In numerose occasioni ci è capitato di reiterare con non poca forza e convinzione in libri e articoli quanto l’Italia sia tutt’altro rispetto a quell’offensivo cliché pittoresco impostoci da fuori, principalmente dagli americani. Del resto, mai come in questo oscuro e travagliato frangente storico, il nostro Paese – ineguagliato centro della civiltà mondiale – si sta rivelando uno stolto vassallo degli Usa. Si parla, talora a sproposito, del valore didattico dei musei. Benché, sommariamente, tale affermazione risulti veritiera, è dalla sua erronea interpretazione che spesso si generano prospettive mendaci e perniciose. La Istituzione Museale ha connaturata in sé una capacità di insegnare e, per quanto attiene distintamente all’Italia, le collezioni sono nate e si sono sviluppate in coerente relazione col contesto che le accoglie e dimostrano altresì la universalità del nostro Paese. Il Museo serve per capire attraverso ciò che mostra e racconta. Laboratori didattici e seminari tematici sono orpelli retorici. Ciò per dire che l’idea di affibbiarci sistematicamente l’intollerabile etichetta di natura allogena del «pizza e mandolino» viene drasticamente smentita da una città come Trieste. Infatti, pochi luoghi come questo possono fregiarsi di essere pienamente cosmopoliti, mantenendo, nel contempo, integra la propria piena appartenenza alla storia nazionale.
Una raffinata istituzione culturale
Il capoluogo giuliano, oltre alla popolazione prettamente italiana, include gruppi etnici di lingua tedesca e slava e discendenti di esuli di origine greca, cosa che ha reso Trieste una città unica anche dal punto di vista culturale. Tale aspetto positivamente «integrato» – nulla a che vedere, ben inteso, col meticciato invocato dal Globalismo – è quello che caratterizza la principale raccolta artistica cittadina: il Museo Revoltella, parallelamente una ricca abitazione nobiliare e una pregiata pinacoteca, in cui sono esposti i nomi più celebri della pittura italiana dalla metà dell’Ottocento agli anni ‘50 e ‘60 del secolo successivo, dove non manca tuttavia anche un cospicuo numero di esponenti stranieri (austriaci, belgi, francesi, spagnoli e tedeschi), che rispecchia il carattere europeo della Trieste asburgica e i suoi collegamenti con tutto il Vecchio Continente.
La storia
Il Museo venne fondato nel 1872 per volontà del Barone Pasquale Revoltella (1795 – 1869), uno dei protagonisti della società triestina dell’epoca, il quale lasciò alla città, assieme ad altre proprietà, la sua raffinata residenza e tutte le opere d’arte, gli arredi e i libri che conteneva. La figura stessa di Revoltella è di indubbio fascino. Abile finanziere di nascita veneziana, giunge a Trieste a soli due anni, poiché la sua famiglia aveva deciso di trasferirsi a causa della caduta della Repubblica per mano delle orde napoleoniche. Sin da giovane, comincia una brillante carriera nel campo degli affari, ottenendo dei risultati a dir poco lusinghieri: fu tra i primi azionisti delle Assicurazioni Generali ed entrò subito nel Consiglio di Amministrazione del Lloyd Austriaco (creato nel 1833). Ciononostante, il suo autentico «capolavoro» è facilmente individuabile nel contributo che diede alla apertura del Canale di Suez, che Revoltella, saggiamente, riteneva essenziale per lo sviluppo della economia triestina basata sui traffici marittimi. Francamente, ricordare un personaggio del genere, dovrebbe far riflettere su quale enorme differenza esista tra un imprenditore animato da una elevata pulsione mecenatesca, e i sedicenti manager di oggi, meri speculatori e propugnatori della «filantropia sorosiana».
La struttura in tre edifici
Tornando al Museo, esso è suddiviso in tre edifici. Il primo è la costruzione del Barone, in stile neorinascimentale e articolata su tre piani, edificata tra il 1854 e il 1858 su progetto del berlinese Friedrich Hitzig. L’elemento di maggiore rilevanza all’interno dell’Edificio è rappresentato dal sontuoso scalone elicoidale che collega i vari piani, e nobilitato dalla presenza di due gruppi marmorei (al primo la Fontana della Ninfa Aurisina [1858] e il Taglio dell’Istmo di Suez [1863] al secondo) firmati dal milanese Pietro Magni, che rivelano timidi rimandi alla scultura barocca.
Nei diversi ambienti, decorati in modo raffinato ma sobrio, vi sono collocate opere appartenute direttamente a Revoltella, che egli ebbe modo di acquistare per quello che già in vita aveva pensato di far diventare un museo aperto alla collettività. Da segnalare, sempre per quanto concerne la statuaria, alcuni pezzi di scultura di epoca neoclassica, specialmente un bozzetto di Antonio Canova: Napoleone come Marte Pacificatore (1810, gesso). Tra mobili e suppellettili di gusto, si ammirano lungo tutto il percorso espositivo paesaggi di Trieste e delle zone limitrofe, molti per mano di autori locali, come, ad esempio, l’importante corpus di tele di Giuseppe Tominz (1790 – 1866), considerato il massimo ritrattista di area goriziano-triestina, noto per incarnare nei suoi quadri quelle «virtù borghesi» perfettamente personificate da Revoltella.
