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Sulle strade d’Europa con Paolo Di Nella nel cuore

Ripubblichiamo un estratto del libro di Gabriele Marconi "Noi - Canzoni d'amore per la lotta e di lotta per l'amore"

by Gabriele Marconi
8 Febbraio 2023
in Cultura
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Paolo Di Nella

Dicembre 1982.

Con mio fratello Carlo avevamo comprato a poche lire un po’ di piumoni provenienti dagli alberghi del Nord Europa (ogni tot li devono cambiare per legge), rigenerati, sterilizzati eccetera, e li avevamo usati per imbottire un piumone fatto in casa. Da bravi mediterranei, però, avevamo un tantino esagerato con le piume… risultato: un forno. Però ci ero rimasto affezionato, anche perché, mentre lo preparavamo sommersi da una nuvola di piume che volavano per tutta la stanza, dallo stereo la Compagnia dell’Anello cantava “Sulla strada”: «Strade d’Europa, stanchi, sporchi ma felici…». E quelle piume arrivate da un albergo sperduto nel grande freddo sembravano l’apoteosi di tutti i sentieri misteriosi del Vecchio Continente.
Il mese dopo ero andato a frequentare un corso legato all’università di Agraria, in un istituto che stava in un bosco vicino Cura di Vetralla, poco prima di Viterbo. Nella mia Citröen Ami8, che arrancando sulla via Cassia mi aveva portato fin là, avevo infilato pure il maledetto piumone… “Magari là mi torna utile”. E invece niente. Malgrado il luogo fosse effettivamente freddo, non c’era stato niente da fare a meno di volerci soffocare sotto tutte quelle piume. Era tornato utile solo per starci di sopra, questo sì, sdraiati come su una nuvola… perché si dà il caso che in quell’istituto fossimo in trenta a dormire per tre mesi, fra ragazzi e ragazze, da tutta Italia, più altri trenta che cambiavano ogni mese… Certo, di giorno si studiava e neanche poco. Ma era di notte che gli scambi culturali si facevano più interessanti…
Una sera avevo provato per l’ultima volta a dormire col piumone. Per tutto il giorno, dopo aver spento il termosifone, avevo lasciato aperta la finestra della mia camera, che guardava un grande bosco di lecci. Era febbraio e stava pure nevicando… insomma speravo che quella notte sarei riuscito finalmente nell’impresa. Mi ero infilato nudo a letto, col fiato che si condensava così tanto che le nuvolette sembravano brillare nel buio. «Oooh!» avevo esclamato soddisfatto: la stanza sembrava un frigorifero e io mi ero messo a fischiettare “Sulla strada” , pensando «ai venti che vanno verso Nord». Dopo cinque minuti sudavo come in un bagno turco… Così avevo pressato il piumone nell’armadio, avevo chiuso la finestra, rimesso le coperte normali e, sconfitto, ero finalmente riuscito ad addormentarmi.
La mattina dopo mi ero svegliato con un raffreddore perfetto e un mal di testa feroce. Per questo ero rimasto in camera, senza seguire gli altri a lezione. Avevo acceso la radio per sentire un po’ di musica, guardando le cime degli alberi spolverate di neve. Invece c’era il giornale radio che apriva con la notizia della morte di Paolo Di Nella…
Se c’è un nome a cui associare la fine della stagione più avvelenata degli anni di piombo è proprio quello di Paolo Di Nella. Perché è stato lui l’ultimo ragazzo ucciso da avversari politici. Paolo era un ragazzo del Fronte della gioventù di zona mia. Lo conoscevo solo di vista, perché frequentava l’Avogadro, un liceo scientifico al centro del quartiere Coppedè… avete presente il film “Inferno”? Dario Argento aveva localizzato la biblioteca dell’alchimista in una piazza bellissima, frutto del genio visionario di un architetto d’inizio Novecento: be’, l’Avogadro sta in quella piazza, chiusa tra i Parioli e il Trieste-Salario. Zona mia, dicevo, ma non perché ci abitavo… il fatto è che lì ci andavo a scuola la mattina e a far danni il pomeriggio.
