‘Serie ispirata a fatti reali’ avverte, opportunamente, ogni puntata all’inizio. Una sontuosa superproduzione in otto episodi, con scenari fastosi e scrupolosamente ricreati, interpretazioni di alta qualità, fotografia eccelente. Una coproduzione del genere ‘dramma storico’, della società di produzione norvegese Cinenord, dall’emittente pubblica norvegese NRK e dalla statunitense PBS, ambientata in Norvegia, Inghilterra e Stati Uniti durante la WWII. Basata essenzialmente sulla vicenda della principessa ereditaria Marta di Svezia, consorte del futuro re Olav V di Norvegia, e del Presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt, durante il periodo in cui Marta era una rifugiata di guerra negli Stati Uniti, fuggita dall’invasione nazista della Norvegia del 1940. Vincitrice del 49mo International Emmy Awards a New York, quale miglior serie TV. Presentata in anteprima il 25 ottobre 2020 su NRK in Norvegia, la serie ha poi debuttato negli Stati Uniti il 4 aprile 2021 su PBS; trasmessa in Italia in prima visione su Rai Tre dal 18 giugno 2021. Solo ora, luglio 2023, dal canale via cavo Europa-Europa in America Latina, dove risiedo…
Aspetti per lo scrivente positivi: gran cast di attori, ottima regia e fotografia, sostanziale sobrietà narrativa, un curato, levigato tessuto storico-ambientale, esaltazione non retorica e non reboante delle identità nazionali, di istituti e formae mentis tradizionali (doveri patriottici, senso dell’onore, della dinastia, della famiglia, della religione). Una serie realizzata con costi elevati, impregnata di un senso ‘viscontiano’ dell’estetica, del gusto, della vita aristocratica d’anteguerra, quella con stile, senza ostentazioni da nouveaux riches. Con prevalenza degli aspetti psicologici, talora paesaggistici, dei valori sentimentali su quelli più propriamente drammatici o bellici. Non trascurati, ma addebitati ad una trascendente, insinuante, perversa Realpolitik, che tutto investe, corrompe, pare travolgere, sino alla finale catarsi dell’etica vittoriosa e della pace dei giusti…
Aspetti meno positivi: visione storica di fondo aderente alla solita vulgata della scuola di matrice anglosassone, celebrazione smaccata del ‘Focolare della Libertà’, dell’ ‘Arsenale della Democrazia’ USA e dell’alta visione geopolitica di Roosevelt, salvatore dell’umanità dal nazismo (ovviamente cattivissimo e perversamente efficiente). L’opposto della tesi che in politica non ci sono verità assolute, piuttosto valori in conflitto. Amplificazione del ruolo, pur assai significativo, svolto a Washington dalla principessa Marta in favore della Norvegia, allora sotto occupazione tedesca, mentre l’impeccabile marito Olav e re Haakon VII sono a Londra, ospiti dei nipoti Windsor, Giorgio VI ed Elisabetta, ritratti con una certa impietosa asprezza, così come la politica cinica di Churchill, un discreto ritmo narrativo, solo a tratti un po’ blando, compiaciuto o naïf.
Il regista di Atlantic Crossing è Alexander Eik (Oslo, 1972) anche sceneggiatore ed ideatorie di altre serie televisive, coadiuvato dal compatriota Janic Heen, con il contributo di Paul Minx, la sceneggiatura di Alexander Eik, Linda May Kallestein, la fotografia di Carl Sundberg, la colonna sonora di Raymond Enoksen e Susanne Sundfør. Detto della finezza di tutto l’impianto scenico, della sceneggiatura, della cura minuziosa dei dettagli, dell’eleganza formale di costumi ed abbigliamento, della ricostruzione pignola degli interni d’epoca, della attenta selezione degli autoveicoli ripresi, è poi da sottolineare la buona scelta, anche fisionomica (magnifico, ad esempio, lo svedese Carl Magnus Dellow nei panni di re Gustavo V di Svezia), e la notevole interpretazione degli attori principali, della svedese Sofia Helin (principessa ereditaria norvegese Marta), che si rivela una grande protagonista, del germano-norvegese Tobias Santelmann (Olav, principe ereditario norvegese, marito di Marta), dello statunitense Kyle MacLachlan (Franklin D. Roosevelt, Presidente degli USA dal 1933 alla morte, nell’aprile 1945). Poi il danese Søren Pilmark (re Haakon VII di Norvegia), la norvegese Anneke von der Lippe (Ragni Østgaard, dama di compagnia di Marta), l’inglese Daniel Betts (Harry Hopkins, consigliere del Presidente), l’inglese Lucy Russell (Marguerite Alice “Missy” LeHand, a lungo segretaria privata, amante di Roosevelt e capo dello staff della Casa Bianca), la statunitense Harriet Sansom Harris (Eleanor Roosevelt, moglie separata di fatto del Presidente, madre controvoglia dei suoi 6 figli, lesbica, attivista politica progressista). (Da https://www.filmaffinity.com/es/film265414.html)
Qualche cenno alle vicende storiche proposte dalla narrazione televisiva, tralasciando le dinamiche della politica interna statunitense, che pure vi compaiono ed hanno un qualche rilievo.
