Prendi il Thatcherismo e portalo in Scozia, con il suo whiskey e la sua ribellione. Anni ’80, Regno Unito dilaniato dalla politica autoritaria della Iron Lady: un gruppo di teenager, dopo il fallimento del referendum nazionalista del 1979, si ritrova a vivere in una Nazione che con Westminster e il dominio culturale inglese non ha davvero più nulla a che fare. Addio ai valori che avevano animato la vita dei loro genitori, addio al sogno federalista e alla voglia di badare a se stessi.
Una sola via è quella possibile per riprendere a lavorare con la mente e recuperare le passioni di una vita che sembra perduta: le prime droghe, i primi test con metadone ed eroina. Tutto questo ad Edimburgo, nel sobborgo popolare di Leith dove la working class ha le sue case, dove un raggio di sole che bacia il porto è una notizia e dove c’è Easter Road, il regno dell’Hibernian, la squadra di calcio fondata dai migranti irlandesi arrivati in Scozia sul finire dell’Ottocento. Mark Renton, Spud e Sick Boy incominciano così a macchiare il loro futuro, in reazione alla crisi profonda di una nobile Nazione europea, cedendo al richiamo, gioviale, degli stupefacenti. È la scelta più facile che si possa fare; risposta, forse troppo scontata, di chi ha visto scappare la speranza troppo in fretta, proprio come il sole nei cieli scozzesi.
È questa la base sulla quale poggia Skagboys – in uscita in Italia a novembre, Guanda Edizioni – la nuova storia messa in scena da Irvine Welsh, uno di quegli autori che raccontano un mondo che c’è, ma che non si vede nella letteratura pulita che fa del politically correct la sua più genuina raison d’être. Il nuovo romanzo dello scrittore di Edimburgo, nato proprio a Leith a due passi da Easter Road, “era nelle mie mani senza che io lo sapessi” e racconta quello che è successo prima di Trainspotting, la novel che lo ha portato al successo planetario, grazie anche alla trasposizione cinematografica firmata da Danny Boyle con le colonne sonore di un tipo (niente male) come Iggy Pop.
Prima che Mark Renton si chieda, nel prologo di Trainspotting, a che servano le ragioni quando si ha l’eroina, c’è una storia che va raccontata e che è rimasta per anni, almeno dal 1993, nascosta tra gli appunti di Welsh. Con Skagboys – da ‘Skag’, il nomignolo preferito dall’ex punk tossicodipendente per l’eroina – tutta la trama prende una piega nuova: il nichilismo che unisce le avventure dei ragazzi di Edimburgo nasce dalla sottomissione della Scozia al giogo inglese, negli anni in cui essere contro Westminster, nella società dei bravi, significava essere contro progresso e profitto. La droga, tutt’altro che celebrata, è la forma di resistenza estrema alla commercializzazione dell’essere umano e al livellamento imposto dalla buona società che vuole tutti consumisti e felici: i ragazzi di Leith, in Trainspotting, sono al collasso, all’ultimo grado di un processo incominciato anni prima quando la sconfusionata reazione alla rivoluzione thatcheriana portò la gioventù scozzese a rifugiarsi nella tempesta della tossicodipendenza, forma di ribellione estrema ad un sistema politico accentratore come non lo si vedeva dalla Prima Guerra Mondiale.
Irvine Welsh, che a Margaret Thatcher si oppose facendo leva sulla cultura punk, è ritornato a raccontare le avventure dei ragazzi terribili di Edimburgo per rimarcare la fedeltà alla sua Nazione: quella Scozia un tempo incapace di reagire politicamente, ora impassibile davanti al dominio anglosassone che ha fagocitato la cultura celtica. Quell’humus culturale, che ha solide radici nel gaelico e trasposizione politica nella lotta per l’indipendenza dal dominio britannico, si ritrova ad affrontare il rapporto tra uomo e società in quello stesso Regno Unito che difende una monarchia composita, più vicina alla tradizione d’epoca moderna, piuttosto che agli intrecci internazionali contemporanei. L’uso della droga è l’estrema arma di dissenso usata da chi si oppone all’assenso coatto, a una dominazione che è, se non del tutto straniera, imposta a larga parte della popolazione.
Il recupero del nazionalismo scozzese, rifiutato nella sua deriva sciovinista, fa di Welsh l’autore che è riuscito a riportare alla luce il celtismo, ripulendolo dal romanticismo ottocentesco di Walter Scott: i ‘terribili’ sono il simbolo del conflitto, cittadini che rifiutano l’omologazione in virtù del loro essere unicum scozzese. In Welsh le pulsioni popolari che hanno attraversato il Novecento britannico – dalla Scozia all’Irlanda, da Gladstone ai Troubles – sono raccontate nel momento in cui rischiano di scomparire sotto i cumuli delle schede elettorali inglesi, tutte in favore di Lady Thatcher. Rent e Spud sono il simbolo di quei giovani Scots disincantati, che fanno di tutto per non cedere al dominio del consumismo e resistere nella loro condizione di uomini liberi. L’eroina, certo, è protagonista assoluta, ma è un’arma usata per uccidere Dio e non cemento per costruire una vita vera: la tossicodipendenza nasce dall’opposizione a quella società che vedeva nel consumo e nel profitto la realizzazione dei suoi obiettivi, ma che tralasciava identità e cameratismo, vittime sacrificali sull’altare dell’appiattimento sociale.