Francesco Lo Dico nasce a Misilmeri (Pa) il 24 dicembre 1883 da Vincenzo e Priola Angela, quarto di 5 figli: Giuseppe, Filippa, Francesca e Nicolò.Sposa la giovane Rosalia Rizzolo ma, dopo un breve periodo di felicità, per le ristrette condizioni economiche in cui versava l’Italietta del tempo, a ventisei anni è costretto come tanti altri compatrioti ad emigrare in America a cercare fortuna. Porta con sé persino la federa del materasso.
Parte da Napoli a bordo della nave Luisitana e arriva a Nuova York il 5 aprile 1909. Viene ospitato da un paesano di nome Sorrentino Antonino nella 12^ Str. al civ. 403C.
Nella descrizione dei passeggeri inseriti nella lista d’imbarco, riprodotta dalla “Ellis Island”, risalta la figura del giovane uomo perché alto 5.6 piedi, corrispondente a 1,71 mt (contro una media di 1.60), di carnagione bianca (contro una generalità olivastra), capelli castani e occhi grigio/verdi (contro una media di capelli e occhi corvini).
Successivamente, una grave crisi economica dell’America costringe la maggior parte degli emigrati italiani a cercare di tornare in Patria, ma avevano bisogno che si mandasse loro l’importo sufficiente per l’acquisto del biglietto di ritorno, Francesco invece, riesce a fare fortuna avendo cura di mettere da canto i soldi che aveva guadagnato con sacrificio e sudore.
Al ritorno, non dimenticando di riportare indietro la federa, compra una casa, dei terreni ed anche un carretto con il cavallo con cui intraprende l’attività di “urdunaro” (trasportatore), anche se più volte sarà rapinato dai briganti che infestavano le strade di Sicilia (la piaga sarà cauterizzata negli anni ’20 da Cesare Mori. Nda).
Ma non fa in tempo a riabbracciare i cari, che scoppia la I Guerra Mondiale e da richiamato corre alle armi per adempiere al suo dovere di cittadino.
Fante della 64^ Divisione, 142° Regimento della Brigata Catanzaro, forte di circa 6000 uomini in maggioranza calabresi e siciliani, comandata dal col. Cassoli Arturo, con il maggiore De Vecchi Carlo, commilitone del ten. Gaetano Alberti e di Filippo Corridoni (che saranno MOVM) con le mostrine rosso e nere (che significa: portiamo i colori del sangue e della morte. Ovunque vincitori), nel 1915 viene assegnato ad un’unità d’assalto sul fronte orientale delle Alpi. Partecipa, con sprezzo del pericolo, per due anni, a ininterrotti feroci corpo a corpo, assalti e contro assalti all’arma bianca nella zona tra l’Isonzo e il Carso, Udine, Monte Argento, Cengio, Canussino, San Martino, Groviglio, Monte San Michele, Asiago, Monte Mosciagh, dove la baionetta recuperò il cannone così come recita il bollettino di guerra n. 369 del 28 maggio 1916. L’evento venne riportato nella copertina della Domenica del Corriere.
Finalmente, dopo essere stata utilizzata senza sosta fino allo spasimo, il 15 luglio 1917, la Catanzaro a Santa Maria la Longa usufruisce di riposo ma, a sera arriva l’ordine di ritornare in trincea. Al che si scatena la rabbia e la protesta. Pertanto l’indomani viene eseguita per rappresaglia la “decimazione” (fucilazione indiscriminata dei soldati), testimoniata e descritta da Gabriele D’Annunzio. Il tricolore grondò sangue italiano. 28 eroi caddero per mano dei fratelli. I caduti furono messi in una fossa comune e solamente nel ’35 furono traslati nell’ossario di Udine.
Successivamente, nonostante la grave vicissitudine, la Catanzaro arditamente riprende la lotta per la difesa della Patria tra le paludi del Lisert e lungo le sponde del Timavo, tra le case di San Giovanni di Duino, per tentare l’aggiramento del monte Hermada, l’ultimo baluardo austriaco per Trieste. Il paese è ripreso. Il 25 agosto del 1917 il generale Cadorna alle ore 13 emette il bollettino di guerra n. 823: “Da ieri il tricolore sventola sulla vetta del Monte Santo. Negli incessanti combattimenti si distinsero per arditezza e tenacia…la Brigata Catanzaro (141° e 142°”). L’azione eroica guadagna la medaglia d’argento a valor militare.
Ma alcuni giorni dopo, l’assaltatore Francesco Lo Dico viene ritrovato esanime nella zona della battaglia. Egli, per la tempra d’acciaio che lo caratterizza, è ancora vivo ma massacrato dalle estreme contingenze ambientali. Ricoverato all’O.M. di Udine per un breve periodo è inviato all’O.M. di Palermo dove il 24/10/1917 muore ad appena 33 anni, dopo aver subito con stoico coraggio un intervento chirurgico a vivo di rimozione di parte dell’osso vestibolare infettato (otite? allora non era stata inventata la penicillina pertanto si suppone fosse subentrata la setticemia. Nda).
