![](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2023/12/9791259753564-333x500.jpg)
Il genere autobiografico si articola per definizione in narrazioni più o meno soggettive della realtà; quando queste ultime s’intrecciano inesorabilmente con fenomeni che a distanza di decenni mostrano ferite non del tutto rimarginate e conservano non pochi lati oscuri – come la tormentata stagione degli anni di piombo – si può incorrere talvolta nel rischio d’interpretare i fatti in modo forzato e discutibile.
“L’infiltrato di Dio – Dalle Brigate rosse alla conversione, la storia di uno straordinario viaggio di fede”, pubblicato nel 2023 da Tau Editrice, ripercorre le vicende di Valter di Cera, giovane apprendista della lotta armata radicalizzatosi nel gruppo di ex militanti di Potere operaio del comitato comunista di Centocelle, destinato a cambiare radicalmente vita a seguito di un apparente imprevisto, punto di partenza di una ricostruzione che poggia su un disegno provvidenziale di cui egli sarebbe stato strumento consapevole.
L’infiltrato di Dio
L’arresto di Prospero Gallinari, avvenuto in via Metronia a Roma il 24 settembre 1979, ha celato a lungo un particolare significativo: disobbedendo all’ordine del compagno di sparare ai poliziotti per assicurargli copertura mentre sostituiva la targa di un’automobile in dotazione alle Brigate rosse, Di Cera ne facilitò di fatto la cattura. Il conseguente fallimento del “Piano Isotta”, finalizzato all’evasione di massa dal carcere dell’Asinara di esponenti storici del terrorismo di sinistra, introduce un più ampio excursus sui trascorsi del protagonista meno noto, inizialmente legato a movimenti cattolici post-sessantottini e parte attiva delle caritative di Comunione e Liberazione a sostegno dei baraccati delle zone degli acquedotti romani.
Nel clima di esasperata propaganda che alimentò paure collettive e forme di violenza incontrollabili, di massiccia sensibilizzazione verso tematiche – uguaglianza, solidarietà verso i poveri e classi sociali sfruttate, giustizia sociale – veicolate dal marxismo e dalla teologia della liberazione, le motivazioni che spinsero l’autore ad aderire all’antifascismo militante sono identificate in un’inclinazione intellettuale e in una curiosità antropologica innescata da un professore di liceo; l’enfasi sull’errore di reclutamento dei terroristi (ovviamente rivelatosi tale solo a posteriori) si sovrappone al riconoscimento delle proprie responsabilità individuali.
![](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2023/12/Valter-Di-Cera-350x299.jpg)
Sospettato d’infiltrazione dai brigatisti, Di Cera si arruolò in Friuli nella Divisione Folgore grazie a una raccomandazione ottenuta dal padre presso il Ministero della Difesa, iniziando subito a collaborare con la magistratura e con i Carabinieri incaricati di arrestarlo. La mancata divulgazione di quest’ultima notizia determinò una situazione paradossale: in qualità di reo confesso egli divenne infatti consulente della Prima Sezione Speciale Anticrimine del Reparto Operativo dell’Arma.
La marcata contrapposizione tra forze del bene e del male, il netto e repentino capovolgimento di posizione eterodiretto da forze misteriose contro il terrorismo, l’immediata unità d’intenti con tutti i nuovi interlocutori delle forze dell’ordine e il reiterato rifiuto dell’offerta ricevuta dagli ormai ex compagni di riparare con denaro e documenti falsi in Francia costituiscono parte integrante del racconto.
La Squadra Acchiappi
La conoscenza delle dinamiche interne acquisita in un anno e mezzo di militanza convinse, dunque, il Maggiore Mario Mori ad ingaggiare Di Cera per sostenere l’operatività relativa a due tipi di servizi che finirono per sovrapporsi: quello di osservazione, controllo e pedinamento finalizzato a scoraggiare le attività di reclutamento delle Brigate rosse e quello della ricerca dei latitanti ritenuti maggiormente pericolosi.
