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Amintore Fanfani e il sovranismo cattolico

“Il profilo di Amintore Fanfani” spiega l’autore “è il riassunto di una complessità forse troppo ostica, per la dentatura intellettuale dei contemporanei abituati a cullarsi in confortevoli, grossolani e infantili maccanismi manichei”

by Gianluca Mazzini
2 Marzo 2023
in Libri
13
Il pane quotidiano di Gianfranco Peroncini

Quella di Amintore Fanfani (1908-1999) è stata una figura chiave della nuova Italia Repubblicana e quindi della Prima Repubblica. Per capirlo basta leggere il suo curriculum: membro decisivo dell’Assemblea Costituente, deputato e senatore in tutte le legislature repubblicane, fino alla carica di Senatore a vita nel 1972.

Segretario della DC negli anni Cinquanta e Settanta, sei volte presidente del Consiglio, ministro del Lavoro, dell’Agricoltura, degli Interni, degli Esteri e del Bilancio. Presidente del Senato per quattordici anni e unico italiano a ricoprire (1965) la carica di Presidente dell’Assemblea delle Nazioni Unite.

Alla riscoperta dello statista aretino e dedicato il libro “Il pane quotidiano, Fanfani e il sovranismo cattolico” (la Vela editore) dello storico Gianfranco Peroncini che da anni scandaglia personaggi chiave della storia nazionale impegnati nella difesa dell’Italia come dimostrano i due saggi su Enrico Mattei e il sovranismo energetico (Byoblu editore).

“Il profilo di Amintore Fanfani” spiega l’autore “è il riassunto di una complessità forse troppo ostica, per la dentatura intellettuale dei contemporanei abituati a cullarsi in confortevoli, grossolani e infantili maccanismi manichei”.

Quello che diventerà uno dei “cavalli di razza” della Dc si fa notare nel 1934 quando pubblica uno studio fondamentale dal titolo “Cattolicesimo e Protestantesimo nella formazione storica del capitalismo”. Lavoro che lo fa conoscere al mondo dei cattolici statunitensi tanto che alla convention democratica del 1956 a Chicago, l’allora senatore John F. Kennedy segnalò alla platea l’autore, presente in sala, attestando pubblicamente l’influenza dell’opera dello statista italiano come una delle ragioni della sua discesa in campo in politica.

La carriera di Fanfani inizia su consiglio del compagno di studi Giuseppe Dossetti che nel 1945 lo invita a dirigere il settore propagandistico della neonata Democrazia Cristiana. Una scelta che segnerà il suo destino.

Il politico di Pieve Santo Stefano è inserito nella corrente cattolica sostenuta da Padre Agostino Gemelli (fondatore dell’Università Cattolica), che intende influenzare il corporativismo fascista per portarlo su un terreno comune ma definito dai caposaldi della dottrina sociale della Chiesa.

Quella di Fanfani è una posizione anticapitalista a tutto tondo. Con critiche alla versione americana ma anche al capitalismo di Stato sovietico. Semplice ed efficace la sua analisi: il capitalismo punta solo al benessere trascurando la questione della giustizia, il comunismo si concentra sulla giustizia trascurando il benessere. “L’uomo vuole vivere nella giustizia ma con la pagnotta sul tavolo” era la sua sintesi. Ecco perché il capitalismo non è compatibile con un’ortodossa concezione cristiana delle attività economiche. Per questo Fanfani propone di realizzare una terza via sulla base dell’esperienza corporativa elaborata dalla dottrina sociale della Chiesa. Dal teorico al concreto: è lui tra gli ispiratori del centrosinistra che fa da argine al comunismo su scala nazionale; è lui che vara due iniziative dall’alto valore sociale come il piano Ina-Casa (due milioni di vani e abitazioni per 355mila italiani) e la nazionalizzazione dell’energia.

“L’aver dimenticato il suo esempio è anche il risultato dell’erosione dell’eredità etica del Cattolicesimo che ha lasciato campo ad un capitalismo che si dimostra implacabile nemico dei valori morali e religiosi” chiosa Peroncini.

@barbadilloit

Gianluca Mazzini

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Comments 13

  1. Guidobono says:
    4 settimane ago

    Meglio Salazar, cento volte meglio, a parità sostanziale di idee.

  2. Guidobono says:
    4 settimane ago

    È lui che ha fatto della DC un partito di Centro-sinistra ed ha voluto fortemente il Centro-sinistra.

