UTOPIA (Rivista Quindicinale del Socialismo Rivoluzionario Italiano) L’interventismo rivoluzionario, le velleità barricadiere e la crisi del socialismo italiano.
UTOPIA uscì in modo irregolare dal novembre 1913 al dicembre 1914, dieci fascicoli. Il prezzo di ognuno centesimi 45, abbonamento Anno L. 10. Rare le recensioni esistenti. Eccezione il libro raccolta Feltrinelli Reprint, con l’introduzione di Renzo De Felice, dal quale attingo.
Alla sua uscita Prezzolini su La Voce la definì un’impresa disperata: “Far rivivere la coscienza teorica del socialismo.” Il Direttore si chiede subito: “È possibile dopo la revisione riformista, una revisione rivoluzionaria del Socialismo?” E sirisponde: “È possibile.” L’obiettivo dichiarato è fare del partito socialista il grande partito del proletariato compreso il sovversivismo.
Il Direttore è arguto: se la verità è femmina, come ritieneNietzsche, ha i suoi pudori. Quindi la verità bisogna possederla al buio, in segreto, e darla al pubblico “préalablement” iniziato. E dai contributi privati dei collaboratori si comprende che UTOPIAè nata per raccogliere quanto non si può mettere su l’Avanti! con i suoi lettori socialisti ortodossi. UTOPIA raccoglie gli insoddisfatti del riformismo. A confermare la palestra giacobina voluta dal fondatore ci sono addirittura Amedeo Bordiga e Angelo Tasca e i giovani sono con l’uomo nuovo del socialismo che combatte il positivismo e il riformismo. L’elezionismo, il parlamentarismo!
(Il fucile reso inutile dalla scheda! J, Guesde.)
Nel primo numero nell’articolo “Al largo!” si accerta e si contesta la bancarotta del riformismo. Le analisi che prevedono il passaggio dallo Stato e Capitalismo alla democrazia e poi al Socialismo sono sbagliate e ingannevoli. Lo Stato rimane il comitato d’affari della classe borghese e fa una politica classista e violenta. Il gergo positivista prevede un’evoluzione della natura lenta ma la rivoluzione è altro. Qui è paragonata a un feto che dipende dalla madre, poi all’improvviso ecco un essere indipendente che grida.
Nel numero del Febbraio 1914 c’è l’ammonimento ai Coloni perché sono ricchi e hanno l’auto. Nel 1911 possedevano 2974 automobili, valore 28 milioni, cioè un’auto per 274 persone. E in madre patria c’è un’auto ogni 645 persone. I Coloni, infima minoranza, sono agiati perché non pagano le tasse e per i lavori agricoli utilizzano la mano d’opera indigena che costa poco.
Altri articoli: La democrazia di domani, Clericalesimo vecchio e nuovo, Bergson e Sorel…
Ma nel Giugno del 1914 avviene l’inghippo della Settimana Rossa provocata dall’eccidio di tre manifestanti ad Ancona. Un’insurrezione popolare senza padrini e che apparento, rispettando le diverse proporzioni, alla Comune parigina per la suaspontaneità. Inghippo perché è come un fiore sbocciato privo di acqua e di terra, avulso dal dovuto background, che appassisce presto. E i suoi giardinieri teorici ne sono sorpresi, restano immobili, non la giustizia con lo strascico dei suoi processi. Inoltre ha il potere di spaventare giustamente la borghesia e preoccupare le istituzioni. La Settimana Rossa rappresenta l’apice e il fallimento delle aspirazioni sovversive.
E UTOPIA? Ecco le sue parole.
“Non è ancora la giornata storica. Un avvenimento a carattere decisamente rivoluzionario anche se non s’inquadra nello schema storico e nella categoria: Rivoluzione.”
Insomma è rivoluzione ma non è rivoluzione. E le pagine sono dedicate più a contestare l’ordine del giorno del Partito Socialista che alla descrizione dell’evento.
Nei successivi numeri compare l’humus dell’interventismo rivoluzionario a invadere sempre più gli spazi.
I prodromi del divorzio del Direttore dal socialismo o meglio da quei socialisti avverranno nel novembre del 1914 quando, iniziata la guerra, proporrà di passare dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante. E su questo raccoglie il consenso di Gramsci. La spia della separazione è la sparizione negli ultimi due numeri della rivista dei socialisti mentre intervengono gli eretici del sovversivismo irregolare, prossimi interventisti. E nel grupposingolare ci sono anarchici e sindacalisti.
Gli atteggiamenti mutano. Alceste De Ambris, leader sindacalista, che aveva definito la guerra di Libia “brigantesca gesta di prepotenza” adesso scrive: “una guerra può essere, qualche volta, un buon corso di pedagogia rivoluzionaria.” Insomma, il Kaiser è reazione e si devono difendere le conquiste del proletariato.
E nell’ultimo numero della rivista: Viltà borghese e miopia socialistica, La guerra è un fatto divino, Le ragioni dell’intervento…
E la tanto vagheggiata e agognata rivoluzione? Mi piace ricordare che il 10 Settembre 1920 i socialisti riformisti e massimalisti votarono se fare la rivoluzione o no. In modo palese e assurdo, come per uno degli infiniti scioperi di quell’epoca. L’esito fu negativo e abbondanti i commenti a seguire. Il Tasca veggente: “Il movimento operaio è ormai un cadavere che i becchini fascisti spazzeranno.” L’anarchico Malatesta ai votanti per il no: “Il proletariato vi bollerà come sciacalli infami.” Molti riesumarono la frase di Saint Just: “Chi fa la rivoluzione a metà si scava la fossa.” Le cose saranno risolte in altro modo più avanti.
Ah il Direttore di Utopia? Il suo nome è Benito Mussolini e il condirettore Giuseppe De Falco.
Uscì per poco, ma danni ne fece…. Viva Giolitti!