Alla fine dell’Ottocento, il nucleo pittorico comprendeva firme del calibro di: Francesco Hayez, con un quadro a metà tra Romanticismo e Simbolismo (L’incoronazione di Gioas, 1840 ca., olio su tela), Filippo Palizzi, Domenico Morelli, Giacomo Favretto. Nel 1907 si rese necessario un ampliamento degli spazi espositivi, e si decise pertanto di acquistare due costruzioni attigue: Palazzo Brunner (destinato a ospitare la Pinacoteca in continua evoluzione) e Palazzo Basevi (sede degli uffici e della Fototeca). Per adeguare il primo a struttura museale, si scelse nel 1963 di affidare il progetto al massimo museografo del ‘900, Carlo Scarpa – anche egli originario della Serenissima come Revoltella – il quale impresse agli interni di Palazzo Brunner il suo inconfondibile stile intriso di lisce geometrie, spazi razionali e un minimalismo che rievoca alla lontana quello dei giardini Zen.
I gioielli della pittura italiana
Nella summenzionata raccolta di quadri, che può vantare una delle più esaustive selezioni di pittura italiana moderna, si aggiunsero grazie a lasciti e numerosi e avveduti acquisti, perlopiù dalla Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, opere, tra gli altri, di: Giovanni Fattori (Bivacco, 1873, olio su legno), Giuseppe De Nittis (La signora del cane [Ritorno dalle corse], 1878, olio su tela), Gaetano Previati per l’Ottocento e, per il secolo successivo, Carlo Carrà (Donna al mare, 1931, olio su tela), Felice Casorati (Meriggio, 1923, olio su tavola), Mario Sironi (Il pastore, 1932, olio su tela), l’immancabile Giorgio De Chirico, Lucio Fontana, Giacomo Manzù, Arnaldo Pomodoro (Sfera n. 3, 1964, bronzo), nonché il delicato busto femminile di Pietro Canonica (Sogno di primavera, 1898, marmo), un autore ingiustamente sottovalutato dalla critica militante.
Andando nello specifico dell’allestimento di Palazzo Brunner, il percorso inizia al Terzo Piano, a cui si accede dall’ultima sala di Palazzo Revoltella, tramite una suggestiva passerella aerea concepita sempre da Scarpa. L’itinerario si apre con una saletta dedicata a uno degli interpreti di spicco dell’arte triestina, Eugenio Scomparini (1845 – 1913), maestro indiscusso della sua generazione e del quale si vedono qui esposti ritratti femminili e bozzetti per decorazioni d’interni. Proseguendo la visita, si incontra una sezione sulla natura morta tra Ottocento e Novecento.
Il Quarto Piano è incentrato sulle scuole regionali italiane, con particolare attenzione all’ambito lombardo, segnatamente con i Fratelli Induno, Domenico (1815 – 1878) e Gerolamo (1825 – 1890), entrambi conosciuti per il descrivere gli eventi salienti del loro tempo. Affianco a questi esponenti del filone «storico» della pittura nostrana, sono presenti, come accennato, varie opere estere, alcune pure di pregio e comprate fino a prima dello scoppio della Grande Guerra presso le esposizioni internazionali di Roma, Venezia, Monaco e Vienna.
Il quinto e ultimo livello è ripartito in sette sezioni, così da documentare la produzione artistica nazionale degli inizi del Novecento, con un focus su quella giuliana, caratterizzata dalla forte influenza della cosiddetta Secessione Viennese, a conferma del legame di Trieste con l’aerea culturale germanica, malgrado, è il caso di ribadirlo, non bisogna assolutamente metterne in discussione la vocazione patriottica. Una menzione merita inoltre la Terrazza, che permette di godere di una vista imperdibile sulla città e su quel mare talora inquieto e famoso per la sua bora.
Elogio del mecenatismo italiano
Nel corso della sua ormai lunga storia, il Museo Revoltella non ha cessato di crescere e svilupparsi, attestandosi inesorabilmente come una Istituzione dinamica, punto di riferimento nodale per l’arte moderna e contemporanea del Belpaese. Il tutto frutto di quel mecenatismo italiano di cui sia il Popolo che la intellighenzia – ancora dominata da una esterofila fazione gauchiste – non hanno contezza. Alla elegante dimora che fu del Barone, si è aggiunta una quadreria che propone quasi la totalità dei nomi di rilievo dell’arte della nostra Nazione tra il XIX e il XX secolo e se, sposando una teoria della quale non siamo gli unici sostenitori, questa è stata la migliore a livello mondiale, allora il Patrimonio custodito nel museo triestino è da considerarsi di logica conseguenza di assoluto prestigio e meriterebbe, quindi, il dovuto riconoscimento.