Come quello in India dorme e tiene in vita nolontà e volontà di tutti noi col proprio Nirvana così Benino – il pastore dormiente – fabbrica il presepio.
Si dice presepio e non presepe apposta perché qui si segnala la speciale qualità della ninna-ò della Misericordia: quella della Creatura alla quale solo mamma è tutto e niente più.
Solo mamma basta.
È il presepio di Benino che fa la nanna davanti a tutti noi che ce ne restiamo immersi nell’attesa di rinascere nella viva Luce, manco a dirlo invitta.
Osservatelo. Benino il pastore fa di un cespo di verdura – di una catasta di legna all’occorrenza – il suo guanciale.
Studiatene i calzari. Sono solo lane avvolte ai calcagni, intrecciate di corde.
Non disturbatene il sonno e guardate qual è il suo giaciglio: il prato dove brucano le pecorelle.
Non fiatate, la sua coperta è la Santa Notte dalle stelle disegnate sul cartone.
Ed ecco il suo bello in tanto bello: le rocche di sughero lo tengono a riparo dal ruscelletto di stagnola inzeppato di papere tutte a galla, tutte sproporzionate tra capanne, case e botteghe troppo piccole o troppo grandi e sempre pericolanti nel dislivello di muschio e cortecce con lui – generatore del Cosmo col suo sonno, beato lui – senza tema di nulla, ronfa.
La Meraviglia
Non s’accorge di nulla, Benino.
Un ben preciso personaggio, quello inteso come il pastore della Meraviglia, lo addita a tutti: “Dorme sul più bello!”.
Il pastore dalla stupefatta Meraviglia, a braccia aperte e bocca aperta – perfino spaventato da siffatta lucentezza, tanto fa tanto d’occhi – trasecolato per com’è non si capacita come di fronte alla nascita del Bambino, Benino non riesca a svegliarsi.
Lo guarda arruffato e lo indica al Cuoco col cappello bianco, alla Contadinella che sparge crusca alle galline e anche ai Mori di Palestina che soffiano il loro lieto baccanale sui flauti, sui pifferi e sulle trombe in festa. Ma è nientemeno Meister Eckhart nel suo Commento al Vangelo di Giovanni – dal suo lucente Medioevo – a decifrare il significato di Benino nel ninna-ò dell’umanità.
Una dottrina del risveglio, infatti, attende il pastore Benino: “Gli angeli diedero l’annunzio ai pastori dormienti”.
Benino casca dal sonno e così genera il logos di tutti noi che tra i profumi delle caldarroste e gli effluvi di torrone lo osserviamo dormire.
Chi lo colloca nel presepio sa che Benino solo così – incurante di sé, totalmente distaccato– può mostrare la Gloria divina e risplenderne.
Quel suo sonno, infatti, è il vero essere dell’uomo libero di spirito, di incondizionata beatitudine e di viva gioia.
Quel pisolino cristallizzato nella terracotta è il momento esatto in cui l’impasto umano s’invola nel rango supremo dello stato divino.
S’è detto apposta presepio e non presepe perché solo la sana e sacra devozione popolare – com’è propria del Sud del Sud dei Santi – può coincidere con l’alta vetta del magister domenicano di Germania. Solo nel presepio del beatissimo Regno delle Due Sicilie – sempre e solo sangue di popolo – può aver avuta collocazione, e restarvi, il pastore Benino.
Deliberatamente si tratta di un pastore perché quelli come Benino, tutti impuzzati di capre, di pecore e di agnellini ancorché svegli, nel loro essere considerati impuri – al punto che è proibito loro l’ingresso al Tempio di Gerusalemme – sono in verità i prossimi all’abisso della Dimenticanza e dunque primi al cospetto della Grazia che in questi giorni abita la Stalla.
Il Lebemeister Eckhart, maestro di vita, secondo la definizione di Martin Heidegger interroga l’imago Dei lungo tutti i passaggi della molteplicità laddove migliore viatico del “costruire, abitare e pensare” (Bauen Wohnen Denken) non è che il presepio: la fabbrica in legno leggero, terracotta, muschio e frale cartone dove il darsi di tutti – degli uomini di buona volontà – è fondamentalmente il luogo dove stare.
Ed è il restare di Benino nel suo darsi alla letizia.
Ed è il dove, in quel suo stare, di restarsene incurante del Bimbo nella Stalla che, appena nato, non piange. Anzi, ride.
E ride di Benino, il Bimbo.
Ride perché nel miracolo di tutto e di tutti – con i Magi di Persia chiamati alla Grotta dalla Cometa in cielo – quello, invece di starsene a bocca aperta a far “Tu scendi dalle Stelle”, dorme.