Il 13 dicembre 1963, alla Camera dei Deputati era in corso il dibattito sulla fiducia al Governo – Moro che avrebbe inaugurato la lunga stagione del centro-sinistra con l’ingresso dei socialisti nella compagine di governo. L’onorevole Filippo Anfuso del Msi. stava replicando sulle dichiarazioni programmatiche di Aldo Moro quando all’improvviso rallentò il ritmo del suo eloquio fino ad accasciarsi sui banchi di Montecitorio per un improvviso malore. Non riuscì più a riprendersi e nelle ore successive dovette arrendersi concludendo la sua esistenza terrena. Nei minuti che precedettero il trapasso e che seguirono al malore aveva esclamato quasi a giustificarsi nei confronti del medico della Camera dei Deputati: «Chiedo scusa…volevo seguitare a finire il discorso per orgoglio di deputato…». Unanime fu il cordoglio per questa “bella morte”, degna di un combattente e di un politico di razza e di animo nobile, che, secondo lo storico Giuseppe Provenzale, «per la sua personalità, per la sua coerenza, per il suo stile, seppe assurgere al ruolo dei vincitori anche quando una mediocre cronaca spicciola politica voleva relegarlo nel ghetto dei vinti.»
La biografia di un gigante
Ma chi era Filippo Anfuso? Era nato a Catania nel 1901, radici mediterranee, oseremmo persino dire “magno-greche”, che vivificheranno il formarsi della sua personalità e della sua profonda cultura e visione geopolitica. Egli si laureò in giurisprudenza nel 1925 ma poiché non gli dispiaceva scrivere versi e prose si era fatto già notare nel campo delle lettere sin dal 1917. Scelse però la carriera di diplomatico partecipando appena laureato, insieme a Galeazzo Ciano, ad un concorso per 35 posti da “addetto di legazione” presso il Ministero degli Esteri e classificandosi al 1° posto.
La sua carriera diplomatica fu brillantissima e non solo per la sua spontanea e convinta adesione al Fascismo ma anche per le sue competenze e la sua professionalità, cose che nemmeno la pubblicistica antifascista gli disconobbe. F.W. Deakin e Erich Kuby lo descrivevano come uno dei più abili, intelligenti e coraggiosi diplomatici della Seconda Guerra Mondiale. Per quanto la sua adesione al movimento mussoliniano fosse frutto di una solida e disinteressata convinzione, non rinunciò mai ad esprimere le sue opinioni anche quando queste dissentivano da quelle della corte dei gerarchi che circondava il Duce o da quelle dello stesso Mussolini. Valga per tutti l’esempio del suo dissenso sull’invasione della Grecia.
I suoi rapporti con Ciano, che affiancò e con cui collaborò al Ministero degli Esteri fino al 25 luglio, e con lo stesso Mussolini,non erano quelli di uno Yes man o di un acritico e passivo collaboratore tutto proteso a perseguire fini carrieristici. Lo spessore della sua personalità, il senso dell’onore, la capacità di penetrare nella psicologia dei suoi interlocutori (persino dello stesso Hitler) lo mettevano nelle condizioni di rapportarsi ad essi perlomeno sul medesimo piano di confronto. Durante i drammatici 600 giorni di Salò molto si adoperò per i soldati italiani internati in Germania, anche se i risultati non furono sempre del tutto positivi. I soldati italiani internati nei campi di lavoro tedeschi, dopo l’8 settembre, erano circa 620.000. Anfuso riorganizzò velocemente il Ministero degli Esteri creando un Servizio Assistenza Internati (Sai) e dopo un serrato confronto/scontro con Ribbentrop e lo stesso Hitler riuscì ad ottenere il riconoscimento dello status di “lavoratori a contratto” di questi soldati (cosa che li sottraeva di fatto alla deportazione neicampi di concentramento deputati alla “soluzione finale”) e a far giungere a loro 250 vagoni con 20.000 quintali di derrate alimentari, nonché l’abbattimento dei reticolati che recintavano i campi di lavoro. Dice Giuseppe Provenzale: «Nel marzo 1945 7.000 italiani, gravemente malati vennero dunque rimpatriati e le parole di Anfuso contro i colleghi della diplomazia fuggiti al Sud, nonostante il rammarico per quanto con i suoi collaboratori non riuscisse a fare, la dicono lunga sull’evidenza di dati di fatto che anche storici antifascisti, come i già menzionati Deakin e Kuby, hanno dovuto rilevare».
Contro i rastrellamenti tedeschi
Egli spesso si trovò a protestare fermamente contro i maltrattamenti e i rastrellamenti dei tedeschi nei confronti degli italiani ma seppe anche riconoscere quanto tali proteste fossero spesso inefficaci e destinate alla frustrazione dei suoi sinceri ed impegnati sforzi diplomatici: «Devo vergognarmi della mia impotenza e sinceramente me ne vergogno».
L’assoluzione e l’adesione al Msi
Il 12 marzo del 1945, durante il processo Roatta, l’Alta Corte di Giustizia lo condannò a morte per essere stato mandante dell’assassinio dei fratelli Rosselli, fu assolto poi con formula piena dalla Corte di Assise di Perugia il 14 ottobre 1949. Col rientro in Italia decise di aderire al Movimento Sociale Italiano. Alla corrente di Augusto De Marsanich e sostenne la segreteria di Arturo Michelini credendo nel progetto politico di quest’ultimo di poter creare un’alleanza di centro – destra in funzione anticomunista. La motivazione di questa scelta risiedeva nel fattoche Anfuso concepiva il pericolo comunista e sovietico ben più imminente e disastroso di quello liberal-capitalistico. Furono ragioni del genere che lo portarono anche a battersi, all’interno del M.S.I., per l’adesione dell’Italia alla Nato. Afferma Sandro Setta:« …fu tra i sostenitori, in un partito inizialmente diviso tra atlantisti ed antiatlantisti, della necessità dell’adesione dell’Italia al Patto atlantico (apr. 1949), che giudicava l’unico mezzo per difendere l’Europa dalla minaccia sovietica (in quest’ambito si dichiarò convinto fautore del riarmo tedesco.)»
