E’ scomparso Pietro Barcellona, intellettuale e anima critica e inquieta della cultura italiana. In questo scritto Felice Giuffrè, costituzionalista dell’Università di Catania e firma di Barbadillo, ricorda la figura di uno studioso complesso e aperto. Merce sempre più rara.
«Di buone cause per cui morire non ce ne hanno lasciato nessuna!». Con questa frase di Pietro Barcellona lo storico Giuseppe Giarrizzo ha ricordato l’amico e il collega scomparso lo scorso 7 settembre. Eppure Barcellona non ha mai interrotto la sua ricerca di senso, spaziando dal diritto alla filosofia, dalla psicologia alla pittura, dalla militanza comunista nelle fabbriche di Catania e nelle istituzioni della Repubblica alla riscoperta di Cristo, non come suggestione intellettuale, ma esperienza storica, da ripercorrere muovendo, innanzi tutto, dalla ricerca delle Sue tracce in Terra Santa.
Del resto l’attenzione alle prassi e ai processi sociali è stata il filo rosso sempre seguito da Barcellona nella suo percorso multiforme di giurista, intellettuale e politico, già a partire dal 1972, quando, da promotore del convegno catanese su “L’uso alternativo del diritto”, rivendicavaper il Diritto privato e, soprattutto, per i suoi interpreti quel compito di trasformazione sociale, sino a quel momento estraneo ad una disciplina che era stata intesa come il manifesto dello Stato borghese individualista.
Nelle convulsioni degli anni Settanta si sviluppa anche l’impegno politico di Barcellona nel Partito Comunista Italiano, in Parlamento, nel Consiglio Superiore della Magistratura e, ancora, alla guida del Centro per la Riforma dello Stato fondato da Pietro Ingrao, da cui sviluppò la sua critica alla visione individualista ed economicista dominante negli anni Ottanta.
Proprio l’attenzione ai fondamenti solidaristici del legame sociale e la sua profonda convinzione che ogni comunità ha bisogno ritrovare il proprio collante nelle idee-forza, che attraverso mitologie e riti, formano l’immaginario collettivo, lo hanno condotto, dopo la caduta del muro di Berlino ed il crollo delle ideologie, ad incrociare la strada della Nuova Destra francese ed italiana.
Con Alain De Benoist, che ospitò più volte nelle aule delle Facoltà di Giurisprudenza e Scienze Politiche dell’Università di Catania, ha condiviso la visione antindividualista e comunitarista, le battaglie contro il nichilismo delle nuove generazioni e l’alienazione tipica della società occidentale e, dunque, l’esigenza di una visione spirituale del mondo per ricercare il senso della vita.
Della Nuova Destra, tuttavia, criticava l’eccessivo intellettualismo e la convinzione che i processi sociali e politici possano essere governati con la teoria; dunque, l’incapacità di farsi movimento politico e di incidere sulla realtà quotidiana. Pietro Barcellona, in coerenza con il filo conduttore del suo percorso terreno, era convinto, all’inverso, che il pensiero deve essere lo strumento per illuminare la prassi, assegnando alla stessa significato e valore, così favorendone, con metodo socratico, la trasformazione.
Proprio su queste basi, dunque, spiegava il suo incontro con la figura storica di Cristo e il significato del cristianesimo nella parabola della sua esistenza, mentre considerava artificioso il neo-paganesimo professato da alcuni esponenti della Nuova Destra. Pietro Barcellona ha vissuto la fine del movimento comunista con autocritica e autoironia, ma sempre con il desiderio di trasmettere ai giovani il seme di un nuovo umanesimo e la speranza di una civiltà comunitaria e spirituale.
Arrivederci Professore, ci mancherai.