Con l’Unione di Kalmar (1397) Margherita I conseguì riunire, in unione personale, i tre regni di Danimarca, Norvegia e Svezia onde costituire una forte entità scandinava. La Kalmarunionen durò sino al 1523, quando ne uscì la Svezia. La Norvegia rimase poi unita alla Danimarca fino al 1814, quando, dopo la ‘guerra delle cannoniere’, fu ceduta al regno di Svezia. Nel 1905, dopo anni di malessere politico, la Svezia riconobbe l’indipendenza della Norvegia, in modo pacifico. Il parlamento norvegese offrì il trono al principe Carlo di Danimarca della Casa di Glücksburg – dopo che il figlio secondogenito del re di Svezia, Carlo duca di Västergötland, padre di Marta di Svezia e fratello del successivo re di Svezia Gustavo V, di idee liberali, ne fu dissuaso dal padre Oscar II – che accettò; dopo che un referendum optò per la forma di governo monarchica. Il 18 novembre 1905 Carlo ascese al trono con il nome di re Haakon VII (marito di Maud, l’ultima figlia di Eduardo VII del Regno Unito), essendo stato Haakon VI l’ultimo sovrano dell’indipendente Regno di Norvegia nel XIV secolo. Non esiste nobiltà in Norvegia.
Durante la WWI, la Norvegia rimase neutrale, anche se divenne fornitore di viveri alla Gran Bretagna, che le diede il titolo di ‘alleato neutrale’. Mentre la Svezia mantenne un atteggiamento neutrale, ma giudicato più ‘vicino’ alla Germania imperiale. L’unico figlio di Haakon e Maud fu Olav, nato Alexander, principe di Danimarca (Sandringham, 1903 – Oslo, 1991), re di Norvegia come Olav V dal 1957 al 1991. I suoi nonni paterni erano il re Federico VIII di Danimarca e Luisa di Svezia, mentre quelli materni il re Edoardo VII del Regno Unito e Alessandra di Danimarca. Olav era pronipote del re Cristiano IX di Danimarca, il ‘suocero d’Europa’, sia attraverso il padre, sia la madre e pronipote della regina e imperatrice Vittoria. Era cugino di primo grado di Edoardo VIII e Giorgio VI e cugino di secondo grado delle granduchesse e dello zarevic di Russia (assassinati nel massacro di Ekaterinburg, 1918), degli infanti di Spagna figli del re Alfonso XIII, di Alessandro I di Jugoslavia e di Paolo I di Grecia. Era primo cugino del re Federico IX di Danimarca e secondo cugino della regina Elisabetta II del Regno Unito.
Dopo essersi diplomato presso l’Accademia Militare Norvegese nel 1924, venne inviato a studiare giurisprudenza ed economia al Balliol College di Oxford. Durante gli anni 1930, inoltre, prestò servizio come cadetto della marina norvegese a bordo del dragamine Olav Tryggvason.
