che resta all’ospedale di Losanna per tre mesi.
Nozze senza consenso dinastico
Agli inizi degli anni ’70, la decisione. Costi quel che costi, Vittorio Emanuele sposerà Marina, ponendo fine a dieci anni di tergiversazioni. Il principe fa trionfare l’amore… senza rinunciare ai diritti. Assicura di mantenere cordiali rapporti col padre, ma lo fa con sfumature: “Questa unione farà di me un uomo normale, ben integrato nel nostro tempo e lontano dalle idee medievali di mio padre, per le quali a un principe tocca, necessariamente e unicamente, sposare una principessa”. E aggiunge: “Non desidero veramente divenire re. Ma sarei un buon sovrano, all’occorrenza”.
Il 7 ottobre 1971 Vittorio Emanuele di Savoia e Marina Doria sono, infine, uniti dal sacramento del matrimonio. La cerimonia si svolge in una stretta intimità all’Istituto Don Bosco di Teheran. Marina diventa principessa di Napoli davanti allo scià dell’Iran e dell’imperatrice Farah, oltre che del loro nipote, testimone della giovane coppia. Tra i Savoia interviene solo la principessa Maria Pia.
Poi, il 31 ottobre dello stesso anno, sono novecento gli invitati a precipitarsi nei saloni al primo piano dell’Intercontinental di Ginevra per un ricevimento memorabile. I cinque buffet – francese, polinesiano, italiano, campagnolo e cacciatore – galvanizzano gli invitati. Salendo la scala sottolineata da iris giallo parma, il re Simeone e la regina Margarita di Bulgaria, l’Aga Khan e la begum Salimah, i principi Michel e Guy di Borbone-Parma, come Gunter Sachs, vengono a salutare il principe e la principessa.
Ma, agli occhi di tutti, la presenza più significativa è quella della regina Maria José, che pare benedire la loro unione, prova evidente che a Marina si è alleata la regina. Al microfono di Jacques Chancel lei allora dichiara: “Voglio solo la felicità dei miei figli. I tempi sono cambiati! Occorre adeguarsi alla vita moderna. E vivere secondo il cuore”. Per alcuni, il silenzio di Umberto II è la continuazione dello statu quo. Non si è mai definitivamente pronunciato pro o contro l’unione. In compenso un’assenza non sfugge a nessuno, quella del duca di Aosta.
Nasce Emanuele Filiberto
Per il principe e la principessa di Napoli, l’unione infine consacrata indica un avvenire radioso. Il 22 giugno 1972 la coppia è felice per la nascita del figlio, il principe Emanuele Filiberto. Vittorio Emanuele è folle di gioia e presto le conseguenze della nascita dell’erede si rivelano. Umberto II si commuove. Sul cancello della sua tenuta in Portogallo, un nastro di tulle bianco annuncia la nascita. Il battesimo del nipote dell’ex sovrano d’Italia inaugura il tempo della riconciliazione ufficiale. Umberto II, che aveva visitato solo brevemente figlio e futura nuora nel 1962, va a Ginevra e aspira solo allo statuto di nonno felice e fiero.
Poiché la felicità non giunge mai sola, anche per il principe Vittorio Emanuele e la moglie è ora di costruire un focolare degno della loro famiglia. Uno stravagante sogno di pietra, uscito dalla terra di Vesenaz, presso Ginevra. Occorrono quattro anni per costruire questo luogo più che mai intriso dello spirito del tempo, che la principessa Marina chiama “la casbah“. Un immenso salone a forma di mezzaluna, punteggiato da lampade Pipistrello di Gae Aulenti, una piscina interna ed esterna, un bar a chiusura elettrica, un cinematografo, un garage che ospita la collezione di auto del principe, tra le quali una Rolls-Royce verde e… un’impressionante arsenale, con duecentosessanta pezzi tra antichi e moderni, inclusa la Walther placcata in oro, dono dello scià. La coppia acquisirà altre dimore parimenti sontuose: lo chalet a Gstaad e la proprietà sull’isola di Cavallo.
