E poi l’altro giorno vengo a sapere, per caso, della scomparsa di Gianni Mastrangelo. Eppure negli anni scorsi, in occasione delle “inutili” convocazioni dell’Assemblea Nazionale di An di cui facevo parte, ci scambiavamo opinioni ed aggiornamenti personali. Il mio graduale abbandono del partito, non mi ha permesso di sapere che fine avesse fatto. E già questo la dice lunga. Oggi internet mi ha riaperto il rapporto con un Uomo tutto di un pezzo.
Ma ho necessità di parlare di altro. Di cose mai scritte. 1977, anni di furori terribili, anni di voglia di fare, anni densi di novità. Anni dove il confine tra la voglia di vivere e conoscere, troppe volte veniva varcato per il rischio e l’annullamento delle ragioni dell’altro. Bene. Dobbiamo fare una radio privata. In tutta Italia in quell’anno esplose questa voglia di comunicare “l’esistenza” di un pensiero non conforme. Avevo 21 anni, militavo da sempre. Latina-Roma-Latina, la Pontina come un binario, su e giù in continuazione, via degli Scipioni 268, viale delle Medaglie d’Oro sez. Balduina del Msi. Sì, come un binario, ma con una 500 e poi con una Dyane!!! Buontempo aveva già iniziato con Radio Alternativa:“a Parisè datte da fa”. Ad Ancona c’era già Radio Mantakas. I Campi Hobbit erano ancora solo un’idea di Generoso Simeone, la Voce della Fogna, invece, era già una voce identitaria, in concorrenza con un pregevole Dissenso. Ed i circoli culturali non conformi, erano la dimostrazione plastica delle “iniziative parallele” promosse nei primi documenti di una minoranza attivissima nel Msi e nel Fronte della Gioventù che ruotava intorno a Pino Rauti. E già si parlava di chiudere o trasformare Il Secolo d’Italia, di utilizzare quei fondi per una Tv o una Radio Nazionale. Berlusconi faceva ancora il “carpentiere”. Il fascino del “fare”. Dice, e allora che facciamo? Il Circolo Culturale Adriano Romualdi ce lo hanno chiuso in una sorta di accordo tra partito e Questura(sic!). Ora ne abbiamo aperto un altro, il Satrico. Dobbiamo aprire una radio. I cellulari? Non scherziamo. Al massimo i radioamatori. Il telefono della Sip? Ma sei pazzo, c’è il maresciallo che registra. Allora riparti per Roma, c’è la riunione di corrente per il Comitato Centrale. Ecco ti presento Gianni, di a lui. Non ricordo chi me lo presentò. E quest’uomo, segaligno, con i baffi, di 35 anni, mai visto e conosciuto prima, dice: “vuoi aprire una radio? Bene. Devi fare così e così. Eccoti la mia firma, vai in tribunale”.
In questa risposta c’è tutto. Un attimo, una vita, un sogno, la solidarietà, il cameratismo, le distanze inesistenti, nord e sud, scambio di accenti che si univano in avambracci, orgoglio di appartenenza che significava anche apertura all’altro, per la prima volta alle ragioni dell’altro. Pochi attimi, pochi incontri nella vita, ma sufficienti a farti sentire che dovunque tu vada, puoi trovare un Mastrangelo che ti sostiene. Anche il nome della emittente faceva trasparire tutto ciò: Radio Immagine. Poi un giorno, venne venduta e diventò commerciale, ancora esiste. E chi l’ascolta oggi, non può neanche lontanamente “immaginare” come nacque.
Pensare che nacque così, grazie ad una firma, quella di un uomo pugliese, tutto di un pezzo, segaligno, con i baffi, grazie a tanti contenitori per uova, grazie a tanti pannelli di polistirolo “reperiti” in un cantiere edile, grazie ad uno spirito gioioso che rendeva tutto possibile. Anche l’impossibile.
Una cosa mi manca terribilmente, l’aria di non doverti mai chiedere con chi hai a che fare. Alcuni l’hanno tradita.