L’ultimo lavoro di Giuseppe Culicchia, “La bambina che non doveva piangere” (Mondadori) ti entra nell’anima. L’autore con rara maestria narra la storia di Ada, sin dal primo vagito, con quel suo labbro leporino che la vuole neonata silente, fino alla sua morte, prima nell’anima, e poi fisica, in un grigio e freddo gennaio nevoso e con essa la storia di Walter, suo figlio e della loro grande famiglia, dentro la quale la Storia prima passa di lato, si accosta e poi entra prepotentemente, travolgendo nel suo corso l’esistenza di Ada e di tutti coloro che ama.
La narrazione si svolge su due piani: la storia di Ada, con un padre fascista ed un figlio brigatista e la Storia, quella con la S maiuscola.
Il padre che partecipa alla marcia su Roma e vive l’esperienza come una bellissima gita nella capitale e la guerra, il freddo, la mancanza di cibo. La fine della seconda guerra mondiale, la madre di Ada che brucia la camicia nera del marito che per un soffio non rischia la vita a causa di un passato, mai vissuto, di fascista. Il dopoguerra pieno di promesse e la bella Ada ribelle ed allegra, insieme alle sorelle, che gira le campagne piemontesi, passando da una festa ad un ballo. Il matrimonio i figli, il figlio,Walter, come lei dolce ed allegro, tanto amato dal cugino con cui trascorre le vacanze estive nella casa dei nonni.
Nel quotidiano di una famiglia semplice ed unita, appaiono, come spettri che annunciano la tragedia, pagine di Storia, Il boom economico nel quale la Fabbrica diviene madre e matrigna, gli anni della contestazione, il ‘68. Un affresco epocale in cui le parole di Pasolini sul Corriere della Sera riassumono lo spirito di un tempo, dove poteri occulti e sotterranei muovono fili di violenza e sangue, in quella strategia della tensione che porterà alla morte di molti giovani tra le opposte fazioni.
Ogni pagina è un quadro vivido, pieno di particolari, che affiorano dalla memoria dell’autore, proiettandoci in un’epoca ormai trascorsa, dove la figura di Ada e di suo figlio spiccano nei piccoli gesti del loro quotidiano. Walter il cugino amato e perso precocemente a cui Culicchia ha già dedicato un libro: “il tempo di vivere con te”, appare attraverso gli occhi e le azioni della madre. Walter ed Ada. L’amore di una donna che pur non condividendo i metodi dell’azione, ma approvandone i fini, sostiene il figlio, sino a diventarne complice: gli fa da palo in un’azione con Renato Curcio, indossando un improbabile cappotto rosa shocking che si fa imprestare dalla sorella. Nella goffagine dei fatti, quasi una marachella.
La strategia della tensione si fa sempre più pressante, Walter è in pericolo e decide di darsi del tutto alla rivoluzione, iniziando il percorso della latitanza…ma arriva la Storia, la polizia e dopo un’ultima cena per salutare i genitori, in un freddo mattino, ecco la Tragedia: spari di pistola, uomini a terra, Walter che chiama la madre, ancora colpi di pistola, il silenzio, la morte.
Testo magistrale, ti entra nell’anima e ti proietta in un mondo antico di affetti perduti. Rievocando, attraverso rapidi flash di cronaca, quarant’anni di storia, riporta alla luce quegli anni di piombo che in molti vorrebbero cancellare e che invece meritano di essere raccontati.