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Migranti e figli, l’Italia ha (più di) un problema

Giuseppe Del Ninno: "Al di là delle misure tampone di oggi è ormai indifferibile l’adozione di provvedimenti legislativi atti a promuovere gli auspicati incrementi demografici"

by Giuseppe Del Ninno
19 Aprile 2023
in Politica
7
Identità nazionale

I governi e, in generale, la politica, si trovano sempre di fronte a due ordini di problemi: quelli di lungo periodo, la cui soluzione passa attraverso provvedimenti di prospettiva, magari da correggere di fronte alle contingenze dell’ora, e quelli che vanno risolti nell’immediato, quelli che incidono da subito sulla vita dei cittadini (è invalsa l’abitudine di definirli “emergenziali”).

 

A complicare le cose, sta la constatazione che spesso le tempistiche si accavallano e un’urgenza respinge indietro nelle agende legislative e operative quella che fino a ieri era un’emergenza a cui provvedere senza indugi; senza contare le interconnessioni fra una questione e l’altra.

 

Alla categoria delle questioni strutturali appartiene senza dubbio quella dei flussi migratori, in particolare, per la nostra Italia, quelli provenienti dall’Africa, continente abitato da oltre un miliardo e quattrocento milioni di persone – in prevalenza giovani – in continua espansione demografica e flagellato da carestie e desertificazioni, da instabilità politiche e cripto-neo-colonialismo (specie cinese), da crisi economiche e sanitarie pandemiche.

 

Parlavamo di interconnessioni: è evidente che i punti critici sopra elencati all’ingrosso, si collegano al nostro perdurante calo demografico, per ovviare al quale s’impongono (da troppo tempo invano!) provvedimenti di lungo periodo, fin qui insufficienti, a dir poco: per “riempire le culle” occorrono infatti generazioni, mentre i vuoti di personale nei vari comparti dell’apparato produttivo vanno colmati subito. Per soddisfare le esigenze dell’ora, viene invocato, specie da parte imprenditoriale, l’ampliamento dei flussi migratori; ma resta il mistero di un paese dove si richiedono 500.000 occupabili allogeni, mentre si contano, secondo “Il Sole 24 Ore”, 2 milioni di disoccupati e tre milioni di “scoraggiati”, cioè di persone che neppure cercano più un posto di lavoro. Viene il sospetto che all’origine di queste anomalie, cioè non solo di gente che rifiuta un lavoro, ma di coppie che si sottraggono alla genitorialità, vi sia un diffuso costume che rifugge dalle difficoltà della vita, dall’assunzione di responsabilità, dallo spirito di sacrificio. Dunque il problema non starebbe tanto nella sfera dell’economia, bensì in quella del costume e dei codici morali.

 

Ma torniamo alla questione dell’emigrazione, in bilico fra problemi strutturali ed emergenze del momento. Sulla carta, le ricette sono sotto gli occhi di tutti e riscuotono consensi in larga parte dei pur contrapposti schieramenti politici e della stessa Unione Europea: varare accordi con i paesi africani da cui muovono i flussi migratori, da un lato per selezionare in partenza coloro che hanno concrete possibilità di essere accolti dignitosamente e magari integrati; dall’altro, per concordare i rimpatri e comunque combattere i nuovi negrieri, il tutto in presenza di accordi fra gli Stati dell’Unione Europea. Questo, nell’immediato. A più lunga scadenza, ma con avvio indifferibile dei processi, fornire a quei paesi le risorse necessarie per attenuare almeno la morsa delle crisi di varia natura – economica, alimentare, sanitaria, politica – che sono all’origine dei flussi migratori incontrollati (in Italia, si parla di un “piano Mattei”, sulla falsariga dello storico “piano Marshall”).

 

Va da sé che un progetto di tale portata non può essere realizzato da un solo paese e che l’Unione Europea dovrebbe assumervi un ruolo chiave, ridimensionando gli egoismi eterogenei dei suoi componenti (quelli che aspirano ad egemonie più o meno velleitarie, quelli che temono invasioni atte a turbare equilibri interni precari, quelli che semplicemente si chiudono nei propri confini). Pia illusione!

 

Sta di fatto che, aldilà delle misure tampone di oggi (ad esempio, l’abolizione della “protezione speciale” o, sull’altro versante, l’istituzione di corridoi umanitari, lo snellimento delle pratiche burocratiche per la verifica degli aventi diritto, o la riapertura dei canali d’immigrazione regolare) è ormai indifferibile l’adozione di provvedimenti legislativi atti a promuovere gli auspicati incrementi demografici. Vasto programma, avrebbe detto il generale De Gaulle, un programma che comprende vari capitoli, non pochi dei quali non incontrano le sensibilità di molti dei cittadini elettori (e per qualcuno sono addirittura da rigettare).

