Un eccezionale studioso dell’immaginario, della letteratura e della politica in prima linea nella promozione del libro in Italia. Luciano Lanna è il nuovo direttore del Centro per il libro e la lettura. Succede ad Angelo Piero Cappello, diventato Direttore generale Creatività contemporanea del Ministero della Cultura. Lanna, dottore di ricerca, studioso dell’immaginario e giornalista professionista, si è detto “onorato di poter raccogliere il testimone alla Direzione di una istituzione fondamentale per la promozione culturale del nostro Paese”. Per il nuovo direttore, “la lettura è l’attività più propria dell’essere umano, è il presupposto di tutto ciò che definisce la nostra specifica dimensione culturale. L’atto del leggere non è infatti un fatto istintivo come il mangiare, il bere, il far fronte ai fenomeni atmosferici, il proteggersi. Ma è la conferma di una antica consapevolezza filosofica: la scrittura e la lettura sono processi non naturali e biologici, ma modalità attraverso cui l’uomo inventa la propria creatività e crea conseguentemente lo spazio per la propria libertà autentica”.
Ragione sociale del Centro, prosegue Lanna, è da questo punto di vista “la promozione della lettura in Italia, attraverso la messa in campo di tutti gli strumenti utili al potenziamento di questo elemento base della nostra crescita culturale. Dopo le epoche del papiro, della pergamena, della carta, del libro stampato è evidente che siamo in presenza di un’ulteriore rivoluzione della lettura e dei suoi supporti che, con la digitalizzazione globale, nelle pratiche d’uso quotidiane ha soppiantato da qualche decennio la centralità del medium “libro” per prospettare una modalità della lettura sempre più diversificata e trasversale in termini di formato e di diffusione”.
Lanna, infine, cita l’ammonimento di Federico García Lorca: “È giusto che tutti gli uomini abbiano da mangiare, ma è altrettanto giusto che tutti gli uomini abbiano accesso alla lettura. Che tutti possano così godere i frutti dello spirito umano, poiché il contrario significa trasformarli in macchine al servizio di una organizzazione sociale disumana”.
Lanna stato condirettore de L’Italia Settimanale, tra i fondatori di Ideazione, vicedirettore dell’Indipendente e direttore del Secolo d’Italia. E’ autore del monumentale saggio “Fascisti immaginari” per Vallecchi.
A Luciano Lanna un “sursum corda” dalla comunità di Barbadillo, sicuri che da lassù saranno contenti il maestro Giano Accame e l’amico di sempre Antonio Pennacchi.
Gli occhi che leggono, toccano, annusano un libro, una pagina, la sentono girare, vedono il volume nello scaffale e lo prendono per una citazione o riflessione, appartengono al mondo dei 5 sensi, il mondo della cultura reale, quella verbale, anche analfabeta, della vita in diretta da cui sono scaturite le lingue, secondo l’affermazione di don Milani “le lingue le fanno i poveri i ricchi fanno le regole di grammatica”. Il digitale è il regno degli schermi e della moltiplicazione geometrica delle regole di grammatica nel funzionamento dello strumento che diventa obbedienza ideologica assoluta quasi istintiva in alcuni privilegiati. Auguri.
Il digitale, il PC, Internet, Social ecc. invece di moltiplicare le occasioni di lettura le hanno paradossalmente ridotte al minimo o al silenzio. La maggioranza dei giovani legge quasi nulla, in Italia ed altrove (anche dove vivo, in Uruguay). E non sa scrivere una lettera. Mio suocero uruguaiano aveva una biblioteca di qualche migiaio di volumi, come me. Mia figlia architetta, sposata a un ingegnere, madre di due bambine, qualche libro… ma solo per la decorazione dell’ambiente…purtroppo! Non ha veri stimoli intellettuali, culturali, curiosità che vadano al di là del contingente, ed è così per la stragrande maggioranza della sua generazione di quarantenni. Figuriamoci i ventenni…
Le regole di grammatica le fanno i ricchi? Siamo nel pieno delirio! Quindi tu i libri come li pubblichi? Senza punteggiatura? Senza margini? Con le righe storte? Pensa piuttosto a tutti quei bifolchi, a partire dai borgatari che andavano dietro al Pci, che, quando vedono uno che legge un libro, si scandalizzano e si arrabbiano (quarant’anni fa dicevano che era “fascista!” Infatti da comunisti era ottenere la promozione senza aver studiato, come spiegato da quel sociopatico di don Milani tuo eroe). E poi magari dicci di che estrazione sociale sei.
Bravo Luca ! Bisogna finirla con questi pseudo profeti alla “don Milani” .
