Luciano Bianciardi (1922-1971) è uno scrittore poco conosciuto. Uno di quegli scrittori che non si sono dedicati con assiduità alla scrittura avendo fatto, per vivere, più lavori: l’insegnante, il bibliotecario, il traduttore (120 libri tradotti dall’inglese in 18 anni!), il giornalista, il commentatore sportivo.
Definito da alcuni anarchico, in realtà non si era mai adattato alla modernità, amava la sua Maremma che abbandonò nel 1954 per andare a Milano. Si lasciò alle spalle la terra dei minatori e dei braccianti, i piccoli intellettuali della sua Grosseto per arrivare nel capoluogo lombardo che incarnava come poche altre realtà il boom economico e la nascita del consumismo che Bianciardi narrerà nel famoso romanzo La vita agra, da cui Carlo Lizzani trasse nel 1964 un film con Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli. Il passato dello scrittore era la guerra fatta al fianco degli inglesi risalendo la penisola, un insegnamento di filosofia, le montagne di libri divorate. E nel 1966 aveva un curriculum del tutto anomalo: assunto e poi licenziato (per “scarso rendimento”) dalla casa editrice Feltrinelli, il rifiuto di una collaborazione fissa al “Corriere della sera” preferendo “il Giorno”, quotidiano fondato da Enrico Mattei, giornale sostenitore del centrosinistra, e il settimanale ABC, rotocalco in bianco e nero sostenitore delle battaglie sociali dell’epoca, fra cui il divorzio, la rivoluzione sessuale, senza disdegnare la cronaca rosa, il gossip di quei tempi e un paginone centrale con “peccaminose” soubrette in bikini… Bianciardi visse la sua Bohème con Maria, la compagna con la quale si stabilì in una casa di ringhiera a due passi dal bar Giamaica, a Brera. Quando il suo romanzo principale riscosse successo, lui non si compiacque, affermò che il succcesso per lui era solo il participio passato di succedere…
Su ABC pubblicò con Carlo Cassola una inchiesta sui minatori della Maremma (proprio a ridosso della morte di 43 minatori per il crollo di una miniera), ma anche tanti articoli. Fra tanto materiale, la casa editrice Neri Pozza ha pubblicato un’inchiesta in sei puntate con la quale intendeva avviare i giovani, specie quelli “particolarmente privi di talento”, alla carriera intellettuale. In questo libretto spassoso, Non leggete i libri, fateveli raccontare, Bianciardi ironicamente riprende tutti i tic dell’ambiente intellettuale progressista milanese e li amalgama facendo una caricatura dell’intellettuale integrato. Suggerisce i vestiti, gli intercalari, come conversare nei salotti, che gusti vantare e quali deprecare, perché rimanere vaghi in politica, e di no leggere libri, “ce ne sono troppi”, facendosi raccontare le trame, tutt’al più. Ma avere giudizi differenziati sui costumi sessuali a seconda dell’interlocutore, mostrandosi sempre fresco e scattante, pronto a marcare i colleghi a uomo o a zona, come nel calcio. Un tipo, insomma, che non ha padroni ma li cerca.
Il manuale affronta anche altri argomenti come la scelta dei luoghi di vacanza e con chi andarci, chi sposare e perché, come si diventa intellettuale ecc.. Fu abbandonato dalla sua compagna, che andò in un’altra città con il loro bambino, dopo che anni prima lui aveva lasciato la propria moglie e due figlioletti a Grosseto. Deluso dalla vita e dall’Italia moderna, trovò consolazione, troppa, nella grappa e così, morì solo, in un letto dell’ospedale San Carlo, a Milano. Era il 1971, Bianciardi aveva 49 anni.
*Non leggete i libri, fateveli raccontare, di Luciano Bianciardi, Neri Pozza ed., pagg. 107, euro 13,50 (inotrudzione di Pino Corrias)