«Questa è l’età della nostra assenza dal mondo, anche
se lo abitiamo ancora. […]
dove voci meccaniche ci guidano nell’oscurità»
Questi versi duri impietosi del poeta ecologista Wendell Berry mi portano a riflettere sul nostro stile di vita, che la civiltà industriale ha ormai imposto a tutti i popoli della terra. E mi chiedo: quanti di noi sollevano ancora il capo verso il cielo durante la loro giornata? Quanti di noi conoscono i nomi delle costellazioni o si fermano a guardare il volo degli uccelli o la tempesta senza provare il bisogno di fotografarli e mettere le foto in rete? Quanti di noi cercano di non mettere al centro del mondo il proprio Io?
Le macchine, i computer, i cellulari, tutto concorre a catturare la nostra attenzione, ad una certa fissità dello sguardo, a guardare solo avanti e mai in alto. Abbiamo perduto la dimensione verticale dell’esistenza. Quella, per inteso, che insieme alla dimensione orizzontale (e a questo allude il simbolismo della croce), rende umana la nostra esistenza. Sotto questo profilo il treno e il traghetto offrono, rispetto all’auto e all’aereo, ancora una speranza. Ci consentono di osservare il paesaggio e di instaurare con le cose un’amichevole convivenza. Ed è questa, en passant, una delle ragioni insieme a quella ecologica, a quella estetica e a quella economica che ci fa dire che è un’idea sciagurata il ponte sullo stretto. Toglie bellezza e toglie senso all’esistere. Perché il problema non è tanto di rifiutare la tecnologia, quanto di non esserle succubi. Certamente la velocità e la comodità degli spostamenti che l’auto offre – il cui uso, data l’abnorme estensione delle città moderne, diventa a volte necessario – simula la libertà all’occhio dei più. Ma per la legge del contrappasso genera ansia e schiavitù.
All’incirca un secolo fa lo scrittore francese Pierre Drieu La Rochelle in Misura della Francia (1922) osservava che «tutti passeggiano soddisfatti nell’incredibile inferno, nell’enorme illusione, nell’universo di spazzatura che è il mondo moderno e in cui molto presto non penetrerà più un raggio di luce spirituale».
Percorreremo sino in fondo questa china discendente? Inferno, illusione, spazzatura. Non resterà alcuna luce spirituale a guidarci, ma solo “voci meccaniche”?
Ma, non per essere banali, ma pensiamo sul serio che il mondo del 1750, ad esempio, fosse meglio della nostra ‘Civiltà delle Macchine’? Perchè questo ‘passatismo’ antitecnologico, questo nostalgico pauperismo, di un mondo di ieri sporco, affamato, pieno di malattie, di una mortalità infantile enorme, di povere donne sempre incinte fino all’ultimo parto fatale, di cattivi odori, di pregiudizi ridicoli, di ‘spirito’ per lo più inesistente o meramente abitudinario o ipocrita ecc., mi irrita sempre di più!
Caro Guidobono ti suggerisco di leggere il saggio di Massimo Fini La ragione aveva torto? ~forse contribuirà ad eliminare un po di pregiudizi sull’ancient regime
E’ proprio così.
Ho studiato quel periodo per anni. Dal punto di vista illuministico…
La ragione, quando non diventa fanatica, giacobina, non ha mai torto…
Se l’ancien régime fosse stato ottimo non sarebbe caduto per 4 scalzacani di Parigi, influenzati da aristocratici ed alto borghesi… Come il Regno dei Borboni nel 1860…
Mi sono laureato in lettere, su Giambattista Vasco, con Franco Venturi (dopo che con Firpo in Scienze Politiche, con una tesi su un altro riformatore del ‘700, Denina)… Poi ho lavorato con loro per anni… Ma che cosa pretendete? Che innalzi dei peana all’irrazionalità?
Caro Guidobono, suggerivo infatti di leggere il libro di Massimo Fini che conduce una critica serrata alla modernità, documentata, non puramente nostalgica e nel segno della ragione. Con cordialità e stima
Federico di Prussia, Caterina di Russia, Giuseppe ii d’Austria, lo stesso Luigi XVI mai avrebbero condotto una ‘critica serrata alla modernità’!