Ci sono delle notti dove i sogni si mescolano alla realtà e non sai. Forse con la complicità dei mandilli al pesto con l’aglio, la trippa con le patate… Una di queste notti mi trovo ad errare nei carrugi dove i palazzi si sgomitano uno con l’altro, si rubano lo spazio. E al vicolo dei librai incontro Maria, una vecchietta che con la spesa sta cercando disperata la sua casa distrutta dai bombardamenti. Insistente, ogni tanto compare negli anni creando scompiglio: un fantasma! Mi offro di aiutarla con la borsa e nel contempo i muratori della pace, quelli con il giornale in testa – lo leggono così – ritirano su la casa. Entriamo e lei, quasi a ringraziarmi, mi addita un grosso baule, mi fa segno di aprirlo. Incuriosito lo apro e resto abbagliato da un vortice di luce, una delle nostre trombe di mare, ma luminosa, e un vociare forte, un cumulo di grida sciammanate.
Evito per un pelo il grosso malloppo de “Il milione” scagliato da Marco Polo ansioso di disfarsene e di uscire da Palazzo San Giorgio dove è segregato, catturato dai genovesi come veneziano. Gli sarebbe convenuto restare in Asia, dal Gran Khan. C’è una ressa di personaggi che si spingono per uscire, rientrare nella loro vita, mi travolgono. Ah, questo non lo urtano, grazie al suo lignaggio. Certo, si tratta del principe Oddone di Savoia. È il quarto figlio di Vittorio Emanuele II, ma con lui la natura è matrigna. Benigna quando mai? Nano, rachitico, deforme, insomma, non si fa mancare nulla. Gli fa bene l’aria di mare, sentenziano gli archiatri e con questo alibi il re se lo toglie da… corte. Come contentino lo nomina Capitano di vascello della Regia Marina. Il principe finisce a Pegli, nella villa Lomellini Rostan, che diventa, grazie a lui, una palestra di artisti e scienziati. Una vita breve di soli vent’anni, i reperti archeologici da lui raccolti vengono donati a un museo. I giornali dell’epoca lo elogiano come una brillante meteora e lo ringraziano.
Seguo un gruppetto che va verso Albaro, mi sembrano personaggi importanti. Arriviamo alla Marinetta, l’ostaia dei poeti, ricavata nella scogliera accanto al forte San Giuliano. Li identifico, accidenti è vero. Al pianoforte si accomoda Mascagni, il compositore della Cavalleria Rusticana, Coppedè modula romanze, è l’architetto del Liberty che ha costruito il castello Mackenzie e il Grand Hotel Miramare, e Gozzano, etereo, si strugge e improvvisa i suoi versi. Fanno musica aspettando la cena: cavoli neri e polenta. Alla compagnia manca uno dalla bella voce da tenore, uno che, da possibile cantante, rovistando negli avanzi della zuppa di pesce è divenuto insigne poeta. Non li può raggiungere perché ha beghe femminili da sbrigare. Siamo nel gossip, taccio il suo nome. La compagna gli chiede perentoria: “Chi è Clizia? E con la Maria Luisa solo amicizia?” dimentica del lustro del Nobel conquistato.
Gozzano è minato dalla tubercolosi, il mal sottile, ed è qui per “ritemprare il respiro, sulla spiaggia ciottolosa, all’aria marina”. L’aria è salmastra, i locali dicono: “a sa de sà”. Lui è un po’ funereo, d’altronde è crepuscolare. È fuggito dall’amore insaziabile e turbolento di Amalia Guglielminetti, la poetessa de “Le vergini folli”. Esausto le ha scritto: “Peccato che non siate uomo!” Ha un rapporto quasi morboso con la madre Diodata, evidenziato da un “laus matris” di dedica. All’insinuazione interviene Pasolini in difesa. Anche lui è molto legato alla madre Susanna, ha composto: “Supplica a mia madre”. Ma è amareggiato. È appena stato alla Società di Cultura dei Basevi, nel grattacielo più alto, e un operaio in tuta lo ha apostrofato: “Tu parli di rivoluzione, ma giri in Giulietta.” Questa la rampogna. Il severo monito del proletario al compagno che cede alle lusinghe del mondo capitalista. Pierpaolo scocciato, la conferenza è sull’etimologia dei fiori: “Io giro con l’Alfa Romeo, ma se ci sarà la rivoluzione la farò.” La dovuta conferma al vincolo, alla soggezione. E l’auto? La metterà al sicuro in garage?
