La nota presente nel volume “Grande ospizio occidentale” di Eduard Limonov, edito da Bietti, acquistabile qui
Nel seguente estratto da Il libro dell’acqua, edito in Italia nel 2004 dalla splendida casa editrice Alet – defunta per troppa qualità, com’è facile in Italia –, c’è quasi tutto di Eduard Limonov.
I francesi, i tedeschi, gli americani da tempo non hanno più nessuna energia. Ho avuto molte occasioni per convincermene. Non sentono più la vita. Il futuro appartiene ai talebani, ai turchi, basta guardare come se le danno, ai curdi, a tutta questa folla selvaggia di individui sospetti che gli europei disdegnano e non capiscono. L’Europa è già morta, stanca e profondamente cambiata, perciò tutte quelle splendide fichette di rue du Petit Musc è inutile che sbattano le ciglia. Ci vorrebbe un ceceno che gli s’infili nelle mutande per insegnar loro a rigar dritto. […] I miei noiosi colleghi letterati, anche i migliori tra loro, non hanno capito e si ostinano a non capire quanto l’essermi lanciato nella guerra e nella politica abbia ampliato le mie possibilità. Il nuovo senso estetico era quello che nasceva sfrecciando per una città bruciata sopra la corazza di un carro armato circondato da giovani belve con fucili d’assalto.
C’è il giudizio sull’Occidente, da lui conosciuto sin dal suo barboneggiare per la New York degli anni Settanta ricalcando le orme di tanti emigré – con i Velvet Underground sullo sfondo al posto dei Balalaika Russe –, fino al suo errare da Parigi a tutte le capitali europee dagli anni Ottanta all’inizio del terzo millennio. C’è il suo orgoglio di essere sempre stato anche un uomo d’azione, dalla politica di strada e gli scontri di piazza nella Russia postsovietica, al suo comparire nei Balcani e nel Caucaso delle guerre negli anni Novanta, tanto ipocritamente sottovalutate o colpevolmente ignorate a Ovest. C’è poi il Limonov politico, l’enfant terrible, il Limonov scrittore, quasi sempre autobiografico o parabiografico. Tra le righe c’è il Limonov punk – troppo punk per un serioso Dugin, con cui infatti ruppe, e messo al bando oggi sia in Russia sia in Ucraina –, amico di Egor Letov, cofondatore del Partito Nazional-Bolscevico e anima del gruppo punk-folk Graždanskaja Oborona (Difesa civile), e della cantautrice e poetessa Janka Djagileva, ambedue morti prima dei quarant’anni – anno più, anno meno –, come logico dev’essere per artisti davvero al di fuori o contro.
Nel libro che avete in mano c’è forse il miglior Limonov metapolitico, profetico e anche divertito, ed è per questo che abbiamo tanto desiderato farlo uscire in italiano – tradotto dall’edizione francese di Bartillat del 2016 – con la stessa urgente passione che proviamo per due altri grandi irregolari: Louis-Ferdinand Céline e Dominique Venner.
Limonov è profetico quando identifica con precisione, negli anni ormai lontani a cavallo del crollo dell’URSS, il controllo sull’uomo del Potere, statale o esercitato da organizzazioni sovranazionali o private. Un controllo che passa dalla violenza brutale dello «stivale che calpesta un volto per sempre» di 1984 di Orwell – testo per Limonov non profetico, ma banalmente descrittivo dei metodi dei totalitarismi staliniani e fascisti, a parte la neolingua, prefiguratrice del “politicamente corretto” – alla violenza soft del controllo psicologico, dei sistemi di sorveglianza avanzati, della digitalizzazione liberticida dell’esistenza, del sostituire l’emozione e le pulsioni vitali dell’uomo con i succedanei dell’intrattenimento di massa. Potenzialità letali che sappiamo essere ben intuite dall’Huxley di Brave New World, assieme agli abissi della ricerca genetica senza limiti.
