«Si può amare nel modo più tenero la propria patria,
la propria città, il proprio campanile:
sentir la nostalgia di quel paesaggio,
di quelle strade, di quelle case:
come Socrate, vantarsi di non essere mai usciti da Atene;
e con ciò non si è regionalisti»
[da Benedetto Croce, Regionalismo in Letteratura, 1908]
Parafrasando alcune mie considerazioni espresse in un articolo pubblicato nel 2000 in un volume collettaneo sulla forma breve novecentesca e le scritture ironiche [DE CUSATIS, 2000], è fuor di dubbio come in Brasile il racconto, oltre a essere una delle forme letterarie predilette dai suoi massimi scrittori otto e novecenteschi (si pensi, solo per citare i nomi internazionalmente più noti, a Machado de Assis, Mário de Andrade, Graciliano Ramos, Guimarães Rosa, Clarice Lispector), rappresenti la cifra autentica del narratore brasiliano. Alimentandosi, nelle parole di Luciana Stegagno Picchio,
«da un lato di un filone popolare che gli fornisce la matrice simbolica, l’intento moralistico, la malizia dell’exemplum; e dall’altro di un’imitazione europea, francese soprattutto, che trova il suo respiro nel “folhetim” d’appendice, nella mezza pagina di giornale da riempire quotidianamente» [STEGAGNO PICCHIO, 1997: 495].
Con riferimento agli autori di racconti del nostro tempo, questi appartengono a due macro-categorie. Abbiamo scrittori i cui elementi stilistici e tematici sono rimasti essenzialmente ancorati alla tradizione letteraria nazionale e scrittori che sono riusciti a introdurre nella letteratura brasiliana una sicura ventata di modernità – dal punto di vista sia tematico, a volte ricorrendo anche a toni forti, sia stilistico, con una rapidità e concisione tipiche dei modelli anglosassoni e nordamericani (Virginia Woolf, James Joyce, William Faulkner). Questi ultimi sono, in genere, autori di racconti brevi o brevissimi (micro-racconti), in cui il quotidiano s’accompagna non di rado alla memoria, a volte persino al sogno e all’immaginario, e le cui storie si esauriscono nell’arco di poche pagine, quando non proprio di poche righe.
La letteratura brasiliana possiede un’altra importante peculiarità, quella del “regionalismo”, che affonda le proprie radici nella seconda metà del secolo XIX, in epoca romantica, e più precisamente nell’opera del cearense José de Alencar, con i suoi romanzi appunto regionalisti, quali O gaúcho (1870) e O sertanejo (1875). È, tuttavia, nel corso del secolo successivo che tale peculiarità letteraria assumerà grande rilievo, a tal punto da poter affermare che la maggioranza delle grandi opere narrative del Novecento brasiliano sono regionaliste: da Menino de engenho (1932), romanzo d’esordio del paraibano José Lins do Rego, a Vidas secas (1938) dell’alagoano Graciliano Ramos; dalla trilogia di O tempo e o vento (O continente, 1949; O retrato, 1951; O arquipélago, 1961) del rio-grandense-do-sul Érico Veríssimo, ai numerosi romanzi di quel «fecondo narratore di storie regionali», nella definizione del critico Alfredo Bosi, e più nello specifico baianas, che è stato Jorge Amado [cfr. BOSI, s. d.: 457]; fino agli insuperabili libri di racconti (quali Sagarana, 1946, e Primeiras estórias, 1962) e al romanzo-capolavoro Grande sertão: veredas (1956) dell’artista-demiurgo João Guimarães Rosa, opere tutte ambientate nel sertão dello Stato del Minas Gerais.
Ebbene, la cifra narrativa dello scrittore gaúcho, ossia, del Rio Grande do Sul, Sergio Faraco si caratterizza per riunire in sé tali peculiarità della letteratura brasiliana: il “racconto breve” e il “regionalismo”. E nonostante sia un autore, per indole e scelta di vita, abbastanza isolato, schivo di lodi e onori, disinteressato e non avvezzo a frequentare accademie e circoli culturali, nonché, di conseguenza, ad autopromuoversi, è riuscito egualmente a raggiungere, grazie ai suoi “soli” meriti letterari, la notorietà: il più importante scrittore di racconti gaúcho e uno dei più elogiati dalla critica brasiliana (1). Tali sue “dimensioni” sono attestate dai vari premi e riconoscimenti ottenuti a livello nazionale: nel 1988, per A dama do Bar Nevada, l’União Brasileira de Escritores gli assegna il “Prêmio Galeão Coutinho” quale autore del miglior volume di racconti pubblicato nel 1987; nel 1999, l’Academia Brasileira de Letras gli conferisce il “Prêmio Nacional de Ficção” per l’antologia Dançar tango em Porto Alegre, ritenuta la migliore opera narrativa editata nel 1998; nel 2000, il racconto Idolatria è incluso nell’antologia Os cem melhores contos brasileiros do século [cfr. MORICONI, 2000]; nel 2008, il racconto Majestic Hotel è classificato fra i migliori racconti dell’intera America Latina [cfr. COSTA, 2008]; nel 2009, il racconto Guerras greco-pérsicas appare nel volume antologico Os melhores contos brasileiros de todos os tempos [cfr. IDEM, 2009].
