Un piccolo saggio molto interessante quello del prof. Mauro Bonazzi ordinario all’università di Utrecht, Olanda, di storia della filosofia antica e medievale. L’oggetto del saggio è la conoscenza analizzata a partire dal mondo greco antico e in particolare da Aristotele. Ci si può chiedere perché e la risposta che dà l’autore è che i filosofi greci e in primis Aristotele avevano posto la questione del desiderio di sapere, di conoscere essendo noi uomini dotati di ragione, il logos.
Viene citato, a questo proposito, Aristotele che nell’Etica nicomachea scrive:
“Non si deve dare ascolto a coloro che consigliano di porre mente, essendo uomini, a cose umane, ma, per quanto è possibile, bisogna sempre farsi immortali”.
Quindi, per lui, la felicità consiste nell’essere come Dio cioè di essere in grado di comprendere il tutto, l’ordine delle cose che domina sul caos e il disordine e acquisire così l’immortalità proprio perché dotati di ragione. Tutto ciò secondo la logica del mondo greco e del suo maggior rappresentante e a questo punto, fatta questa premessa, qual è il senso del titolo del saggio che ha il nome di Ulisse e il suo naufragio? L’autore prende proprio come esempio Ulisse perché, com’è noto, è il simbolo, il precursore del viaggio che nell’interpretazione di Omero, nell’Odissea è animato dal desiderio di conoscere, di scoprire anche se poi il fine di tutta la sua azione è il Nostos, la nostalgia della patria e quindi il ritorno ad Itaca. Non è solo Ulisse, però, il personaggio centrale ma anche un’altra figura ed è il nostro Dante che viene contrapposto, che fa da controcanto al greco. In questo senso non può non venir in mente la Commedia che esprime la visione cristiana medievale.
In che cosa consiste, quindi, il porre a confronto, da parte dell’autore, il viaggiare di Ulisse con l’impresa di Dante nell’inferno, nel purgatorio e nel paradiso? Mauro Bonazza analizza “il folle volo” ( Dante) del greco e il suo fallimento, a partire dalla concezione cristiana del poeta nel XXVI canto dell’inferno in cui Ulisse naufraga con i suoi compagni andando a sbattere contro la montagna del purgatorio con la sua “picciol barca” com’altrui piacque”(Inferno XXVI). Perché Dante “a naufragare” Odisseo sulla montagna del purgatorio mentre per lui, al contrario, quel luogo è l’inizio della salvezza che lo porterà in paradiso? La risposta, secondo Dante, è che Ulisse compie il viaggio, vuol superare le Colonne d’Ercole che nell’antichità segnavano i confini del mondo conosciuto oltre il quale vi era l’ignoto, l’inconoscibile, perché è ignaro di cosa stia facendo, non comprende il senso della sua azione in quanto si basa solo sulle proprie forze, contando solo su sé stesso e soprattutto perché la sua impresa non fa parte di un progetto divino, non è voluta da chi sta più in alto al contrario di Dante che non è mosso da una sua iniziativa personale, quindi questo spiega il fatto che il fallimento piacque a Dio.
Il viaggio di Dante nella Commedia è voluto, è un dono di Dio non è una impresa autonoma del poeta. Questa è la differenza fondamentale fra i due personaggi: l’uno è mosso solo dalla ragione, solo dalla curiosità personale, l’altro compie il viaggio per un volere più alto. Si badi che anche per Dante la filosofia, il desiderio di sapere per una vita più piena sono sono sì importanti ma non bastano senza l’appoggio divino che garantisce la salvezza al contrario di Ulisse che contando solo sulle sue capacità è condannato alla “ follia”.
Il saggio di Bonazza è estremamente attuale per il nostro tempo perché ci fa capire che la nostra ragione non può tutto, non spiega tutto, non è autosufficiente e proprio questa è la condizione in cui viviamo, basti pensare ad un certo tipo di scienza o meglio di scientismo, l’illusione di credersi Dio. Saper riconoscere almeno i nostri limiti e credere in una ragione aperta al Mistero.