Nella tradizione romana, la Pietas era la colonna portante del rapporto tra l’uomo, i suoi simili e la dimensione divina. L’obbedienza che l’uomo deve agli déi e al Fato, riconoscendoli come elementi più grandi di lui, le cui leggi sfuggono per loro intrinseca natura alla comprensione dei mortali e che ciononostante è necessario rispettare. Poiché queste leggi hanno disciplinato l’esistenza in questa nostra dimensione dai tempi dei primi uomini, sono state la stella polare delle grandi civiltà che ci hanno tramandato gli elementi più nobili della nostra cultura e continueranno a condizionare la vita degli esseri umani quando non ci saremo più. D’altronde non spetta all’uomo della Tradizione costruire paradisi in terra, né condurre il popolo verso il Sol dell’avvenire: deve vivere con pienezza il mondo che lo circonda, consapevole della presenza di un complesso di leggi non scritte che regolano la sua esistenza.
All’interno di queste leggi non scritte figura il rispetto verso i morti. Sentimento che nasce dalla constatazione dell’inevitabile, e dalla convinzione che, ferme restando le legittime opinioni che si devono conservare nei confronti di quel che il defunto ha fatto in vita, egli sia “passato oltre”, e abbia compiuto oramai il proprio destino. Il mito e la storia ci offrono un’infinità di spunti a riguardo, testimonianze di rispetto nei confronti della morte dei più esecrabili nemici. Basti pensare ad Achille, che dopo aver fatto colpevolmente scempio del corpo di Ettore, pentito, lo rende a re Priamo affinché venga sepolto con tutti gli onori, o Marco Antonio che sul campo di Filippi copre il corpo di Bruto con una toga di porpora in segno di rispetto.
La morte impone gravitas, quel valore romano intraducibile nella nostra lingua, che potremmo definire la sintesi di dignità, serietà e autocontrollo. Ecco: nell’ultima settimana, polarizzata dalla morte di Silvio Berlusconi e dal conseguente dibattito, ha rimbombato con forza la totale assenza di questi valori. E non mi riferisco tanto a coloro che si collocano in un campo valoriale differente rispetto al mio, persone che per proprie convinzioni personali tendono a negare l’idea di un ordo naturalis che funga da stella polare, e che pertanto non riconoscono validi i ragionamenti di cui sopra. È anche naturale che i vari Marco Travaglio, Gianni Barbacetto, Andrea Scanzi o Tomaso Montanari inizino a lanciare i propri strali a cadavere ancora caldo, cogliendo l’occasione di un’inaspettata visibilità per ricordare al mondo la propria esistenza.
Ad essere esecrabile è più di tutti il comportamento tenuto dai nostri. Alle lacrime pelose del ministro dei Trasporti al Tg1 alla reazione scomposta della Giunta regionale ligure di fronte all’abbandono dell’aula da parte dei consiglieri di sinistra al minuto di silenzio. Dai selfie in chiesa alle lacrime della Ronzulli in Senato.
Sono tutte esteriorizzazioni di un medesimo problema di fondo, anche a costo di essere ripetitivo e indigesto. Qualcuno diceva: “il Paese va in rovina per mancanza di uomini, non per mancanza di programmi. E’ questa la nostra convinzione. Dobbiamo quindi non elaborare nuovi programmi ma allevare uomini, uomini nuovi”.
Questo dovrebbe essere il ruolo della politica e delle Comunità militanti, oggi più che mai. Uscire dalla logica dei comitati elettorali permanenti e recuperare il proprio ruolo di formazione di Uomini, controcorrente rispetto ad una società che punta alla destrutturazione di tutti i principi verticali. In assenza di ciò, qualsiasi tentativo di imporre un significativo cambio di rotta al nostro Paese, e al mondo che ci circonda, finirà per essere un inutile sforzo improduttivo.
Paese imbarbarito ed abbruttito dal sinistrume comunistoide a tutti i livelli. Senza speranza di redenzione.
Il sinistrume comunistoide è solo la punta dell’iceberg, l’imbarbarimento è generale… e trasversale, purtroppo.
Fanno schifo (e non meritano la parola “nemico”, parola colma di onore), ma lo sapevamo. Si dibattono nella melma, lo stesso Berlusconi, con i suoi numerosi sbagli e difetti, vola infinitamente più in alto di certa gente.