Uno sparo nel buio
Nella notte tra il 17 e il 18 agosto 1978 è in quest’angolo di paradiso che il destino di Vittorio Emanuele ha una svolta. Mentre ormeggia lo yacht Aniram – Marina scritto alla rovescia – la lite col diportista italiano, che gli ha trafugato il battello pneumatico, finisce in un dramma. Vittorio Emanuele spara per spaventare l’autore della scorrettezza. Dopo la rissa, ciascuno torna da dove è venuto. Non lontano, però, un giovanotto tedesco, che dormiva su un altro battello, riceve un frammento di proiettile nell’arteria di una gamba. Dopo quattro mesi di sofferenza, muore. Nel 1991 l’estenuante procedura porta all’assoluzione di Vittorio Emanuele dall’accusa di omicidio e alla condanna a sei mesi con la condizionale per detenzione e porto abusivo di armi.
Tenuto quanto possibile al riparo dal frastuono mediatico della vicenda, Emanuele Filiberto cresce, dando ogni soddisfazione ai genitori. Come al padre e al nonno, al ragazzo – che Umberto II ha fatto principe di Venezia – è negato il soggiorno in Italia. L’esilio pesa sui Savoia e ognuno sogna che “il re di maggio” un giorno possa di nuovo andare al Foro romano, anche da semplice cittadino. Ma è senza essere esaudito che egli spira ne 1983.
Necropoli di Casa Savoia, l’abbazia di Hautecombe, sulle rive del lago di Bourget, ne accoglie resti al grido. “Savoia! Savoia!”, scandito dai sostenitori. Sul registro dell’abbazia, Emanuele Filiberto si firma “Altezza Reale, Principe di Napoli”. Per confermare al mondo – e agli Aosta – che è deciso a restare l’erede di un casato millenario. Pare possibile far chiarire dalla regina Maria José la volontà del defunto Umberto II: “Credo che dentro di sé abbia pensato a un futuro re d’Italia nel piccolo Emanuele Filiberto: un nipote adorato, che, nelle ultime settimane, gli è stato più vicino di altri”.
Per circa dieci anni ancora, fallisce ogni procedura avviata per far abolire le disposizioni che condannano Vittorio Emanuele all’esilio. Il 27 gennaio 2001 scompare anche l’ultima regina d’Italia. Hautecombe accoglie di nuovo sovrani e principi dal mondo intero – Juan Carlos di Spagna, Alberto II e Paola dei Belgi, la shabani dell’Iran, Jean e Joséphine-Charlotte del Lussemburgo, Alberto di Monaco – per dare l’addio a questa fiammeggiante personalità.
Il rientro in patria
Secondo tradizione, la bara delle regina è sul suolo dell’abbazia, coperta dalle bandiere reali dell’Italia e del Belgio. Non potrà vedere il ritorno del figlio sulla terra degli avi. Infatti il 10 novembre 2002 gli interventi di Silvio Berlusconi confermano il giudizio della Corte europea dei diritti dell’uomo, abrogando la legge dell’esilio. Il 23 dicembre 2002 si chiude una parentesi di cinquantasei anni.
Pollice verso il cielo, Vittorio Emanuele scende dall’aereo e mette piede sulla terra italiano. Il passo è incerto. il principe guarendo, con pena, dall’incidente di due mesi prima, durante un rally in Egitto. Una vertebra fratturata e un’altra schiacciata gli impongono il busto. Sulla pista dell’aeroporto dice: “E’ una pagina della storia, non ho parole per esprimere i miei sentimenti in questo istante”. Il solo vedere le vie di Roma lo turba. La convalescenza gli consente un breve soggiorno in Italia, poche ore per essere ricevuto con il figlio e la moglie da papa Giovanni Paolo II. Vittorio Emanuele tornerà presto a Roma, la città di tutte le emozioni. Innanzitutto quella del sontuoso matrimonio, l’anno seguente, del figlio, principe Emanuele Filiberto, con l’attrice francese Clotilde Courau. Un vero matrimonio d’amore, celebrato nella basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, tra mille invitati. Al ricevimento, a palazzo Ruspoli, si incontrano tanto il principe Alberto di Monaco e Sergio di Jugoslavia quanto il cantante e attore Johnny Hallyday e gli attori Jean Rochefort e Benoit Poelvoorde.