Giustificata dallo stato d’emergenza, la nuova prassi d’intelligence non convenzionale e concertata con il servizio segreto civile si tradusse nell’istituzione della cosiddetta Squadra Acchiappi, che attraverso il metodo dei “rami verdi” – una tecnica investigativa ereditata dal nucleo del generale Dalla Chiesa che consisteva nel lasciar liberi di agire esponenti minori per risalire attraverso il loro tramite all’intera organizzazione – garantì gli arresti di membri della direzione strategica, di militanti delle brigate territoriali e dei fronti centrali, soprattutto della colonna romana. Non sempre esponenti di secondo piano, alcuni di essi furono successivamente scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare e si rifugiarono in Francia, beneficiando della protezione prevista dalla dottrina Mitterand.
Partendo da elementi oggettivi, come l’assassinio del Maresciallo Mariano Romiti avvenuto nella capitale il 7 dicembre 1979, l’autore confuta la tesi – piuttosto diffusa – di un ripiegamento delle Brigate rosse all’indomani dell’uccisione di Moro, accreditando l’ipotesi che la cosiddetta ritirata strategica, subdolamente orientata a recuperare risorse ed energie per riorganizzarsi, sia stata provocata dalle suddette attività di contrasto. Lascia, peraltro, perplessi non la convinzione di aver contribuito in modo rilevante all’aggiornamento delle informazioni d’archivio per le indagini dei Carabinieri condotte tra il 1980 e il 1982, quanto l’attribuzione sistematica della riuscita degli acchiappi a intuizioni, sogni premonitori e rivelazioni superiori.
L’autore, infatti, elabora gli avvenimenti secondo questa chiave di lettura dopo aver trascorso un lungo periodo degli arresti domiciliari in un convento dei missionari oblati del Movimento dei religiosi dell’opera di Maria: infondendogli “una dimensione di profonda spiritualità”, il suo confessore padre Angelo Dal Bello gli comunicò che era stato prescelto dal Signore. Il percorso di conversione proseguì di pari passo con gli aiuti ricevuti da Graziella De Luca e dal Movimento dei Focolari, pronti ad assicurargli copertura mettendo a disposizione abitazioni segrete.
La citazione degli omicidi politici che continuarono a scuotere l’opinione pubblica nella seconda metà degli anni ottanta, come l’uccisione del professor Ezio Tarantelli, prelude ad un passaggio problematico: da un lato si argomenta che, pur avendo ricevuto colpi fondamentali, la lotta armata non era ancora sconfitta, dall’altro la netta diminuzione del numero delle azioni e l’implosione delle organizzazioni terroristiche induce a sostenere che la dissociazione (eretta a espressione laica del principio della riconciliazione) e la collaborazione fattiva con lo Stato di centinaia di militanti furono i fattori decisivi che consentirono di debellare il fenomeno.
Le ultime retate della Squadra Acchiappi assicurarono alla giustizia nel 1988 prima Antonino Fosso (elementi indiziari a suo carico confermerebbero lo stadio avanzato della preparazione di un attentato ai danni di Ciriaco De Mita) e poi i responsabili dell’omicidio del senatore Roberto Ruffilli, stretto collaboratore dell’allora neo presidente del Consiglio. Di Cera individua un aspetto oscuro nel recente rifiuto della richiesta di estradizione avanzata dall’ex Ministro della Giustizia Cartabia da parte della Corte di cassazione francese, ipotizzando che la decisione possa aver costituito un salvacondotto per gli autori materiali degli ultimi atti di sangue di una stagione maledetta.
Non sempre scorrevole sotto il profilo stilistico, la testimonianza della sua storia può anche rievocare in alcune sequenze le scene di un film, come osserva nella prefazione Angelo Picariello. Si può tuttavia inquadrare più efficacemente, a modesto parere di chi scrive, neutralizzando contenuti e toni talvolta iperbolici e attribuendole una dimensione più consona nel pregnante contesto che, riconoscendole una funzione non trascurabile, ne racchiude l’immagine e la sostanza nel ruolo del “pentito di pattuglia”.