Nel medesimo periodo colse l’occasione per distinguersi nella specialità sportiva preferita, il salto con gli sci; vinse anche una medaglia d’oro nella vela alle Olimpiadi del 1928 ad Amsterdam, rimanendo un attivo sportivo per il resto della vita. Il 21 marzo 1929 sposò la principessa Marta di Svezia, dalla quale ebbe un figlio, Harald (oggi re Harald V di Norvegia) e due figlie, Ragnhild e Astrid. Come principe ereditario, Olav aveva ricevuto un’approfondita educazione militare e partecipato a numerose esercitazioni sul territorio norvegese; era assai rispettato per le sue conoscenze in materia e per le spiccate doti al comando. Nel 1944, vinte non poche resistenze, sarà nominato Capo della Difesa della Norvegia, ottenendo per l’opera svolta nella guerra contro Hitler vari riconoscimenti internazionali. (Da https://it.wikipedia.org/wiki/Olav_V_di_Norvegia)
Marta di Svezia della Casa Bernadotte, nata principessa di Svezia e di Norvegia fino al 1905, poi solo principessa di Svezia (Stoccolma, 1901 – Oslo, 1954) era figlia di Carlo duca di Västergötland, fratello di re Gustavo V di Svezia e della principessa Ingeborg di Danimarca. I suoi nonni erano il re Oscar II di Svezia ed il re Federico VIII di Danimarca. Durante i Giochi Olimpici del 1928 ad Amsterdam Marta si fidanzò con il cugino Olav. La notizia del fidanzamento fu accolta positivamente, segno di avvicinamento dopo la separazione della Norvegia dalla Svezia. Il fidanzamento, basato sull’amore, servì a rinforzare i legami con le tre famiglie reali scandinave strettamente unite. Nel 1929 la coppia si sposò nella cattedrale di Oslo (già Kristiania).
Nel 1939, poco prima dello scoppio della WWII, il principe ereditario e la principessa visitarono gli Stati Uniti. La coppia fece amicizia con il presidente Franklin D. Roosevelt e con sua moglie Eleanor. Quando la Germania invase la Norvegia nell’aprile del 1940, la principessa e i suoi figli fuggirono nella natìa Svezia, dove però non furono ben accolti. Alcuni, a partire dallo zio Re Gustavo V, in amichevoli rapporti con alcuni esponenti nazisti, timorosi della sua presenza, suggerirono che avrebbe dovuto accettare il suggerimento dei tedeschi: far tornare il figlio di tre anni, Harald, in Norvegia, perché potesse essere proclamato re. Marta abbandona il suo discreto, defilato modo di vida, rifiuta una tale opzione e, su invito del presidente Roosevelt, si reca con i figli negli Stati Uniti, partendo dal porto di Petsamo, in Finlandia, in un lungo viaggio non privo di rischi. Negli USA Marta ed i tre figli soggiornarono inizialmente nella Casa Bianca. Il principe ereditario Olav, nel frattempo, era andato con suo padre a Londra, dove lavorava con il governo norvegese in esilio. L’amicizia tra Franklin e Marta crebbe durante la guerra, divenne nota e, logicamente, causò l’irritazione del marito Olav, trattenuto a Londra.
Gore Vidal affermò in seguito che la principessa ereditaria fu l’ultimo amore di Roosevelt. Negli anni di Washington Marta lavorò per la Croce Rossa e difese caparbiamente la causa norvegese, sia nei confronti dell’opinione pubblica, sia nei confronti del governo statunitensi. Nel 1942 andò a Londra per partecipare alla festa di compleanno di suo suocero. Quando tornò in Norvegia, dopo la guerra, restaurata la monarchia, ricevette l’accoglienza da eroe e fu chiamata “Madre della nazione”. Assunse il ruolo di principessa ereditaria, con il dono innato della regalità, e si sforzò di assicurare speranza e benessere del popolo in tempi aspri. La sua salute peggiorò: dopo una lunga battaglia contro il cancro, morì a Oslo il 5 aprile 1954, all’età di 53 anni. Fu una perdita assai sentita per la famiglia e la nazione. (Da https://it.wikipedia.org/wiki/Marta_di_Svezia)
