Il commento del lettore Guidobono al mio articolo su via Rasella e la strage delle Ardeatine solleva un vecchio ma sempre attuale interrogativo: perché fra i martiri della strage ci furono pochissimi iscritti al Pci? In effetti la stesura della lista degli ostaggi da fucilare, e le sue ipotizzate modifiche, sono state oggetto di un lungo dibattito. Il partito di Togliatti pagò un prezzo di sangue modestissimo per la rappresaglia a una strage che era stata effettuata dai suoi militanti. I martiri delle Fosse Ardeatine impegnati politicamente furono in maggioranza esponenti della Resistenza militare e militanti del partito d’Azione e di Bandiera Rossa, un movimento comunista dissidente rispetto al Pci e accusato di “troschismo”.
È sempre stato forte il sospetto che a modificare l’elenco siano stati funzionari di Polizia già collusi col partito di Togliatti e che il barbaro linciaggio del direttore di Regina Coeli Donato Carretta, prelevato dalla folla mentre testimoniava nel processo contro l’ex questore di Roma Caruso, sia stato dettato dall’esigenza di fare fuori un testimone scomodo. Carretta in realtà dopo l’Otto Settembre aveva collaborato col Cln, ma aveva commesso, se così può dirsi, l’errore di intrattenere un rapporto privilegiato con i socialisti e non col Pci; tra l’altro aveva permesso l’evasione dal carcere romano di Giuseppe Saragat e di Sandro Pertini. Il primo si recò a testimoniare al processo contro gli esecutori del suo linciaggio, che per altro si concluse con pene irrisorie, attestandone l’opera di supporto alla Resistenza. Il secondo non si presentò alla giuria: la convocazione (questa almeno la giustificazione ufficiale) gli era stata recapitata all’indirizzo sbagliato.
Chi ha studiato con maggior attenzione le vicende legate all’attentato di via Rasella è stato il giornalista Pierangelo Maurizio, autore fra l’altro del saggio Via Rasella, cinquant'(70) anni di menzogne, di cui consiglio la lettura, così come consiglio la lettura della sua lunga intervista sull’argomento a Federigo Argentieri per la rivista on line Storiainnetwork (http://www.storiain.net/storia/via-rasella-donato-carretta-e-lombra-lunga-del-pci/). Ne emerge un panorama inquietante che documenta la pesante ipoteca posta dal Pci sulla memoria storica di quella terribile tragedia. Basti pensare alla rimozione dalla memoria collettiva della scomparsa di Piero Zuccheretti, il bambino rimasto vittima dell’attentato, di cui era proibito parlare, perché la bomba gappista non “doveva” avere provocato vittime fra i civili.
Permettetemi di aggiungere un ricordo personale. Se Carretta era del tutto innocente – e infatti al processo era stato convocato solo come testimone – non lo era certo il questore Caruso, che aveva tra l’altro collaborato con la famigerata banda Koch. Caruso era un ufficiale della Milizia Portuaria, di grado non altissimo – era primo seniore, ovvero tenente colonnello – e doveva la sua apparente fortuna all’ex squadrista fiorentino Tullio Tamburini, capo della Polizia della Rsi, che dopo l’Otto Settembre lo prese in simpatia e lo mise alla prova nominandolo questore di Verona all’epoca del famigerato processo. Caruso se la cavò bene e Tamburini lo nominò addirittura questore di Roma, una promozione straordinaria per un tenente colonnello, che lo portò a una tragica morte.
La fucilazione di Caruso, legato a una sedia (tra l’altro era claudicante per il trauma subito in un incidente stradale mentre fuggiva verso il Nord), fu filmata e trasmessa dalla Rai, nei primi anni Novanta, nella serie Combat Film. La scena fu vista anche dall’anziano titolare di una mescita nel centro di Firenze, che in gioventù era stato un suo sottoposto. Infatti, arruolato nella Milizia su raccomandazione della sua vecchia maestra, era stato messo di servizio allo spaccio della terza Legione Portuaria, a Trieste, comandata dal Caruso. La scena della sua fucilazione alla schiena lo traumatizzò: ricordava con affetto il suo ex superiore e ricordava con simpatia persino la “zuppa” che un giorno gli aveva dato perché non aveva pulito bene il bancone dello spaccio. E in effetti la ripresa dell’esecuzione, che ho consultato sul sito
col cappellano che gli dà l’assoluzione e poi benedice la salma, non può lasciare indifferente nemmeno chi Caruso lo conosce solo di nome.
Ho sempre pensato alla parabola di Caruso come esemplificazione della massima latina che si trova nei saloni del castello di Miramare di carducciana memoria: in rebus adversis caveto mergi, in maximis fortunis caveto tolli. Come spesso succede nella vita, quella che per lui poteva sembrare una fortuna si rivelò una esiziale sciagura.
Doveva farsi fucilare al petto, come Farinacci. In ogni caso le ultime parole di Caruso scritte alla moglie e alla figlia mi hanno commosso.
L’ultima Italia degna di questo nome, è morta a Salò.
Viva la RSI !
I togliattiani soprattutto riuscirono, grazie alla rappresaglia, a ‘far fuori’ il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, referente militare dei monarchici nella capitale, padre del futuro cardinale, che si opponeva alla loro tattica di assassinare tedeschi, scatenare logiche rappresaglie, aumentare il solco tra italiani ed occupante germanico… a maggor gloria di zio baffone…