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“Glossario” di Carl Schmitt: idee memorie e amicizia con Jünger e Mohler

Ritrovata la libertà, riprende a scrivere il suo diario. Ma non lo fa come era sua abitudine, raccontando la cronaca giornaliera in una scrittura stenografica ben difficilmente comprensibile. Ora usa una scrittura corrente

by Antonio Chimisso
14 Agosto 2023
in Cultura
3
Carlo Schmitt

26 settembre 1945: Carl Schmitt viene arrestato dagli americani e rimarrà in prigione fino al 10 ottobre 1946. Il 19 marzo 1947 è di nuovo fermato ed incarcerato dalle truppe di occupazione, trattenuto quale possibile teste, e con l’incombente possibilità di diventare imputato di fronte al Tribunale alleato di Norimberga, creato dai vincitori allo scopo di giudicare gli affermati delitti commessi dal Nemico.

Sarà rilasciato solo nell’estate del 1947, e si ritirerà nella sua casa di Plettemberg in condizioni di assoluta solitudine, dopo essere stato espulso dalla Camera dei Giuristi Tedeschi, privato della sua cattedra presso l’Università di Berlino e addirittura della sua biblioteca personale, sequestrata e accantonata in casse poi abbandonate in uno stabilimento industriale.

Ex captivitate salus e Glossario di Carl Schmitt, il Trattato del ribelle di Ernst Junger in tedesco

Ritrovata la libertà, riprende a scrivere il suo diario. Ma non lo fa come era sua abitudine, raccontando la cronaca giornaliera in una scrittura stenografica ben difficilmente comprensibile. Ora usa una scrittura corrente, in alfabeto gotico, e ferma su carta riflessioni, interrogativi, colloqui con gli autori a lui più vicini, Konrad Weiss, Ernst Jünger, Theodor Däubler, riportando testi delle lettere inviate alle persone che ancora gli sono vicine. Un diario che si estenderà fino al 1951, volutamente scritto in modo comprensibile con il chiaro intento di una sua futura pubblicazione.

Lui stesso ci spiega il senso di questo diario: “Memorie…Mémoires d’outre tombe; oppure mèmoires de l’au delà du dèluge (fonetica futurista….); aprèes nous le demontage…Queste memorie sono soltanto materia prima, abbozzo per un libro, fotocopie di palinsesti…(1)

Nascerà così Glossarium.  Aufzeichnungen der Jahre 1947/1951. Pubblicato postumo nel 1991, uscirà in Italia nel 2011 presso Giuffrè editore a cura di Petra del Santo.

È un’opera grandiosa, da cui emergono la sua sconfinata cultura e le dinamiche della sua ricerca, diretta ben oltre lo stretto ambito del diritto, nel continuo intrecciarsi con filosofia, teologia, storia. Fa i conti con Alberico Gentili, Bodin, Hobbes, de Toqueville, Donoso Cortès, Kelsen, offrendoci così una lettura a volte difficoltosa per l’ampiezza e la profondità dei riferimenti, ma chiarificatrice della sua intera opera, rivelando le ragioni intime del suo pensiero, delle sue convinzioni, delle sue essere nel mondo a lui contemporaneo. E da questi schizzi, appunti e riflessioni prendono corpo limpidamente le tematiche fondamentali della sua ricerca e della sua opera. 

Carl Schmitt con Ernst Junger

Evidente è la conferma della sua lontananza dal positivismo giuridico che con Kelsen sosteneva il rifiuto del “concetto di sovranità”, ovverosia di un’autorità posta fuori dalla norma ed in grado di legittimare la norma stessa, con l’attività dello Stato  regolata da singole norme che trovano la loro validità solo nell’orizzonte definito dalla costituzione. Come spiega in modo chiarissimo Petra Del Santo, curatrice dell’edizione italiana, nell’introduzione al libro, Schmitt  rifiuta queste posizioni che riducono l’ordinamento giuridico dello Stato ad un complesso di formule astratte e formali per affermare invece che una nuova norma trova la sua validità non in un’altra norma, ma in una decisione assunta in uno stato di eccezione a partire dal quale di volta in volta si produce attraverso la decisione stessa una nuova situazione di normalità.

