Non sono molti i politici capaci di trovare il tempo di alternare gli impegni parlamentari o ministeriali con la ricerca storica. Andrea Augello, di cui non solo la destra piange la prematura scomparsa, era uno di questi. Non ne condivisi l’impegno politico, ed ebbi modo di conoscerlo solo occasionalmente molti anni fa, quando fui chiamato a presentare alle “Giubbe Rosse” uno dei suoi saggi più seri e approfonditi: Uccidi gli italiani. Gela 1943. La battaglia dimenticata, pubblicato dalla Mursia nel 2009.
Il volume non era solo la ricostruzione di una delle vicende più drammatiche dello sbarco in Sicilia, e una denuncia dei crimini di guerra commessi dai paracadutisti britannici durante l’operazione Husky, ma anche e soprattutto una rivendicazione del valore dei nostri combattenti, paradossalmente denigrato non solo dalle forze nemiche, ma dagli stessi alleati tedeschi, interessati a “prendere gradualmente il controllo di tutte le Forze dell’Asse durante la campagna d’Italia”, anche per “prevenire e fronteggiare un eventuale voltafaccia italiano”.
Contrariamente alla vulgata corrente, che vuole i nostri soldati rassegnati alla sconfitta, lo sbarco in Sicilia fu tutt’altro che facile per le forze angloamericane, che per un momento rischiarono seriamente di essere ributtate in mare. Il che aiuta a spiegare, non certo a giustificare, insieme a un’overdose di metredina, le barbare esecuzioni di prigionieri italiani e le infami violenze contro la popolazione civile che accompagnarono l’operazione Husky. A indurre Augello a scrivere questo libro fu anche e forse soprattutto il ricordo di un suo familiare: il nonno paterno Vincenzo, commissario capo a Lentini, nonché vicequestore pro tempore di Siracusa. Quando un sottufficiale inglese irruppe nella sede del commissariato pretendendo che il tricolore venisse ammainato a beneficio dell’Union Jack, il coraggioso funzionario, offeso non tanto dalla sostanza della richiesta, quanto dall’arroganza con cui era stata formulata, accompagnò all’uscita pistola in pugno l’intruso, salvo poi essere arrestato. Ma la favola di una popolazione siciliana prona, magari tramite la mediazione dei “picciotti di Brooklyn”, dinanzi a quelli che ancora erano da considerare a tutti gli effetti invasori esce smentita anche da molti altri passi del saggio.
A scrivere la postfazione al volume di Augello fu Anna Finocchiaro, magistrato ed esponente di spicco del Pci, poi del Pds e del Pd siciliano, ministro delle pari opportunità nel primo governo Prodi. Tre pagine dense di concetti, in cui si coglie uno degli aspetti più interessanti di Uccidi gli italiani: la capacità di coniugare la storia militare con la microstoria, raccogliendo le preziose testimonianze dei superstiti e dei loro familiari, investigando persino il folclore e la memoria popolare, sulle orme della histoire à part entièredei Bloch, dei Febvre e dei Braudel.
A ormai tre lustri da quel libro, e da quella postfazione, è lecito porsi una domanda: una simile non corriva ma rispettosa collaborazione fra due persone appartenenti a schieramenti opposti sarebbe oggi concepibile? Purtroppo, nutro seri dubbi in proposito. E non solo perché fra i politici sono sempre di meno quelli che scrivono (e magari leggono) libri.
Verissimo. Ma la storia la scrivono, purtroppo, i vincitori ed i loro lacchè. In ogni caso noi militamente eravamo messi assai male e questo era una colpa. Indipendentemente da atti di eroismo e coraggiosi. Perchè gli italiani (non tutti, certo) applaudivano inglesi ed americani che li avevano bombardati fino al giorno prima?
Lo stato penoso delle nostre difese alla vigilia dello sbarco alleato in Sicilia fu comprovata dallo stesso Vittorio Emanuele III
Non tutti applaudivano. Una mia parente siciliana mi raccontava che da bambina si rifiutò di mangiare per settimane le scatolette che dispensavano gli invasori. E facevano da mesi la fame…
Enrico. Non tutti, certo. Ma ricordi i filmati dell’arrivo degli americani a Roma nel 1944?
La conquista della Sicilia fu enormemente facilitata da generali e ammiragli traditori, come il comandante di Pantelleria che avrebbe potuto resistere per mesi e rendere l’isola una Okinawa per gli inglesi, ma si arrese inopinatamente senza sparare un colpo. Giustamente fu poi condannato a morte dalla RSI.
La stessa cosa il comandante della piazzaforte di Augusta che fuggì nella notte lasciando senza ordini i soldati. Vergognoso il comportamento della flotta praticamente intatta che non si oppose allo sbarco.