 

Provate a dire che gli auspici di Confindustria di allargare le maglie della selezione, per portare centinaia di migliaia di nuovi lavoratori allogeni – provenienti da altre culture, privi dei requisiti di specializzazione occorrenti per essere inseriti nell’apparato produttivo e caratterizzati da un elevato tasso di fecondità – forse risolvono problemi delle imprese nell’immediato, ma preludono ad una sostituzione etnica nel lungo periodo, e sarete crocifissi.

 

Il fatto è che nozioni come quelle di confine, tradizione, identità sono oggi messe al bando e demonizzate dal pensiero unico imperante, che parte dalla globalizzazione e si consolida con la “cancel culture”. In questo quadro, un particolare non trascurabile è dato dalla difesa della lingua italiana, altra impresa di lungo periodo, ignorata o messa in ridicolo nel “discorso pubblico” (che banalità evocare la fascistissima “coda di gallo” per indicare il cocktail!); come se non fosse possibile difendere l’italiano e imparare l’inglese, contemporaneamente.

 

E pensare che nella Francia, spesso guardata come esempio, questa esigenza era stata avvertita fin dai tempi di Francesco I, per poi essere ribadita dalla legge Toubon del 1994 (in sintonia, del resto, con la sensibilità popolare). Certo, si tratta di mettere mano, fra l’altro, alla scuola e all’università, istituzioni afflitte da ripetute riforme peggiorative, valorizzando gli Istituti di Cultura e curando maggiormente i rapporti con le comunità italiane all’estero; ma se mai si comincia…

 

Comunque, ben venga l’inglese (anche se si esagera, non solo nella cartellonistica pubblicitaria e nel linguaggio corrente, nelle scuole, nelle università e nella cinematografia, ma perfino nel gergo legislativo e burocratico). Questa egemonia linguistica, che agevola e accompagna trasformazioni di costume spesso problematiche, servirà forse ad ovviare alle esigenze dell’ora, ma nel lungo periodo metterà a repentaglio le nostre tradizioni e la nostra identità. E allora, possiamo concludere queste note con una citazione “pop”: “Il giorno della fine non ti servirà l’inglese”. Così cantava Franco Battiato, nella sua “Il Re del Mondo”.

 

 

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno

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Comments 7

  1. pasquale ciaccio says:
    2 mesi ago

    E’ indubbio chela questione migratoria sia strutturale,dura da decenni. L’Italia è sotto attacco per l’incapacità dei governi di centro-sinistra di affrontare il problema con la Ue. L’attuale governo ha messo in campo un attivismo di politica estera con vari Paesi africani,il fattoè che l’Europa dormicchia perchè ognuno mira a farsi gli affari propri in generale e l’Italia è sola. Francia,Spagna,Malta impediscono gli arrivi,per es. Si collega poi il problema della natalità in Italia e le reazioni scomposte e idiote della sinistra e dei 5 stelle alle dichiarazioni del ministro Lollobrigida sono il segno che abbiamo in casa nemici come all’estero che mirano a distruggere tradizioni,confini e altrol

  2. Valter Ameglio says:
    2 mesi ago

    5,5 mln di italiani di ogni età,condizione sociale e culturale vivono stabilmente all’estero ( 10% degli Italiani)
    Non si riesce a trattenere gli italiani è utopico volere bloccare gli stranieri
    Solo slogans per arrivare alla prossima votazione e/o esercizi accademici per gli “ouvriers de plume”

  3. Guidobono says:
    2 mesi ago

    Vanno all’estero giovani formati, con iniziativa ed ambizioni e pensionati come il sottocritto. Insostitibuli!!!!

  4. enrico says:
    2 mesi ago

    All’estero vanno in prevalenza italiani con un titolo di studio medio-alto, attratti da stipendi più alti rispetto alla realtà salariale italiana, che penalizza i lavoratori qualificati: uno spazzino guadagna quanto un professore, un manovale più di un ingegnere. Tale situazione è il frutto di decenni di rovinoso egalitarismo, ma ha poco a che fare con il problema dell’immigrazione.

  5. Guidobono says:
    2 mesi ago

    Chi potrebbe servire non viene in Italia, qui arriva chi spira a godere i rimasugli di Welfare, facendo il meno possibile…

  6. Ferna.. says:
    2 mesi ago

    Ameglio,noto Che sei quasi sempre parsimonioso in critiche velatamente e sarcasticamente pungenti con il governo attuale.Se né dedurrebbe che tu sappia come implementare migliorie strutturali legislative,per risolvere almeno il gravame dell’imigrazione.Haa!Finalmente qualcuno che sappia osare esporsi in concretezza..Grazie.

  7. Valter Ameglio says:
    2 mesi ago

    Invece hanno un denominatore in comune
    Una politica senza visione e un progetto Nazione
    La stessa politica che non riesce a rendere appetibile il lungomare di Alassio ad un pensionato e che gli fa preferire quello di Cascais ( figuriamoci per giovani più o meno dotati) sarebbe la stessa che dovrebbe riuscire a regolare i flussi?
    Dai, o diventiamo seri oppure continuiamo a balloccarci chi con la pancia e chi con l’intelletto

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