È davvero difficile non riconoscere la grandezza letteraria di John Fante. Molto più difficile è, al contrario, valorizzare la “voce”, allo stesso tempo poetica e politicamente scorretta, del cantore della Comunità italoamericana vissuta negli Stati Uniti d’America tra gli Anni Trenta e i primi Anni Ottanta del Novecento. Fante è uno scrittore la cui eredità artistica e intellettuale “brucia” ancora. Giovedì 13 Luglio 2023, presso la Sala Tatarella della Camera dei Deputati, avrà luogo un incontro – dibattito dal titolo John Fante e la Strada per l’Italia. Identità, discendenza e appartenenza, nell’opera di John Fante, tra l’Abruzzo e il Colorado. Ne parliamo con il professor Marco Leonardi, storico e profondo conoscitore della cultura conservatrice.
Leonardi, potrebbe spiegare, sic et simpliciter, perché John Fante è uno scrittore la cui eredità “brucia” ancora?
“«Questo mondo è un mondo buono, mi rifiuto di lasciarmi andare alla depressione. Amo tutto: il bene e il male, la morte e la vita, la malattia e la salute, l’inizio e la fine, la primavera e l’inverno»: quanto vergato dal giornalista Keith Baker con una missiva a John Fante, nell’ottobre del 1940, rivelava tutta quella ʻfameʼ, allo stesso tempo sana, dirompente e caustica, con la quale lo scrittore italoamericano ha affrontato tutta la sua vita. «Per aspera ad astra»: pur di realizzare il sogno di diventare uno scrittore rinomato, il figlio di un muratore e di una casalinga giunti in Colorado dall’Abruzzo e dalla Basilicata, sperimentava letteralmente di tutto: operaio, segretario tuttofare, garzone, cameriere, e poi, prima di tornare per sempre alla vocazione per la scrittura, sceneggiatore e aiuto editore nella Hollywood raggiante degli Anni Trenta del Novecento. Lungo tutto il corso della sua non breve vita (1909-1983), John Fante ha attraversato, da vero e proprio leone intellettuale, le luci e le ombre del «secolo americano», quel Novecento che, piaccia o meno, ha registrato l’ascesa degli Stati Uniti d’America sul ʻpodioʼ della prima potenza mondiale. Fante ha vissuto intensamente ogni singolo istante della sua esistenza, riportando tutto in una scrittura che definire ʻvitalisticaʼ o ʻelementareʼ suona come un’involontaria riduzione della forza dirompente tracimante dai suoi racconti e dai suoi romanzi, una scrittura che colloca l’italiano a Denver al livello dei più grandi autori della letteratura statunitense del ventesimo secolo, da Steinbeck a Dos Passos”.
Quale eredità, oggi, noi riceviamo da questo gigante? Cosa significa per noi, nell’Anno Domini 2023, ricordare, con la giusta enfasi, una personalità della cultura spentasi a Los Angeles nell’ormai lontano maggio del 1983?
“In primo luogo, oggi giova ricordare Fante per riappacificarci, alla faccia dei soliti radical-chic, con la cura della nostra identità. «I miei figli […] portano il mio nome, mi danno l’immortalità, mi salvano dalla tomba»: basterebbe leggere il breve ma splendido racconto «Una moglie per Dino Rossi» per comprendere appieno la bellezza e la necessità della famiglia per costruire e vivere un’esistenza tutt’altro che ovattata, ma con punti fermi e solide basi valoriali”.
Come sottacere la necessità di riconsiderare la Discendenza negli scritti di Fante? Non rischiamo, così facendo, di “minare” la popolarità del personaggio – scrittore?
“Il più famoso alter ego di Fante è stato il neanche tanto fittizio personaggio di Arturo Bandini. Ripenso, per un momento, al “chiodo fisso” del protagonista di alcuni tra i romanzi più amati dal grande pubblico: «Lui, ad esempio era un italiano di una stirpe contadina che si perdeva nella notte dei tempi»: così Arturo Bandini ripensava con fierezza alla discendenza dalla quale proveniva, quella ʻmatriceʼ capace di orientarlo nella vita caotica e frenetica che si respirava appena fuori dalla porta di casa a Rocklin (Colorado), da quel 456 di Walnut Street, lasciato ogni giorno per andare lavorare come muratore. Senza il passaggio di dover dare una discendenza, noi oggi non leggeremmo capolavori quali Aspetta Primavera, Bandini. Sfido chiunque a sottacere il tema della discendenza cimentandosi con il tanto divertente quanto inquietante Chiedi alla polvere”.
Uno dei tabù culturali oltremodo invisi al mainstream dominante, è stato ed è quello della valorizzazione della propria appartenenza. Leggere Fante può aiutarci a guardare con occhi nuovi al valore dell’appartenenza?
“Fante ha insegnato ad almeno tre generazioni di lettori cosa significasse, ogni giorno, vivere l’appartenenza ad una comunità e ai suoi valori, senza per questo dover rinunciare ad impegnarsi alla realizzazione dei propri sogni. Mai e poi mai «inghiottire e difendere principi di cui non sanno nulla». Senza dover scomodare le riflessioni ʻelaborateʼ dall’ Armando Plebe di turno, giova ricordare come l’anticomunismo di Fante è stato quanto di più consapevole e diretto ci possa essere. Tutti questi tasselli, opportunamente collocati per formare un mosaico d’insieme, animeranno i contenuti di un incontro culturale, fissato per giovedì 13 luglio presso la «Sala Tatarella» della Camera dei Deputati: sono certo che la presenza di validi esponenti della società civile all’evento non potrà che riavvicinare ciascuno dei presenti (e di quanti si documenteranno sull’evento) alla lettura del Burro di Denver”.
Ho sentito parlare di Fante e non l’ho mai letto per motivi di altri interessi e me ne rammarico. Lo leggero’.