Nel frattempo, D’Annunzio è allo scoglio di Quarto a inaugurare il monumento mastodontico ai Mille con una folla oceanica, una selva di pagliette, e ventotto pagine di discorso. Si dimentica di pagare il conto astronomico dell’albergo Hotel Du Parc per il suo soggiorno con alcune amiche, i suoi amorosi incendi. Almeno così denuncia alla Camera il deputato Salvemini, naturalmente smentito da Tom Antongini, segretario del poeta.
Dai cantieri navali esce il transatlantico Rex. Dopo aver vinto il “Nastro Azzurro”, record di velocità in nodi, si dondola pigramente sulle onde di cartone di Fellini.
Fatico a liberarmi di Salgari, poveretto. Continua a lamentarsi per la mareggiata che gli ha distrutto casa e libri, abita accanto alla Lanterna. Mi devo sorbire la litania dei suoi litigi con gli editori strozzini che lo porteranno al calvario in collina con un rasoio. La follia della moglie… Anche Zelda, la moglie di Fitzgerald, era fuori di testa ma quella era l’età del charleston, del jazz, del grande Gatsby, qui dei conti da pagare, dei figli da sfamare. Là i ruggenti anni Venti, qui siamo a: “Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar!” L’autore dei Corsari si è spostato a Torino. Nei lunghi ballatoi esterni, della sua nuova casa, il cesso è in comune per tanti alloggi. A Genova la sua casa accanto alla Lanterna è stata devastata da una mareggiata e il mare ha ghermito la sua collezione di libri.
Ritorno alla sciame dei più esagitati e mi ritrovo in galleria Mazzini, il cuore tachicardico della città. È definita una cattedrale laica. Le cupole di vetro, i lucernari, fanno scendere una luce opaca. Una luce che sembra appannare gli spegetti, le barricule. Ricorda quella delle notti bianche di San Pietroburgo. Più che un alveare ronzante di intellettuali, sembra un pollaio nel quale tutti vogliono fare il gallo che dà la sveglia. E può accadere che nel fervore delle discussioni i coltelli non vengano usati solo per le pietanze. È il contraltare della Darsena operosa: là la penna per le distinte di carico e scarico, qui arma di sentimenti e ardori letterari. I protagonisti? Angiolo Silvio Novaro, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Giuseppe de’ Paoli, eccetera. Naturalmente tormentati dalla superba indifferenza degli altri genovesi più interessati allo scagno: alle balle di cotone, ai sacchi di grano, alle palanche. I fogli: Endymion, Vita Nova, La Riviera Ligure… Ci sono due Bar nei quali si dividono le opposte schiere dei rumorosi nottambuli. Al Roma i filodannunziani e al Diana coloro che lo disprezzano.
Fuori da quel fastoso budello, a monte, c’è piazza Corvetto. Al centro l’imponente e ingombrante monumento di Vittorio Emanuele II che con la feluca cerca di celare alla sua vista quel menagramo di Mazzini, sempre luttuoso. Questi a sua volta cerca di alzarsi dal piedistallo per guardare meglio il busto della madre, Maria Giacinta, deposta nell’opposto giardino. Al Giardino d’Italia matinée danzanti, e sotto il pergolato di glicine ballano. Piero Parodi sta cantando “piccun daghe cianin” e sicuramente è l’implorazione ad abbattere poco i muri della memoria ma non solo. Anche di quanto abbiamo dentro di noi: ricordi di persone, eventi. E le tradizioni, che hanno acquisito religiosità.
La promiscuità e la compressione nel baule provocano qualche confusione. Luigia Pallavicini, quella celebrata dal Foscolo per la caduta, credeva di galoppare sulla spiaggia e invece scivola sulle lamiere dell’Italsider. A Rapallo vedono Nietzsche parlare con i cavalli, Angelo Lombardi con la scimmia Dolly, lo invita in tv a “L’amico degli animali.” Inconvenienti giustificati.
Ultima mia meta il mausoleo di Staglieno: porto le sigarette a Faber. Presto, l’alba sta imbiancando il palco. Rischio di incontrare mio nonno che scorta gli obici dell’Ansaldo Artiglieria al collaudo. Caproni già sprimaccia il tappeto dei tetti di ardesia e vi incide: “Genova mia di mare…” Anche lui, come tutti i poeti, è vittima dei suoi miraggi. Prende l’ascensore per andare in Paradiso e si ritrova a Castelletto! Con fatica riesco a far rientrare quella folla scalmanata nel baule magico e a richiuderlo. Presto, devo rientrare… a casa.
COMPLIMENTI!!!! Da abitante della Superba ho apprezzato questo racconto e le bellissime figure narrate