Mia nonna Rosalia raccontava che, allora in trepida attesa dietro la porta della sala chirurgica, aveva sentito distintamente i colpetti di martelletto sullo scalpellino dati dal chirurgo ma, a fine intervento, Francesco, con l’ultimo sereno soffio di vita, raccomandò alla giovane sposa Rosalia i figli ancora in tenera età: Vincenzo di nove anni, Giuseppe di sei, Salvatore di tre e Francesco di appena un anno. Prima di spirare non mancò di confortare Rosalia soggiungendo che sarebbe andato nella Gloria del paradiso.
La drammaticità degli eventi e il periodo particolare fecero cadere Francesco nell’oblio generale.
Il 4 novembre 1918 l’Italia proclama la Vittoria. Il prezzo è altissimo: 651.000 militari caduti.
I reduci che tornavano dalle trincee erano vituperati, la Patria stentava a ripartire e pertanto gli stessi ricominciarono a combattere gli italioti fino all’avvento del Governo Fascista.
Rosalia, vedova Lo Dico, da sola, a prezzo di enormi sacrifici, allevò ed educò i quattro figlioli. Ottenne la pensione di guerra solamente nel 1935!
Di quei tragici avvenimenti rimase solo il ricordo tramandato dalla nonna al nipote Paolo Francesco, ufficiale in congedo, il quale, dopo decenni di caparbie ricerche e richieste al Ministero della Difesa, riuscì finalmente ad accertare che il nome del nonno era stato incluso nell’Albo d’Oro degli Eroi Caduti per la Patria nella guerra del 15/18.
In ragione di ciò, Paolo Francesco, con la collaborazione dello Stato Maggiore Esercito, UNUCI, Comune di Misilmeri, fece tributare al Fante Francesco Lo Dico i dovuti onori militari e civili propri dei caduti in guerra ed ai suoi figli lo status di Orfani di Guerra.
Le cerimonie ebbero infatti luogo nel ’96 e nel ’97, a ben ottanta anni dalla morte, alla presenza di Autorità Militari e Civili, Picchetto d’Onore, Associazioni Combattentistiche e d’Arma, Carabinieri, VV.UU., Scouts, Scolaresche con bandiere e della Popolazione tutta, fra il tripudio di una piazza addobbata di tricolori.
In data 8 agosto 2008, l’Italia memore del suo figlio immolatosi per Lei, tramite il Comandante del Centro Documentale di Palermo, concede al Soldato Lo Dico Francesco la Croce al Merito di Guerra nelle mani del nipote Paolo Francesco Lo Dico.
Sarebbe auspicabile intestargli una via o uno slargo per indicare la via dell’onore e del sacrificio ai giovani affinché possano diventare probi cittadini per il Bene Comune della nostra amata Patria Italia.
Nel suo cognome sembra fosse insito il suo destino: basti pensare che l’antroponimo “LO DICO”, diffuso anche nelle forme “LODICO” e “DICO”, proviene dal nome personale LODOVICO, da cui storicamente sono poi derivati LUDOVICO, LUIGI, LUIGIA, LUISA.
Tornando al significato etimologico, questo trova rispondenza nell’antico soprannome germanico di ceppo guerriero composto da “HLOT” che significa “fama”, “gloria”, e “WIG” che significa “battaglia”.
Il senso complessivo equivale quindi a: “GLORIOSO IN COMBATTIMENTO”.
Di Francesco non si conserva alcuna foto, ma come lui amava spesso ripetere alla sposa, nel guardare i figli vi avrebbe riconosciuto la sua stessa immagine.
In base a passate testimonianze raccolte tra coloro i quali poterono conoscerlo, pare avesse un nobile animo e un aspetto signorile.
Oggi il suo nome, riportato nel quadro degli Eroi Caduti per la Patria del Comune di Misilmeri e nell’Albo D’Oro dei Militari della Regione Sicilia Caduti nella guerra 1915-1918, è inciso con gli altri caduti sul frontale principale del Monumento della Vittoria, sito a Misilmeri in piazza Comitato, e nonostante non si sappia ancora dove precisamente riposino i suoi resti mortali (si suppone ai Rotoli tra i militari sconosciuti), dorme il sonno degli Eroi caduti per la Patria senza nulla chiedere. Tuttavia ovunque possa giacere ne udremo lo spirito proclamare sempre: “Quando la Patria è in pericolo, il dovere di tutti i cittadini, dal più alto al più basso, è uno solo: combattere, soffrire, e se occorre, morire!”.
Sacrifici immani per colpa, al solito, di alcuni politici cinici ed idioti. Morire per la più inutile e stupida delle guerre. RIP eroe grande e sconosciuto come tanti.