Arrestato come prosseneta
Roma è anche la città dove Vittorio Emanuele di Savoia si rifugia dopo i nuovi guai con la giustizia e l’arresto il 16 giugno 2006 a Varenna, sul lago di Como. E’ l’inizio di una lunga vicenda giudiziaria. che vede il principe imputato di associazione a delinquere, corruzione e sfruttamento della prostituzione. Sebbene sia prosciolto nel 2010, quest’ultimo caso affatica il principe. Confortato dalla nascita di due nipotine, le principesse Vittoria e Luisa di Savoia, si ritira in Svizzera con la moglie, principessa Marina. A fine 2019 abroga la legge salica, aprendo la via alla principessa di Carignano per rappresentare, un giorno, Casa Savoia. Tra Ginevra e Gstaad, la coppia aspira alla vita tranquilla. Da buona vicina, la sorella, principessa Maria Gabriella. fa loro regolarmente visita. Evocare ricordi comuni e conservare archivi di Casa Savoia occupa i dolci pomeriggi in giardino.
Da Torino l’ultimo viaggio
Ma, pochi mesi prima della scomparsa, va sopportata la prova del documentario su Netflix, che getta una luce cruda sulla vita di Vittorio Emanuele e sulla morte del giovane tedesco all’isola di Cavallo nell’agosto 1978. Ricordi, piaghe riaperte così tardi indeboliscono ancor più il principe, dagli ammiratori intravvisto un’ultima volta a Hautecombe nel marzo 2023, quarantennale della scomparsa di Umberto II.
Lo scorso 3 febbraio il principe s’è spento. Stanco di una vita così piena, il suo corpo intraprende ora l’ultimo viaggio da Torino, per i Savoia capitale del Regno di Sardegna, poi prima capitale del Regno d’Italia. Forse, negli estremi istanti, il figlio di Umberto II ha rivisto, in sogno, le sponde della baia di Napoli, l’impetuoso Vesuvio, che settantotto anni prima aveva lasciato…
Point de Vue, n. 3938
Finalmente una disquisizione asettica, priva di invettive, denigrazioni, pregiudizi, antitetica appunto alle maramaldesche analisi dei radical-choc, si radical-choc nostrani che, da perfetti figli del sovietismo comunista made in Usa, sono sempre pronti a guardare la pagliuzza nell’occhio altrui, anziché guardare le enormi travi che albergano i propri occhi, volutamente foderati di prosciutto.
“Mentre ormeggia lo yacht Aniram – Marina scritto alla rovescia – la lite col diportista italiano, che gli ha trafugato il battello pneumatico, finisce in un dramma. Vittorio Emanuele spara per spaventare l’autore della scorrettezza. Dopo la rissa, ciascuno torna da dove è venuto. Non lontano, però, un giovanotto tedesco, che dormiva su un altro battello, riceve un frammento di
proiettile nell’arteria di una gamba. Dopo quattro mesi di sofferenza, muore. Nel 1991 l’estenuante procedura porta all’assoluzione di Vittorio Emanuele dall’accusa di omicidio e alla condanna a sei mesi con la condizionale per detenzione e porto abusivo di armi.”
Vittorio Emanuele è stato assolto, ma resta colui che ha ucciso Dirk Hamer. Nessun altro al di fuori di lui ha sparato, per cui solo lui può avere ucciso Dirk Hamer. Si è trattato di un omicidio colposo.
Si è di fronte ad un omicidio colposo nel caso in cui si verifichi la morte di una persona come conseguenza non voluta di una condotta negligente, imprudente o inesperta, oppure inosservante di leggi, regolamenti, ordini o discipline.