Riteneva però questa scelta non come frutto di una sua riflessione teorica e dottrinale, bensì era convinto che fosse oggettivamente dettata da una realistica considerazione del dato storico e destinata ad essere superata con la nascita e l’affermazione di quella che egli definiva “Europa-Nazione”, espressione che costituì, tra l’altro, la testata di una sua rivista di geopolitica. Anzi proprio il tanto sangue versato sui campi di Europa tra vincitori e vinti costituiva per Filippo Anfuso un potente acceleratore del “processo fatale dell’unità europea”
Questa apparente contraddizione tra battaglia interna per l’adesione al Patto Atlantico, finalizzata a sventare il pericolo sovietico di invasione dell’Europa e dell’Italia che era più prossima alla cortina di ferro, da una parte, e visione in prospettiva di un’emancipazione europea dalla interessata e non gratuita tutela americana,dall’altra, sfociava in una posizione che potremmo definire di “neoatlantismo di destra”, speculare rispetto al “neoatlantismo” di Enrico Mattei e della sinistra democristiana. La visione di Anfuso mirava al superamento delle drammatiche e sanguinose divisioni che i popoli europei avevano sperimentato durante i più recenti conflitti mondiali. Egli lavorò e si impegno politicamente e con la sua attività di parlamentare perché l’Italia non fosse del tutto subordinata agli Stati Uniti ma si proponesse con un suo ruolo propositivo, dinamico e anche critico, quando ne ricorressero gli estremi, all’interno dell’Alleanza Atlantica. L’Italia doveva, con procedere pragmatico e realista, essere motore «di un’Europa vertebrata, salda, non svuotata, come la vogliono le sinistre ( e come è stata poi costruita, n.d.r.), dei valori e delle sue grandi tradizioni, orgogliosa, armata per la sua difesa, capace di mobilitare e coordinare le sue energie e le sue intelligenze per essere economicamente, politicamente, culturalmente pronta a raccogliere le grandi sfide che le vengono dal mondo».
In questo disegnarsi un ruolo, l’Italia non poteva dimenticare di essere naturalmente “ponte” e al tempo stesso “scudo” dell’Europa con la sua posizione al centro del Mediterraneo. Mai ignorando che il vero e più insidioso nemico era la Russia sovietica, occorreva anche avere la forza morale e politica di saper dire dei “no” alla Nato se essi potessero risultare utili a tutelare l’interessa nazionale.
In queste posizioni dottrinali e teoriche, non dimentiche dei concreti rischi dello scenario da “guerra fredda” di quegli anni, è evidente un approccio specularmente simile a quello che animò Enrico Mattei nelle sue incursioni mediterranee contro le ex potenze coloniali occidentali e gli Stati Uniti. Probabilmente queste due visioni non ebbero modo di incrociarsi perché Mattei, dopo la caduta del Governo Tambroni, lavorò all’ingresso dei socialisti nell’area governativa e ciò determinava una reciproca diffidenza tra i due.
Anfuso, nelle sue riflessioni sull’Europa-Nazione, faceva anche cenno all’importanza di un patrimonio valoriale comune che poteva far da collante tra le varie nazioni europee per superare ogni atteggiamento sterilmente sciovinista o grettamente nazionalista. Non è esplicitato in maniera evidente ma il riferimento non poteva che essere diretto all’eredità greco-romana e cristiana. A tal fine è emblematico come Anfuso riporti nel suo memoriale Da Palazzo Venezia al Lago di Garda l’episodio di una discussione tra Hitler e Mussolini a Monaco, allorquando Hitler si lasciò sfuggire l’espressione “Ich bin Heide” (sono pagano) cheMussolini gli contestò sul piano logico e storico. Mussolini, secondo Anfuso, colpito da quella frase, più volte rammentò all’ambasciatore quel fatto chiosando con queste testuali parole: «È pagano! E dice a me che è pagano! Ma come si fa ad essere pagani?» Questo episodio aveva convinto Anfuso che la firma dei Patti Lateranensi non era stata motivata soltanto da ragioni squisitamente e politicamente pragmatiche, rispondenti alla “Ragion di Stato”.
È singolare che il ricorrere il 13 dicembre scorso del sessantesimo anno dalla morte di Filippo Anfuso sia passato in silenzio e sotto traccia, che ci siano state poche iniziative per ricordare la figura di questo personaggio di primo piano degli anni della guerra civile, come di quelli della costruzione della 1^ Repubblica; un personaggio che aveva molto da dire all’Europa e all’Italia attuale con la sua attenzione al Mediterraneo e la sua riflessione sui valori unificanti di un’Europa – Nazione. Se taluni orientamenti ed indirizzi della politica estera di Giorgia Meloni (Piano Mattei) inizieranno ad affermarsi e concretizzarsi, non possiamo e non dobbiamo dimenticarci del debito dottrinario e culturale che la Destra ha verso Filippo Anfuso.
Bell’articolo.