Una sera, verso mezzanotte, Paolo stava attaccando manifesti scritti col pennarello (diconsi tatzebao), che chiedevano la ristrutturazione di un parco abbandonato, Villa Chigi. C’era lui che attacchinava e una ragazza che l’aspettava in macchina, quando dal buio erano sbucati fuori due compagni che lo avevano preso a sprangate in testa ed erano scappati. Paolo si era rialzato, si era sciacquato il sangue a una fontanella, poi era tornato a casa per mettersi a letto, sperando che un buon sonno lo rimettesse su. Aveva “dormito” due settimane. Ma non si era più svegliato.
Alla sua morte, in ospedale si era presentato l’antifascistissimo presidente Pertini e molti ragazzi del Fronte gli avevano voltato le spalle. La visita del presidente della Repubblica era stata salutata dai giornalisti come «un grande atto di pacificazione»… Non un dovere, ma un atto di pacificazione. Come se un ragazzo di destra fosse stato un nemico da onorare. E noi, ingenui, che credevamo di stare a casa nostra…
Esuli in Patria, ci ha chiamati qualcuno qualche tempo fa. Appunto.
E così il ricordo di “Sulla strada”, canzone in teoria tra le più spensierate della musica alternativa, è rimasto legato all’annuncio della sua morte ascoltato alla radio…
Dieci anni dopo, lo studio di Agraria aveva lasciato campo libero al lavoro al quale evidentemente le Tre Vecchie mi avevano destinato: racconti per vivere e articoli per campare. Era il decennale della morte di Paolo, e a Roma i suoi amici avevano organizzato al Teatro Castello una serata per ricordarlo. Erano state due ore di canzoni e parole… “Note ribelli”, come annunciava il manifesto, alternate a letture che raccontavano gli anni di lotta durante i quali quelle canzoni erano nate. E durante i quali, insieme a Paolo, tanti ragazzi avevano sognato, avevano combattuto per quel sogno. E per quel sogno erano morti. Dieci anni dopo… in piedi tra le rovine di Tangentopoli… si cercava di capire quanto di quel sogno era ancora vivo e quanto si era trasformato in un incubo.
A un certo punto, sul palco buio, un “occhio di bue” aveva illuminato una ragazza che teneva in mano alcuni fogli… Nel silenzio aveva cominciato a leggere… Il primo era un articolo di due giorni prima, scritto da Vittorio Feltri, che denunciava la necessità di ricostruire un’Italia devastata dalla corruzione. Poi aveva letto il secondo… ormai ingiallito dal tempo… Diceva le stesse cose, ma era datato marzo 1980. Io e Marcello, seduto accanto a me, ci eravamo guardati: quel giornale lo avevamo distribuito nelle piazze e davanti alle scuole… le avevamo scritte noi, quelle parole, prima del cataclisma che aveva sprofondato Atlantide. Il giornale era Terza Posizione. E i naufraghi eravamo noi. Mi era venuta la pelle d’oca… Io sono uno dalla lacrima facile e piango pure guardando “Anna dai capelli rossi”… Ma per noi, per i nostri amici lasciati sulla strada, per i nostri errori, per le nostre piccole battaglie e per i nostri grandi sogni non ero mai riuscito a versare una sola lacrima. E invece adesso singhiozzavo, mentre le luci sul palco si spegnevano di nuovo, e dal buio gli Hyperborea attaccavano “Sulla strada”…
«Strade d’Europa, stanchi, sporchi ma felici…».
Dice: una canzone spensierata… Meno male.
(Tratto da “Noi – Canzoni d’amore per la lotta e di lotta per l’amore”)
@barbadilloit
Gabriele Marconi

Gabriele Marconi

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Tags: gabriele marconipaolo di nellastrade d'europa

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