Quando il governo norvegese, guidato dal laburista Johan Nygaardsvold, decise di recarsi in esilio a Londra per assicurare una prosecuzione dell’esecutivo, fosse qual fosse la situazione, il principe ereditario si offrì di rimanere in patria, al fianco del popolo norvegese, ma la proposta fu declinata, in quanto la sua posizione eccessivamente vulnerabile lo avrebbe esposto al rischio di diventare un semplice portavoce di Berlino (o peggio) e di compromettere in un domani la successione al trono di Norvegia. Seguì dunque il padre nel Regno Unito, dove continuò ad essere un personaggio chiave del governo in esilio. Molti militari e civili lasciarono la Norvegia e si unirono al governo in Inghilterra dove furono di notevole aiuto all’esercito britannico ed ai suoi servizi segreti. La monarchia nella Norvegia occupata fu abolita il 25 settembre ’40. Olav compì poi diverse missioni in Norvegia, a fianco delle truppe alleate, oltre che in Gran Bretagna, in Canada e negli Stati Uniti. Nel 1944 venne nominato Capo della Difesa della Norvegia, come accennato. Le vicende politiche e le operazioni belliche nel teatro di guerra scandinavo, svoltesi dal 9 aprile al 10 giugno 1940, sono raccontate in modo un po’ retorico ed edulcorato, filo-atlantico (e col senno del poi, ovviamente) in Atlantic Crossing. Hitler non era certo un tenero angioletto, ma non voleva sottomettere tutto il mondo, non era Charlie Chaplin de Il Grande Dittatore... Più o meno la ‘Campagna di Norvegia’ fu, in rapida sintesi:
“Il primo scontro diretto tra le forze del Regno Unito/Francia e la Germania. Le basi aeree norvegesi aumentarono la loro importanza (poiché permettevano le missioni di ricognizione aeree tedesche sopra il Nord Atlantico, evitando la GB) dopo che il Regno Unito e la Francia, due giorni dopo l’invasione della Polonia, il 1º settembre 1939, dichiararono guerra alla Germania. La Norvegia, neutrale, era considerata di importanza strategica da entrambi i belligeranti per l’ importante il porto di Narvik, dal quale venivano esportate grandi quantità di ferro provenienti dalle miniere della Svezia, necessarie specialmente alla Germania. Quella rotta era assai importante durante i mesi invernali, quando il Mar Baltico era ghiacciato; in secondo luogo, i porti norvegesi potevano diventare un varco nel blocco navale della Germania, permettendo l’accesso alla stessa attraverso l’Atlantico. La Norvegia era significativa simbolicamente per il partito nazista tedesco, in quanto considerata la culla della razza ariana. Quando l’Unione Sovietica invase la Finlandia, il 30 novembre 1939, nella cosiddetta ‘Guerra d’inverno’, gli Alleati con la Norvegia e la Svezia sostennero la Finlandia: fu un’opportunità per gli Alleati di usare l’azione come pretesto per inviare delle truppe di appoggio ed occupare le miniere svedesi ed i porti norvegesi. Il patto Molotov-Ribbentrop aveva posto la Finlandia nella sfera d’interesse sovietica, quindi i tedeschi si dichiararono neutrali nel conflitto: tale linea provocò un sentimento antitedesco in tutta la Scandinavia. Gli Alleati progettarono inviare forze militari, anche se Oslo e Stoccolma erano state caute ad accettare truppe alleate, dopo aver assistito al ‘tradimento dell’occidente’ durante la campagna polacca e non volevano rischiare la propria neutralità”.
L’unica via di rifornimento della Finlandia passava attraverso il porto norvegese di Narvik,
“che divenne un importante obiettivo logistico anglo-francese. L’obiettivo non dichiarato del corpo di spedizione non sarebbe consistito tanto nell’aiutare la Finlandia, ma nel mettere al sicuro i giacimenti di petrolio, le miniere di ferro e le varie risorse naturali della Lapponia svedese e finlandese. A seguito del Trattato di Pace di Mosca, firmato il 12 marzo 1940 fra URSS e Finlandia, gli Alleati annullarono il progetto. Il 28 marzo 1940, alle ore 10, in una riunione a Downing Street del Consiglio Supremo anglo-francese si decide di consegnare il 2 aprile una nota diplomatica intimidatoria agli svedesi e norvegesi e di minare, il 4 aprile, in più punti la linea costiera norvegese. Le mine posate con disinvoltura nelle acque territoriali di Oslo ritardarono l’Operazione Wilfred, che prevedeva lo sbarco di truppe alleate il 9 aprile 1940. Ma i tedeschi attivarono per lo stesso giorno l’Operazione Weserübung. La Wehrmacht attraversò il confine della Danimarca la mattina del 9 aprile. In un’operazione coordinata, le truppe germaniche vennero sbarcate nel porto di Langelinie nella capitale Copenaghen ed iniziarono ad occupare la città. L’esercito danese era piccolo, mal preparato e con equipaggiamento obsoleto. Poche ore dopo il Re, dopo aver consultato il Primo Ministro Thorvald Stauning, decise la resa, convinto che ulteriori scontri avrebbero solo causato la perdita inutile di vite. L’occupazione fu completata il 10 aprile”.