  3. enrico says:
    3 settimane ago

    Quando ero un ragazzino, nel 1963, ci furono le elezioni politiche, le prime che seguii con interesse (avevo dieci anni e preparavo l’esame di licenza elementare). Mia madre era socialdemocratica, mio padre liberale. Io simpatizzavo per il Pli e ne ricordavo due slogan: Divieto di svolta a sinistra e Per un domani senza Fanfani, per un Fanfani senza domani, vota liberale. Mio padre comprava Lo Specchio, che aveva una rubrica a fumetti, intitolata La Banda Bassotti, che faceva ovviamente riferimento allo statista aretino, di statura fisica non eccelsa. In realtà il Pli, pur raddoppiando i voti, non riuscì a condizionare da destra la Dc, come del resto sarebbe successo nove anni dopo al Movimento Sociale Destra Nazionale; e ne rimasi deluso.
    Oggi debbo ammettere che, rispetto all’ambiguo e bizantino Moro – soprannominato “il Dottor Divago”, in omaggio al celebre film tratto dal romanzo di Pasternak – Fanfani rappresentava un interessante tentativo di travasare sani principi del corporativismo cattolico (e anche fascista: era stato esaminatore ai Littoriali, dove Moro era stato invece uno dei partecipanti) nella nuova realtà democratica. In più apparteneva a una generazione di politici che avevano ancora saldo il senso dello Stato e che anche all’interno dell’Alleanza Atlantica salvaguardarono la dignità nazionale. Non ce lo vedo ad accettare supinamente i diktat statunitensi nel conflitto russo-ucraino. In più era un uomo d’ordine, con un’impronta caratteriale che conservava gli aspetti sani della tradizione fascista. Nei primi anni Settanta, dinanzi al disordine post-sessantottardo, citò Dante parlando dell’Italia come di “una nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di province, ma bordello”. Nella campagna contro il divorzio in un comizio in Sicilia per convincere gli elettori a votare per l’abolizione profetizzò che se avesse vinto il no “vostra moglie un giorno vi lascerà per scappare con la cameriera”. Allora lo presero in giro, ma credo che la sua minaccia non fosse poi del tutto infondata…

  4. Il Nazionale says:
    3 settimane ago

    Beh, per i fatti storici, fu De Gasperi a fare della DC un “partito di centro che guarda a sinistra” alleandosi ai filosovietici PCI-PSI.
    Per cui meglio Adenauer di De Gasperi
    Che poi Fanfani abbia portato i socialisti al governo nel 1960 è vero, ma il danno lo aveva fatto il suddetto suo autorevole predecessore una quindicina di anni prima.
    Non disconosciamo, infine, alcuni meriti di Fanfani in politica sociale e politica della casa e per la casa.
    Inoltre, in un partito cattolico a chiacchiere quale era la DC, mettendoci la faccia, nel 1974 fu l’unico democristiano a battersi come un leone per l’abrogazione del divorzio nel referendum del maggio 1974 duramente perduto. Ma lui credeva in certi valori.

  5. Guidobono says:
    3 settimane ago

    Uomo intelligente, ma amante delle ‘Terze vie’, cioè dei papocchi inutili o francamente dannosi.

  6. pasqualeciaccio says:
    3 settimane ago

    Certamente una figura di grande spessore culturale e politico. Interessante il recupero del corporativismo integrato con la dottrina cattolica. Se pensiamo al livello dei nostri politici e non solo italiani…

  7. Il Nazionale says:
    3 settimane ago

    Caro Enrico,
    L’elettorato liberale è sempre stato più avanti dei suoi dirigenti però, Malagodi – ottimo economista, ma pessimo politico in termini di tattica e stategia- non ne volle mai sapere di condizionare da destra la DC; anzi aborriva la Destra; appoggiò perfino la prima parte del Compromesso Storico DC-PCI (1976-1978). Prova ne è che dal 1968, per il PLI i consensi si ridussero paurosamente come si può vedere consultando i dati 1968, 1972, 1976…legittima, quindi, la sua delusione Enrico.