Dire che i poveri fanno la lingua e i ricchi le regole di grammatica non vuol dire negare la grammatica che come il galateo è civiltà, ma vuol dire distinguere contenuto e contenitore: che le mani sono importanti per la ragione e l’esperienza diretta, analfabeta, dei cinque sensi è la base della cultura materiale, fra i cosidetti povri ci possiamo mettere anche i bambini e il loro modo di imparare le parole dalla madre, dall’esperienza diretta di vedere il mondo tramite l’affetto della madre. Credo anche che sia una tappa essenziale per liberare la nostra appartenza a questa terra italiana quella di capire che le vecchie contrapposizioni comunisti/fascisti, destra/sinistra siano state una trappola che non ci hanno lasciato crescere come cultura comune, perchè qualcosa di nostro c’è da ogni parte.
Quanto a don Milani la promozione senza aver studiato è stata una delle degenerazioni del ’68 in ambito universitario che non lo riguardava affatto perchè lui nella sostanza apparteneva all’aristocrazia medioevale in cui i cavalieri si dedicavano alla difesa degli orfani, delle vedove e degli ultimi, ma nel suo lavoro di dare agli ultimi la parola è stato severissimo, li faceva studiare 365 giorni all’anno e non si limitava al programma ministeriale ma spaziava anche sull’apologia di Socrate, sulla musica classica, sull’astrolabio, sul lavoro manuale che apre la mente ecc. ed era per lui un passaggio obbligato perchè potessero intendere il vangelo. Comunque, per quanto se ne possa pensare tutto il male possibile, resta che ha lasciato una serie di messaggi che ancora sono da scoprire nella loro completezza culturale e di visione.
Ma il ‘milanismo’ eccome ha fatto danni, della mano dei comunistoidi…
Il milanismo non è don MIlani
Sarà, di certo la ‘professoressa’ sua interlocutrice-avversaria era iscritta al PCI… Anch’io ebbi a Torino tanti anni fa una Togliatti professoressa d’Inglese. Filai due volte a settembre… Però nel ’68 il gruppo dirigente comunista fece la castroneria di appoggiare le tesi del MS e del ‘milanismo’. E di lì deriva gran parte el disastro attuale, di fronte al disinteresse degli sciagurati democristiani al governo ed all’insignificanza della destra di allora, ghettizzata e quasi senza voce…
Il gruppo comunista nel ’68 fece finta di appoggiare le tesi del MS in realtà ci entrò per condurlo dove voleva e disinnescarne la carica innovatrice, contribuendo a diffondervi l’ideologia marxista.
Il vero ’68 nacque in America a Berkeley il 2 dicembre del ’64 con un discorso di Mario Savio, leader degli studenti, che ruotava attorno al tema della liberazione dal meccanicismo ideologico illuminista, liberale, marxista e industrial/consumista che riassume i precedenti, “Il rettore ci ha detto che l’università è una macchina; se è così allora noi ne saremo solo il prodotto finale, su cui non abbiamo diritto di parola. Saremo clienti – dell’industria, del governo, del sindacato…ma noi siamo esseri umani!….” In questa reazione contro l’entrare in una società come catena di montaggio c’erano già le prime basi della rivoluzione ecologica (v. Il mio libro La rivoluzione integrale) che non è né di destra né di sinistra, ma fa riemergere alcune critiche alla modernità fatte dalla chiesa. Il problema è che la destra, nata nella rivoluzione francese e arrivata fino alla destra nostra, non è conservatrice ma altrettanto industrialista, cementificatrice e disponibile a servire la commercializzazione finanziaria quanto la sinistra, la quale ha preso la bandiera ecologica per tenerla ai margini delle magnifiche sorti e progressive della società dei consumi.
L’interpretazione del milanismo da parte del MS è una degenerazione interessata del lavoro di Don Milani, il quale si occupava solo delle elementari e delle medie e di dare la parola a chi non l’aveva perché potesse farsi valere nella vita e capire il vangelo. In una lettera scrive (cito a memoria e potrei sbagliare qualche parola ma non il senso) “la scuola come io la vorrei non sarà fatta che da una famiglia dove il babbo e la mamma fanno scuola ai loro figli o da una parrocchietta di montagna dove il parroco fa scuola ai ragazzi, cioè per amore, non dallo stato”. A mio parere lui contesta allo stato di curare i sani ed espellere i malati proprio in quei primi anni delle elementari e delle medie, dove invece tutti devono essere portati ad acquisire la parola: l’unica incarnazione di una parte di questo principio è stato l’insegnante di sostegno.