Lo stesso giorno i negoziati tra Norvegia e Germania fallirono, dopo il rifiuto di Haakon VII alla richiesta tedesca di riconoscere un nuovo governo, guidato dal nazista Vidkun Quisling:
“L’11 aprile ebbe inizio l’offensiva del generale Nikolaus von Falkenhorst, con l’obiettivo di ricollegare le forze tedesche, che si erano sparpagliate prima della mobilitazione norvegese e del previsto intervento degli Alleati. Londra iniziò allora i preparativi per un contrattacco, che fu però tardivo ed insufficiente, mentre i tedeschi facevano affluire nuove forze. Le truppe alleate e norvegesi che tenevano le posizioni nella Norvegia centrale e meridionale vennero annientate o costrette alla ritirata. La forza anglo-francese fu costretta a reimbarcarsi il 2 maggio a Namsos. Nel frattempo, nella Norvegia settentrionale il generale Dietl riuscì a resistere alla pressione francese, inglese e norvegese e – pur perdendo temporaneamente Narvik il 28 maggio – costrinse al reimbarco gli alleati l’8 giugno, allorché le operazioni si conclusero ufficialmente. Il governo norvegese, con il re ed il principe ereditario, evaquó Tromsø il 7 giugno, a bordo del HMS Devonshire, e si stabilì a Londra. Il 10 giugno 1940 la Campagna di Norvegia era terminata. La Francia metropolitana stava per capitolare. Sia la Danimarca che la Norvegia furono occupate con perdite relativamente modeste: 3.800 tedeschi uccisi. L’Operazione Weserübung non includeva un assalto alla Svezia neutrale perché non ne esistevano i motivi strategici. Il commercio svedese e finlandese dipendeva dalla Kriegsmarine e la Germania fece pressioni sulla Svezia neutrale per consentire il transito di merci militari e soldati in licenza. Il 18 giugno 1940 venne raggiunto un accordo, appoggiato personalmente dal re Gustavo V. L’occupazione di Dinamarca e Norvegia fu una spina nel fianco degli Alleati per vari anni. Dopo l’invasione tedesca della Russia, nel 1941, le basi aeree norvegesi furono utilizzate contro i convogli alleati. L’occupazione divenne, tuttavia, onerosa per la Germania, poiché le lunghe ed esposte linee costiere, lungo i fiordi, offrivano opportunità di raid agli Alleati; inoltre, la resistenza locale richiese un numero ingente di forze, che raggiunse il massimo, nel 1944, con 400.000 unità: truppe che non poterono essere impiegate in Russia o durante gli sbarchi alleati in Francia”.
(J.L. Moulton, The Norwegian campaign of 1940: a study of warfare in three dimensions, London, 1966; https://it.wikipedia.org/wiki/Campagna_di_Norvegia)
Non oggetto della narrazione della serie in questione, i provvedimenti punitivi che vennero intrapresi in Norvegia, dal maggio 1945, nei confronti di migliaia di cittadini accusati di aver appoggiato l’occupazione. Tali accuse colpirono sia gli iscritti al nazionalsocialista Nasjonal Samling (Unione Nazionale), sia semplici cittadini, implicati nella collaborazione con i tedeschi. Delle 95.000 persone arrestate, circa la metà vennero condannate, 17.000 detenute per anni e 37 giustiziate. Non poche, considerando che all’epoca i norvegesi erano meno di 3 milioni. L’effettiva utilità, legalità, crudeltà delle sentenze (non solo la fucilazione del Ministro Presidente Vidkun Quisling) sono state per anni fonte di dibattiti nell’opinione pubblica.