Sulla guerra 

Per Schmitt, la decisione politica e giuridica è quindi un atto di legittimità che, sola, conferisce senso alla legalità della mera norma all’interno di un concreto orizzonte territoriale ed epocale, in modo che la comunità possa accettarla manifestando un consenso libero e spontaneo nei suoi confronti.

Schmitt rappresenta se stesso come ultimo esponente dello Jus Publicum Europeum che, da Alberico Gentili, attraverso Hobbes e Bodin sino ai suoi tempi, vedeva la guerra come attività legittima, pura espressione della sovranità dello Stato, ma condotta  secondo regole precise  riconoscendo al nemico pari dignità.  E con un nemico di pari dignità si può scendere a patti e trovare accordi.

Ma, dal 1848 al 1918, ha fatto irruzione nelle relazioni tra Stati l’International Law di marca democratica anglosassone, che vede la guerra attraverso un’ottica pacifista, e quindi la ripudia, ammettendo solo la Guerra giusta, da combattere contro un nemico ingiusto. Il Nemico viene così rappresentato non più attraverso categorie della politica, ma della morale, diventando inevitabilmente un folle, un pazzo, un criminale con cui non si può scendere a patti, ma si deve solo cercarne la radicale eliminazione.

Schmitt delinea e ribadisce così il concetto di Guerra giusta, di guerra umanitaria, quella guerra in cui al nemico si sottrae il concetto di umanità, per porlo al di fuori dell’umanità stessa, legittimando così se stessi a combatterlo con mezzi assolutamente inumani. La guerra cessa perciò di essere una guerra tra Stati, per assumere le sembianze della sua forma più crudele e sanguinaria, quelle della guerra civile.

Nella Guerra giusta il vincitore può togliere al nemico sconfitto ogni diritto, e si erge a giudice, trasformando lo sconfitto in criminale, imputabile di ogni colpa e passibile di ogni pena, come dimostrano i processi di Norimberga e Tokyo.

Schmitt ci descrive plasticamente l’orrore di tale guerra, figlia del pacifismo anglosassone, nella figura di Catone l’uticense, lo stoico strenuo difensore della Repubblica e per questo irriducibile nemico di Cesare, che preferisce togliersi la vita pur di non cadere mani degli uomini di Cesare. E quest’ultimo, sconfitto Pompeo, celebra la sua vittoria portando nel suo trionfo a Roma la figura di Catone riprodotta in effige: nessuna pietas per il nemico, nessuna pietas per il nemico suicida, ma, anzi, l’orrore di quel suicidio brandito ed esposto quale manifestazione e segno del proprio trionfo e della propria gloria (2).

I dialoghi

Glossario di Carl Schmitt

Nella sua solitudine, Schmitt si sente isolato e colpito dall’odio: “Ora sei nudo, nudo come alla nascita, in desolata vastità (3)”. E ricorda, con affetto spesso profondo, le persone che sente ancora vicine. “Come sono solo, insieme al povero Konrad Weiss (4). Dialoga con i fratelli Jünger: vede Friedrich Georg quale esperto di mito vivere “di resti e di sogni fin troppo a buon mercato (5), con Ernst si sente accomunato nello stesso destino: “L’ira contro L’operaio di Ernst Jünger, e, forse ancor di più, contro il mio Concetto di Politico, è l’ira del direttore di una stazione climatica noi confronti del medico che diagnostica proprio lì un caso di peste (6)”. Vede Ernst ormai maturo per il premio Nobel, ma ribadisce le sue riserve su L’Operaio: “L’Operaio di Jünger è stilizzazione letteraria, non speculativa; è osservazione esatta, scientifica ed entomologica, non c’è traccia di ontologia; morfologia entomologica di fenomeni storici con risultati aforistici (7)”.

Sottolinea la sua affinità esistenziale con Vilfredo Pareto (8), ricorda spesso Aldous Huxley, di cui “in ogni frase…ho riconosciuto me stesso ed il mio modo di pensare” (9).

