Nell’aprile del 2023 Diego Benedetto Panetta, già autore del saggio “Il pensiero controrivoluzionario”, ha dato alle stampe per i tipi delle Edizioni Solfanelli, un volume intitolato “Dante. Figlio della Chiesa. Padre dell’Impero. Analisi e significato della monarchia universale dantesca”. Il testo, prefato dal prof. Danilo Castellano, analizza il pensiero filosofico e politico di Dante, concentrandosi particolarmente sul “De monarchia”, seguendo così le indicazioni di mons. Giacomo Poletto, titolare della prima cattedra in Italia di Studi danteschi, per il quale “senza una conoscenza piena della Monarchia, non sarà mai possibile uno studio veramente profittevole del Sacro Poema; il Poema, nelle sue ragioni religiose, morali, civili e politiche sta tutto sostanzialmente nella Monarchia”.
Come riportato nell’introduzione, tre anni fa ha dato alle stampe un saggio sulle idee, le vite, gli scritti dei principali autori della Contro-rivoluzione cattolica, filone di pensiero sviluppatosi in risposta al processo plurisecolare di scristianizzazione della Civiltà europea, avente nell’89 francese il proprio culmine. Esiste un collegamento tra quel testo e il recente saggio su Dante? È possibile leggere un fil rouge, tra un peculiare ma eminente esponente della Cristianità medievale quale fu Dante e quegli autori che, secoli dopo, si interrogavano su come ricostruire quella Civiltà?
“La risposta, almeno in parte, è già contenuta nella domanda che mi è stata posta. Nel senso che, se di continuità si può parlare, ebbene essa va colta nella volontà di riscoperta ed approfondimento di opere e pensatori, dall’analisi dei quali risulta ben evidente l’orientamento assiologico che li anima, che è alternativo a quello sposato dalla modernità”.
Qual è stato il movente dietro la stesura del saggio in analisi? Cosa ha spinto la sua curiosità intellettuale verso il pensiero dantesco?
“La curiosità risale agli anni scolastici e alla passione politica che mi porto dietro dalla fase della pre-adolescenza. In particolare, mi ha sempre colpito in negativo il fatto che quest’opera di Dante venga tutt’al più citata, ma mai approfondita realmente. Inoltre, la curiosità nasce dallo stimolo a voler analizzare la societas christiana dal suo versante politico-temporale e non soltanto da quello spirituale-ecclesiastico. Avendo, peraltro, la chiara consapevolezza di almeno due fattori: 1. La societas christiana è indissolubilmente legata all’unità di Impero e Papato; se manca uno di questi elementi, non è possibile parlare di Cristianità; 2. la “tavola dei valori morali” della fazione ghibellina resta pur sempre quella classico-cattolica e “l’anticlericalismo” che essa professa, come ricorda Del Noce, non nasce dalla volontà di fondare “nuove” morali, che è invece il marchio di fabbrica delle ideologie moderne. Con Marsilio da Padova cambierà tutto, invece, giacché con lui verranno stese le premesse per la nascita dello Stato laico moderno”.
Per secoli il pensiero cattolico ha tenuto un atteggiamento di diffidenza nei confronti di Dante. Una diffidenza che tutt’ora permane presso alcuni cattolici fedeli alla tradizione e al magistero della Chiesa, del tutto in buona fede, ma che probabilmente andrebbero rassicurati. È interessante a tal proposito la riscoperta di Dante operata sotto il Pontificato di Leone XIII, in particolare nella persona di mons. Giacomo Poletto. Come avvenne tale rivalutazione e che tracce possiamo scorgerne nel magistero leonino?