  8. Il Nazionale says:
    3 settimane ago

    La Storia imprevedibile ed improvvisa nuove fatti, idee…e case editrici…
    Chi l’avrebbe mai detto che perfino la casa editrice di Franco Freda avrebbe dedicato un libro ad Amintore Fanfani con degli scritti del noto governante DC

    http://www.edizionidiar.it/fanfani-amintore/le-origini-dello-spirito-capitalistico-in-italia.html

  9. Guidobono says:
    3 settimane ago

    MALAGODI NON ERA UN GRANDE STRATEGA, PERÒ CI VEDEVA BENE. IL FATTO È CHE IN ITALIA IL PARTITO LIBERALE (COME DEL RESTO ALTROVE) SI TROVÒ A RAPPRESENTARE UNA ÉLITE ED INTERESSI IMPRENDITORIALI, NON IL POPOLO. ANDARE CON LA DESTRA-SINISTRA DI ALMIRANTE ERA IMPENSABILE PER CHI AVEVA LA ‘STORIA POLITICA’ DI MALAGODI E LA SUA CONCEZIONE DELL’ECONOMIA. DEL RESTO LA DESTRA NAZIONALE NON RIUSCÌ NEANCHE CON I RESIDUALI MONARCHICI. PERÒ AL ‘COMPROMESSO STORICO’ IL PLI ADERÌ CON BIGNARDI E ZANONE, NON CON MALAGODI.

  10. Il Nazionale says:
    3 settimane ago

    Certo Malagodi non poteva andare con Almirante, ma con Michelini (MSI) ed i monarchici di Covelli e Lauro negli anni Cinquanta-Sessanta si. Malagodi fra segreteria e presidenza ha monopolizzato la vita del PLI fino al 1977 facendo comunque il gioco delle Sinistre. Lui mon si è mai dichiarato di Destra, però non volle recepire le richieste del suo elettorato di chiusura a Sinistra.
    Bignardi fu segretario dal 1972 al 1976 dopo segui Zanone con la politica del lib-lab.
    Quanto al Compromesso storico DC-PCI confermo che Malagodi approvò ed appoggiò:
    – l’adesione del PLI al governo- monocolore DC retto da Andreotti – delle astensioni (1976-1978);
    – il voto contrario del PLI il 16 marzo 1978 (giorno rapimento Moro) al governo monocolore DC retto da Andreotti che dalle astensioni passò alla fiducia palese ed operativa da parte di DC PCI PSI PSDI PRI DEMOCRAZIA NAZIONALE
    Ma ormai il PLI i danni se li era fatti già con l’adesione del CLN

  11. Guidobono says:
    3 settimane ago

    Malagodi fu segretario nazionale del PLI dal 1954 al 1972, presidente dal 1972 al 1977. Nel 1978 era stato estromesso dalla politica attiva del Partito. Era un ‘padre nobile’ appena sopportato.

  12. Il Nazionale says:
    3 settimane ago

    Buongiorno signor Guidobono,
    complimenti per le Sue analisi oltremodo condivisibili.
    Rimanendo al PLI e per terminare discorso ritengo che il peccato originale del PLI durante e dopo il II conflitto mondiale sia stato quello di aderire al CLN. In pratica, andandosi ad incuneare fra DC, PCI, PSI il PLI mise in soffitta tutta quella tradizionale nazionale e Risorgimentale che aveva avuto in Salandra ed Orlando gli ultimi eredi. Infine, fatto gravissimo, nenche Croce si accorse di tale Orrorre…sì Orrore politico

  13. Guidobono says:
    3 settimane ago

    Il Partito liberale prefascista non era mai stato un vero partito, organizzato in modo moderno, ma una somma di notabilati. Dopo il 1943 gli esponenti liberali percepirono che dovevano partecipare ai governi, sia pure a sovranità molto limitata, pena l’esclusione dai giochi politici che si approssimavano (Costituente ancor prima che Referendum istituzionale). Croce non era un vero politico, ma un autorevole ‘padre nobile’. Poi c’erano persone di valore, certo, da Luigi Einaudi a Nicolò Carandini, da Leone Cattani a De Nicola, da Lucifero a Pannunzio, a Giovanni Malagodi, ma poco propense alle discipline di partito, per un approccio spesso individualistico, elitario, in parte una sorta di Partito d’Azione più di destra. Un ricordo personale, di anni successivi. A 18 anni pensai di fare un’esperienza politica di base e chiesi d’iscrivermi alla Gioventù Liberale della mia città, Torino, soprattutto per osservare. Siccome avevo dato come ‘presentatore’ il nome di un conoscente, che in quel momento era passato dalla maggioranza alla minoranza interna della GL, non ci riuscii mai, pur sollecitandolo più volte. Alla fine, ovviamente, rinunciai, rinunciando a scomodare altri esponenti. Per dire che un piccolo partito si permetteva di neppure guardare in faccia uno che voleva partecipare per lavorare gratis, senza chiedere nulla, solo per timore di eventualmente rafforzare il bando interno avversario!

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