(Da https://it.wikipedia.org/wiki/Purga_dei_traditori_della_patria_in_Norvegia)
Toccando questi temi, vien quasi naturale un cenno, infine, alla vicenda umana di Knut Hamsun (Vågå, 1859 – Nørholm, 1952), scrittore, vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1920. Nacque nella Norvegia rurale da una famiglia povera, trascorse parecchi anni in America, viaggiando e facendo diversi lavori, pubblicando poi le sue impressioni sotto il titolo di Fra det moderne Amerikas Aandsliv (Della vita spirituale dell’America moderna, 1889). Già sostenitore del nazionalsocialismo, durante la guerra manifestò simpatia al governo filotedesco di Quisling. Alla fine del conflitto fu processato per collaborazionismo. Rinchiuso in un ospedale psichiatrico (l’equivalente occidentale del gulag psichiatrico sovietico, anche se usato in scala assai minore) fino al 1948, come Ezra Pound, quando una perizia medica concluse che le sue facoltà mentali erano state “permanentemente danneggiate”: su tale base fu archiviata l’accusa di tradimento. Lo stesso Hamsun scrisse di questa esperienza, nel 1949, Per i sentieri dove cresce l’erba. Contro di lui fu avviato, comunque, un procedimento per responsabilità civile e nel 1948 condannato al pagamento di 325.000 corone per l’iscrizione al Nasjonal Samling (partito, peraltro, all’epoca legale!). Che fosse un membro del Nasjonal Samling o no, e se le sue facoltà mentali fossero state o meno “danneggiate”, è tuttora una questione dibattuta. Hamsun affermò di non essersi mai iscritto ad alcun partito politico e morì nella sua casa a Nørholm, a 92 anni, nel 1952. Dopo la morte di Hitler – al quale, in un colloquio lo scrittore aveva chiesto, invano, di rimuovere il duro, inviso Reichskommissar Josef Terboven – Hamsun scrisse molto ingenuamente, mentre la guerra stava terminando, il suo necrologio per l’autorevole quotidiano conservatore di Oslo Aftenposten:
“Io non sono nessuno per parlare ad alta voce di Adolf Hitler. La sua vita e la sua opera non invitano ad una commozione sentimentale; perché egli fu un guerriero in lotta per l’umanità; un apostolo del Vangelo del Diritto di tutti i popoli. Fu un riformatore del più alto rango. La sua fatalità storica lo portò ad agire in un’epoca di brutalità mai vista, della quale alla fine fu sua vittima. Così ogni europeo occidentale dovrà ricordare Adolf Hitler. Noi che fummo i suoi seguaci, invece, chiniamo il capo di fronte alla sua scomparsa”.
Hamsun era stato acclamato dapprima per il suo romanzo Fame (1890). Per vari critici l’opera precorre le opere di Franz Kafka con il suo monologo interiore e la logica bizzarra. Il suo capolavoro resta Markens Grøde (La benedizione della terra) del 1917, che gli valse il Nobel. Per Thomas Mann, Hamsun era ‘discendente di Dostoievski e di Nietzsche’. Per Gorki, Gide, Galsworthy, Wells, Isaac B. Singer e vari altri egli era un maestro, un padre della letteratura moderna. La prosa di Hamsun contiene vivaci, appassionate descrizioni del mondo naturale, con intimi riflessi, delle foreste, delle coste norvegesi, della vita bucolica. È stato collegato al movimento spirituale panteista. Hamsun scorge umanità e natura unite da un forte, mistico legame. Proprio nei toni pacati e nello stile semplice e lineare, tipico di altri autori scandinavi, che conferiscono al romanzo un senso di serenità ed eternità, traspare la sfiducia nella modernità, il timore che il progresso allontani l’uomo dalla sua dimensione più autentica e genuina, quella naturale.
L’autore danese Thorkild Hansen studiò il processo e scrisse Processo a Hamsun (1978), che fu accolto con clamore in Norvegia. Hansen riteneva che il trattamento inflitto ad un uomo anziano (86), candido, onesto, uno scrittore, non un politico o un militare, fosse un vero oltraggio. Su tale base, lo scrittore svedese Per Olov Enquist scrisse il suo Processo a Hamsun, da cui è tratto il film Hamsun di Jan Troell (1996). Il famoso attore svedese Max von Sydow, il cavaliere de Il Settimo Sigillo di Bergman, vi interpreta la parte di Knut Hamsun. (Da Andrea Colombo, I maledetti, Lindau, 2017; https://it.wikipedia.org/wiki/Knut_Hamsun).
Oggi egli rimane un grande romanziere maudit, seppur un po’ dimenticato, mi sembra.