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“Il Napoleone di Notting Hill” e il patriottismo dell’inglese G. K. Chesterton

L’idea dello scrittore è che si debba amare la propria patria a prescindere perché è il luogo dove si è nati, dove si tramanda una tradizione e che non ha pretese di superiorità su altre, accettando che anche altri popoli facciano altrettanto

by Pasquale Ciaccio
13 Maggio 2023
in Cultura
1
Il Napoleone di Notting Hill

Il Napoleone di Notting Hill è il primo romanzo di G. K. Chesterton. Qual è il tema? C’è un re umorista che, per scherzo, immaginando una Londra del futuro, ricrea  le antiche municipalità medioevali come una sorta di piccoli comuni dotati ciascuno di un sindaco e di autonomia. 

Cosa succede in breve? Che scoppia una piccola guerra causata dal fatto che i sindaci degli altri quartieri hanno in mente di costruire una strada  che dovrebbe passare per Notting Hill, rovinandone il cuore pulsante e cioè una viuzza, Pump Street.Alla fine dello scontro, prevale proprio Notting Hill sebbene inferiore come forze e prevale proprio per l’eroismo e per il patriottismo mostrati. Paradossalmente quello che all’inizio era solo un gioco, si trasforma in realtà nel senso che quello spirito mostrato, quello di difendere la piccola patria, si diffonde anche negli abitanti degli altri quartieri. 

Il protagonista del romanzo è Adam Wayne che è nato lì e che si è trovato già dato quel piccolo mondo che è sì un microcosmo ma allo stesso tempo riflesso del mondo. Chesterton, com’è noto, usa il paradosso e fu definito “ il principe del paradosso”. In questo romanzo, esso consiste proprio nel difendere un piccolo spazio al contrario dell’accezione comune del patriottismo legato al concetto di nazione.

Ci si può chiedere: l’autore è contro l’idea di nazione?  Si può rispondere in questo modo: egli è contro un’idea di patriottismo deteriore che chiamava “Jngoismo” cioè ritenere, che la propria patria abbia un’importanza maggiore perché grande come un impero o perché abitata da Germani, razza superiore. L’idea di Chesterton è che si debba amare la propria patria a prescindere perché è il luogo dove si è nati, dove si tramanda una tradizione e che non ha pretese di superiorità su altre, accettando che anche altri popoli facciano altrettanto. 

Per il nostro autore non conta quindi quanto sia grande geograficamente dato che,  anche se piccola come Notting Hill, non significa chiusura verso ciò che è altro quanto piuttosto il fatto che anche chi si professa cosmopolita e rifiuta la patria o comunque la nazione, è nato in un certo contesto, in una certa via, piazza. 

Il senso della vittoria del protagonista, Adam Wayne, nel portare avanti il suo ideale è riassunto in ciò che dice in punto di morte: 

“Mi abbarbico a qualcosa, e se il qualcosa cade, lasciamo che cada. Questo è quello che rappresenta la sola felicità, la sola universalità”. 

Lottare per un ideale fermo, stabile che non vuol dire imporlo bensì non rinnegare le proprie radici anche se questo dovesse comportare un insuccesso.     

* Il Napoleone di Notting Hill, di G. Chesterton (Ed Lindau)

@barbadilloit

 

Pasquale Ciaccio

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Tags: G. K. ChestertonNapoleone di Notting HillPasquale Ciaccio

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Comments 1

  1. enrico says:
    2 settimane ago

    Chesterton è stato un grande conservatore e un grande convertito al Cattolicesimo. Il laicista Bernard Shaw parlava di un mostro “Chesterbelloc” alludendo all’influenza politica e morale esercitata da lui e da Hilaire Belloc, scrittore francese naturalizzato britannico, sulla cultura britannica dell’epoca. Provai a leggere molti anni fa L’avventura di un uomo vivo, ma non mi piacque. Invece ho apprezzato molto i racconti di padre Brown, che conobbi, come molti della mia generazione, dalla splendida riduzione televisiva del 1970; aveva come interprete del sacerdote Renato Rascel. e che fu realizzata con ogni cura direttamente dalla Rai, in Inghilterra. Ogni tanto seguo una nuova versione dei racconti, ma dopo avere visto il minuto Rascel quel pretacchione un po’ bolso che ha preso il suo posto mi piace molto di meno. Rimango così col rimpianto di un tempo felice in cui gli sceneggiati televisivi, che ancora non si chiamavano fiction, erano realizzati con ricchezza di mezzi all’esterno, come oggi. Speriamo che i nuovi gestori della Rai cambino indirizzo, anche se ne dubito.
    p.s. bravo Rascel, ma bravo anche Arnoldo Foà, che nella miniserie interpretava la parte del “cattivo” poi ravveduto. Di Foà ricordo un dettaglio singolare: lui ebreo e di sinistra sposò la figlia dell’ingegner Giovanni Volpe, editore notoriamente di destra, nonché figlio dello “storico ufficiale” del fascismo, Gioacchino, che però non aveva aderito alla Rsi, il che non gli risparmiò l’epurazione (e dire che aveva protetto tanti suoi studenti antifascisti).
    Non so come andassero i rapporti fra suocero e genero, ma ho l’impressione che fossero tempi più civili dei nostri. Con Ludovica le cose non dovettero andare poi tanto male, visto che ebbero quattro figli…

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