Con serenità, accenna alla gradita visita fattagli da Armin Mohler, con cui intraprende un dialogo per constatare la fine della legittimità della norma, espressione della sovranità dello Stato, ormai spazzata via dalla mera legalità del sistema liberale. La legittimità sopravvive soltanto nel sistema comunista ad Oriente, ma è solo “una legittimità rivoluzionaria, capace di giustificare ogni efferatezza, di conferire ad ogni imperialismo il carattere di una lotta di liberazione ed a ogni disumanità quello di un provvedimento al servizio di un’umanità superiore, nonché di garantire ad ogni cosa, a guerre e guerre civili, alla liquidazione di intere classi e intere popolazioni, l’assoluzione da parte dello spirito del mondo.” (10)

“Ora sono io un uomo messo al palo…quando ti inseguiranno gli assassini di Cristo…non illuderti di trovare aiuto presso questi intriganti dal ghigno sommesso” (11). 

E tra i persecutori tanti tra i “rimpatriati” del dopoguerra, come Bernanos (un uomo che – emigrato per tempo in tutta tranquillità, che non ha passato nemmeno un giorno in carcere, non ha mai vissuto un bombardamento – ora ritorna per malmenare noi europei con i suoi metri di misura (12) e Thomas Mann (miracoli del marco tedesco: Thomas Mann fa di nuovo la sua comparsa in Germania!(13) – Il veleno cadaverico di questa cadavere che non vuole saperne di morire mi fa rabbrividire, Thomas Mann! (14)” e quindi dal “vile Maritain” fino ad Henry Miller, “che ha scoperto e segnalato un nuovo nemico della razza umana: gli amici della cultura classica, gli amanti del passato” (15).

La categoria fallace della “guerra di aggressione”

Un quadro con soggetto una battaglia medioevale di Carlo Fusca

Poche righe, pensieri espressi in sintesi estrema, e Schmitt pone una pietra tombale su tutta l’ipocrita retorica di condanna della guerra di aggressione, oggi così rumorosa e ridondante: “La migliore difesa è l’attacco. Ma con l’attuale messa al bando dell’aggressore, accade piuttosto il contrario: il miglior attacco è la difesa; l’attacco mette in moto il sistema di sanzioni proscrittive per la sicurezza collettiva: ognuno è co-attaccato, e la guerra mondiale giusta e globale, globale e giusta, può avere inizio: è commovente chiamare tutto ciò garanzia di pace. Già Orwell ne parla in 1984” (16).

Si dimentica infatti troppo spesso che “la criminalizzazione dell’aggressore coincide con la legittimazione dello status quo. Gli anti-aggressori devono essere indicibilmente stupidi, se persino i rivoluzionari possono permettersi di prendere parte a questa criminalizzazione. Chi vede chi, oggi significa: chi attraverso l’obiettivo vede chi; è una pura questione di scelta di angolazione. Chi vede chi, lo stabilisco io.” (17)

  1.       Glossario  pag. 184  19.4.1948
  2.       Cit. pag 61  16.11.1947
  3.       Schmitt Ex Captivitate Salus pag, 81  Glossario pag, 222
  4.       Cit. pag. 222  5.6.1948
  5.       Cit. pag. 223 9.6.1948
  6.       Cit. pag. 225 10.6.1948
  7.       Cit. 3.7.49 pag. 351
  8.       Cit. 23.7.48 pag. 255
  9.       Cit. 1.12.1947 pag. 80
  10. (10)Cit. 30.7.1948 pagg. 259-259 
  11. (11)Cit. 23.4.49 pag. 327
  12. (12)Cit. 5.10.48 pag 282/283
  13. (13)Cit. 20.5.29 pag. 342
  14. (14)Cit. 13.8.49 papg. 366
  15. (15)Cit. 18.10.48 pag. 286
  16. (16)Cit. 3.7.49 pag 350/351
  17. (17)Cit. 29.5.50  pag 423

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Antonio Chimisso

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Tags: carl schmittglossariojungermohler

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Comments 3

  1. Guidobono says:
    2 anni ago

    Articolo molto bello

  2. Francesco says:
    2 anni ago

    Sulla guerra, sarei forse più incline alla visione del De Vattel e alla “guerre en forme”, entro limiti razionali e pragmatici, come garanzia di equilibrio e non sopraffazione totale dell’avversario. Comprendo tuttavia anche il punto di Carl Schmitt. Ripudio invece il concetto ipocrita anglo-statunitense di guerra giusta. In questo sono con Schmitt al 100 %.

  3. paleolibertario says:
    2 anni ago

    Tutti dovrebbero studiare Schmitt.

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