“Papa Leone XIII, come è noto, era un dantista di prim’ordine e decise di togliere dall’Index dei libri proibiti il De Monarchia. Inoltre, affidò a mons. Giacomo Poletto la cattedra di Teologia Dantesca presso l’Istituto Apollinare (oggi Pontificia Università Lateranense). Questi scrisse un volume dal titolo eloquente: La riforma sociale di Leone XIII e la dottrina di Dante Allighieri, opera senz’altro apprezzata dal Pontefice, che raccoglie diverse conferenze dell’autore tese a rivalutare il pensiero di Dante e ad accordarlo, come è stato ricordato, al magistero leonino. Probabilmente, le tracce dantesche che più possiamo scorgere nel magistero di papa Pecci, afferiscono principalmente la definizione delle competenze dei due ordini: temporale e spirituale”.
Chi influenza la cultura a partire dall’epoca della Rivoluzione, fondamentalmente in senso anticristiano, tende ad oscurare i personaggi che hanno sviluppato un pensiero non conforme con la nuova società “teofobica”, per dirla con de Maistre. Tuttavia, quando le personalità sono eccessivamente grandiose ed illustri e dunque impossibili da neutralizzare, si tenta di oscurarne soltanto l’aspetto filosofico-politico o di distorcerlo. È questo il caso di quanto avvenuto con Dante?
“Assolutamente. Nel libro cito l’esemplare osservazione dello scrittore Giacomo Noventa, il quale osservava “che tutto va a gonfie vele nel resto d’Europa per i teorici del progresso. Ma non in Italia. Qui essi urtano nell’Alighieri”. Dante, infatti, risulta scomodo, “fastidioso” perché con le sue opere – afferma Noventa – rivela “la grandezza di una civiltà”, ovvero la grandezza della societas christiana medievale”.
Ad inizio anno ha destato forti polemiche la frase del ministro della Cultura Sangiuliano, secondo cui Dante sarebbe “il fondatore del pensiero di destra”. Egli ha poi aggiunto che ciò si desumerebbe anche “dalla sua costruzione politica, che è in saggi diversi dalla Divina Commedia”. Qual è il suo pensiero a riguardo?
“Il ministro Sangiuliano sconta un problema che negli ultimi secoli è divenuto babelico, cioè la facilità con cui a termini identici vengono dati i significati più disparati, a seconda di colui che li adopera. Bisognerebbe innanzitutto stabilire cosa sia la destra, che è una categoria politica moderna, la cui data di nascita è il 28 agosto 1789. Ovvero, quando l’Assemblea nazionale di Francia affrontò la questione del “veto” sovrano. A destra dell’emiciclo si sedettero coloro che erano a favore di tale attribuzione; a sinistra, coloro che erano contrari. Da un punto di vista metapolitico, tuttavia, credo con Marcel de Corte che la distinzione basica tra destra e sinistra dipenda dall’accettazione o meno della condizione umana e del duplice limite che la circoscrive: quello della nascita e della morte, con tutto ciò che ne consegue. L’apertura verso la metafisica, infatti, nasce dalla constatazione e dall’accettazione della finitudine umana. Ed essa risulta essere un percorso “ragionevole” da affrontare, proprio perché sorpassa ma non contraddice la ragione. Ebbene, stanti tali premesse, l’edificazione di un ordine politico che proceda e sia sorretto da tali basi metafisiche, si impone di conseguenza. Credo che soltanto attraverso un’ottica simile sia possibile inquadrare la frase del ministro. Mi limito a dire questo”.
Abbiamo avuto modo di sentirla parlare di una “inattualità necessaria” di Dante rispetto al mondo moderno (ed ai suoi disvalori) in cui ci troviamo a vivere quotidianamente. Vuole approfondire per i lettori questa puntuale definizione?
“Volentieri. A più riprese si è sentito parlare di contemporaneità di Dante. Se è lecito parlare di contemporaneità, è altrettanto lecito e doveroso precisare di che tipo di contemporaneità si tratta. Io credo che la chiave per comprendere la contemporaneità di Dante sia, per paradosso, l’inattualità del pensiero di cui egli si fa interprete. Esso, infatti, ha a che fare con principi eterni, in grado di parlare ad ogni epoca”.