La metafora delle società “occidentali” – e sottolineiamo come per Limonov, da un certo punto di vista, fossero ormai “occidentalizzate” anche Russia e Cina, e scriveva nel 1988-’89! –, simili a strutture ospedaliere o ospizi, con i cittadini ridotti a pazienti passivamente confinati nelle loro corsie d’ospedale, accuditi da solerti infermieri e orgoglio dell’amministrazione, risuonerà attuale a chiunque dopo due anni di restrizioni pandemiche. Tuttavia, sarebbe superficiale limitarsi a questa interpretazione, per il semplicissimo motivo che una nutrita letteratura su questo tema non ha cessato, in questi ultimi decenni, di far scattare continui cicalini di allarme sulla strisciante violenza soft degli Stati e delle megacorporazioni e il suo sempre più totalizzante dominio sull’uomo. Da schiere di testi scientifici sul controllo sociale e sulla cultura della sorveglianza ai romanzi di William S. Burroughs e J. G. Ballard, dall’intero genere cyberpunk agli scritti di Theodore Kaczynski e di libertari nordamericani come Claire Wolfe, sino alle città fantasma di Paul Virilio e Mike Davis.
Eppure, al momento non diciamo della verità, ma in un periodo di misure e restrizioni viste da molti – non intendiamo dai complottisti rettiliani, ma da persone di buon senso – come più autoritarie che sanitarie, la quasi totalità delle persone “avvertite” che ben conoscevano questi autori hanno dimostrato con il loro precipitare nello sgomento esterrefatto prima, e tutto sommato nell’accettazione poi, di aver letto quei libri come astratte opere di riferimento o pura letteratura d’evasione o erudizione, scegliendo più o meno inconsciamente, più o meno deliberatamente, di ignorare che sì, questi scrittori parlavano di noi, di noi nel nostro reale, presente e futuro.
Vedremo se queste pagine di Limonov avranno maggior fortuna.
Ovviamente, no.
maggio 2023
Il manicomio-gulag-lager-campo di rieducazione ecc. fu ‘inventato’ dai suoi amici leninisti-stalinisti-nazisti-maoisti, non dai liberali d’Occidente…
Profetico. Quello che scrive si e’ avverato, basti pensare alla pandemia per non parlare poi della decadenza dell’occidente in generalep
La pandemia è stata accidentalmente provocata dai cinesi… Nessun complottismo, please..
Come no, provocata accidentalmente dai cinesi e sconfitta dalle eroiche case farmaceutiche americane che in pochi mesi hanno scoperto il vaccino… credo che la faccenda richieda riflessioni più articolate dell’ops, è scappato dal laboratorio di wuhan, ah no il pipistrello. Dopodiché l’Occidente è quello che è per colpa dei nazi maoisti, certo. Come se non fossimo sotto egemonia liberale ininterrotta da quasi un secolo. Aveva ragione Evola quando scriveva – se non ricordo male in Orientamenti – che per certi versi lo stalinismo, fautore di una oppressione più fisica che mentale, è meno pericoloso, da questo specifico punto di vista, di quella “soft” subdola occidentale e liberale che da decenni inebetisce generazioni di europei, nordamericani e non solo. Anzi, chiosiamo nel solco della vulgata del momento affermando che è colpa di Putin. Il liberalismo, al potere in Occidente, non si discute.
Francesco. Ma perchè non rifletti, o leggi qualcosa, sulle grandi epidemie della storia, quando non c’erano case farmaceutiche americane e neppure i vaccini Sinovac e Sputnik…
Stalinismo meno pericoloso? Vallo a chiedere ai milioni di vittime. Stalin fu peggio di Hitler.
Guidobono. Consigliami pure qualcosa da leggere sulle grandi epidemie della storia, se vuoi. Invito te invece a riflettere sui filantropi del nostro tempo, in questo caso in veste di indovini, che predicevano la pandemia e ne predicono altre in futuro. A quando la prossima ? Uno di questi è Bill Gates, che da un lato finanzia i vaccini e l’OMS, dall’altro predica la riduzione della popolazione mondiale. Difficile non pensare ad una strana correlazione. Oppure il sig. Burla, a.d. di Pfizer, che ad una riunione del WEF afferma che l’obiettivo di ridurre la popolazione mondiale si sta perseguendo con ottimi risultati. E i governi d’Occidente ? Io osservo, ascolto, leggo e mi pongo delle domande alle quali provo a dare risposte, tutto qua. Non credo di avere la verità a portata di mano ma non posso fare a meno di sottoporre a vaglio critico quanto sopra e tante altre cose a cui abbiamo assistito nei due anni di “pandemia”. Alla versione del virus scappato di mano, non credo, punto e basta. Tantomeno alla bontà di chi ci ha venduto i vaccini, tutti, nessuno escluso.