“Il mondo è l’opera di un Dio in delirio!”. Non è una citazione dal Necronomicon di H.P.Lovecraft, ma un frase tratta dalle Tentazioni di Sant’Antonio, il libro più conturbante di Gustave Flaubert, che, lontano dagli orizzonti sentimentali di Madame Bovary e dall’insuperabile ironia di Bouvard e Pécuchet, si è calato negli abissi mistici di culti arcaici e dimenticate eresie per scrivere questa oeuvre extravagante, oggi riproposta al pubblico italiano in una nuova e scintillante traduzione curata da Bruno Nacci per i tipi della Carbonio Editore (pp176 €16,50).
Colto, sensibile e animato da una profonda passione per l’arte intesa come strumento di conoscenza, Flaubert ha lavorato per quasi trent’anni a quest’opera epica, in parte racconto e in parte testo teatrale. L’ispirazione scatta quando lo scrittore ventiquattrenne, durante il suo soggiorno genovese del 1845, rimane folgorato dalla tela Le tentazioni di Sant’Antonio abate attribuita a Brueghel, esposta a Palazzo Spinola. Stimolato, o forse ossessionato, dalla fantasmagorica parata di esseri mostruosi e creature fantastiche immortalata dal pittore fiammingo, Flaubert scrive ben tre versioni delle Tentazioni, la prima nel 1849, poi un’altra nel 1856 e quella definitiva, pubblicata nel 1874. In una lettera, scritta nel 1872 all’amica Mademoiselle Leroyer de Chantepie, confida di aver portato a termine l’immane fatica, durata quasi un trentennio: “tra un dolore e l’altro, finisco il mio Sant’Antonio. E’ l’opera di tutta la mia vita, perché la prima idea mi è venuta nel 1845 e da allora non ho smesso di pensarci e di fare delle letture che lo riguardano”. E di quante e quali letture si è nutrito Flaubert per tutti quegli anni, il lettore lo può intuire sin dalle prime pagine, affollate di penitenti, santi, anacoreti e maghi che trasmettono al lettore le visioni religiose e filosofiche del mondo del IV secolo. Il santo, e con lui noi lettori, intraprende una cavalcata fantastica tra divinità blasfeme e indicibili eresie, guidato da Colui che, sotto varie sembianze, alla fine si svelerà come l’Avversario ultimo. Le seduzioni demoniache, più che solleticare i sensi, stimolano l’intelletto del vecchio monaco, proiettato in una selva di culti esotici, adeguatamente elencati e spiegati dal curatore in una appendice indispensabile anche al lettore colto. La diabolica efficacia delle varie seduzioni demoniache, delle quali l’ultima è la scienza, è sempre sul punto di travolgere lo spirito mistico dell’eremita, ma, alla fine –spoiler– l’eremita sarà salvato dal sorgere del sole, nella cui immagine radiosa è raffigurato il volto di Cristo.
Il santo sembra subire, più da spettatore che da antagonista, le sfide mentali che il Nemico gli sottopone, conducendolo lungo gli eruditi e impervi sentieri di eretici oggi dimenticati, ma allora fieri e temibili avversari della Chiesa di Roma. Agli ancora (forse) noti Ariani e Marcioniani, Flaubert affianca, tra gli altri, i Marcosiani, i Novaziani, i Circoncelliani, i Paterniani, i Nicolaiti, i Cainiti, gli Adamiti e altri cento seguaci di altrettanti culti realmente esistiti e da lui studiati; a questi, lo scrittore aggiunge interi pantheon di divinità più o meno esotiche: dai noti Mitra, Budda e Zoroastro, insieme con i vari dèi greci e romani, il povero Antonio deve vedersela, tra gli altri, con gli egizi Ammone e Anubi, con i demoni Arimane e Ferure, e persino con il demiurgo Yaldabaoth.
Come scrisse Michel Foucault, che a questo libro ha dedicato importanti riflessioni, Le tentazioni di Sant’Antonio è un Don Chisciotte lasciato libero di scorrazzare nelle Storia delle religioni, un’opera che diventa un gioiello della Storia della letteratura e anche un’importante tappa della Storia dell’arte, come testimoniano le splendide tavole di Odilon Redon ispirate dal libro. Ma l’eco di Flaubert si fa sentire anche oltra il campo umanistico: il giovane Freud, che ne rimase folgorato, scrisse che: “Le Tentazioni di Sant’Antonio non solo affronta i grandi problemi della conoscenza, ma ci indica i veri enigmi della vita, confermando la necessità di rendersi conto del grande mistero che aleggia ovunque nella nostra vita”. Il tema, quindi, non è più la scelta tra salvezza e peccato, tra il Male e il Bene, ma il significato della vita, smarrito di fronte a un orizzonte svuotato di senso.
Oggi, svaniti gli anacoreti e abolite le tentazioni, cosa rimane degli Dei e delle visioni, dei sogni e delle potenze flaubertiane? Resta l’essenziale, cioè l’insopprimibile dimensione spirituale, che non è più minacciata da demoni e difesa da eroi, ed è per questo ancora più fragile.
Il Sant’Antonio del quadro ci suggerisce una possibile difesa: nell’angolo inferiore destro della tela è raffigurato in ginocchio, intento a leggere, ispirato, un gigantesco in-folio. Assorto nella lettura, non viene minimamente disturbato dalle seducenti donne nude o dagli esseri mostruosi che cercano di concupirlo. Un libro, da leggere, o meglio, da studiare, può, davvero, salvarci.