Anche se Sergio Faraco in alcuni racconti utilizza un linguaggio più “universalizzato”, non ricorrendo all’uso di espressioni regionali, è certo che a livello linguistico la sua narrativa breve s’identifica – e questo fin dal 1968, con la pubblicazione dei suoi primi racconti nelle pagine letterarie («Caderno de Sábado») del quotidiano porto-alegrense «Correio do Povo» – nell’adozione di una terminologia e di costrutti tipicamente rio-grandenses-do-sul, quando non proprio, a volte, fronteiriços, ossia, d’influenza spagnola, per situarsi Alegrete, la sua città natale, nella zona di frontiera che separa lo Stato del Rio Grande do Sul dall’Argentina e dall’Uruguay. Tale identità linguistica, un amalgama particolarissimo di portoghese del Brasile, di regionalismi e di forestierismi dallo spagnolo – non nel significato di calco o prestito, ma in quello di condizione ereditata e vissuta naturalmente – conferisce estrema plasticità ai racconti di Sergio Faraco. Una plasticità che gli consente di fuggire tanto la ripetitività, stilistica e formale, quanto la monotonia tematica cui sono soggetti molti narratori contemporanei, brasiliani e non, e di diversificare così le sue “storie”.
Oltretutto, anche se il termine “regionalismo” è utilizzato a volte, e non solo in ambito letterario, con un’accezione limitativa – e questo in particolare da chi reputa che l’eccessivo interesse o amore per la propria regione comporti perdita di sensibilità nei confronti di problemi e interessi nazionali o anche internazionali – ciò non vale con riferimento agli scrittori regionalisti brasiliani di peso e, conseguentemente, anche con riferimento a Sergio Faraco. Difatti, se s’eccettuano i racconti prettamente “di frontiera”, riuniti nel volume Noite de matar um homem [cfr. FARACO, 2008] e che s’incentrano sulla quotidianità della vita rurale nel cosiddetto pampa gaúcho – narrata per il tramite di dialoghi serrati e uno stile conciso e colloquiale, col ricorso a un diffuso “ibridismo” linguistico, elemento che potrebbe comportare dei limiti spaziali – la maggioranza delle sue narrazioni brevi ritraggono o le prime esperienze di vita degli adolescenti o il (sotto)mondo urbano. Tutte narrazioni, queste ultime, che sono sì ambientate nel Rio Grande do Sul, ma potrebbero esserlo anche in altri Stati brasiliani e persino fuori del Brasile, poiché “storie” universali, in termini tanto tematici quanto di valori. Rappresentativa di tali narrazioni è la raccolta bilingue da me curata per la casa editrice Morlacchi di Perugia [cfr. FARACO, 2014] e che include diciotto “storie”, estrapolate dal volume Contos completos [cfr. IDEM, 2011], più nello specifico dalla seconda e dalla terza parte [cfr. IBID.: 105-347], quelle che riportano, rispettivamente, i racconti «giovanili» e i racconti «urbani», nella definizione dello stesso Sergio Faraco [cfr. VASQUES, 2007].
I primi dieci racconti, tutti narrati in prima persona tranne tre, hanno come protagonisti gli adolescenti, d’appartenenza sociale diversificata, ritratti nei loro approcci col mondo circostante: ora avvolti in un’atmosfera d’incanto (La lingua del cane cinese, S’era fatto giorno, Majestic Hotel), ora immersi in un erotismo dolce e innocente (Una casa in riva al fiume, Guerre greco-persiane), ora in condizioni esistenziali e psicologiche particolari, quando non proprio dolorose (Idolatria, Un altro brindisi per Alice, Quattro forestieri al ruscello, Non piangere papà, Il cappellino con pompon) [cfr. FARACO, 2014: 2-85].
I restanti otto racconti, di cui sette scritti in terza persona e solo uno in prima persona, sono “quadri di vita” in una grande città. Trattasi, più specificamente – ma solo perché è la città in cui risiede e vive l’Autore – di Porto Alegre, la capitale del Rio Grande do Sul, con un agglomerato urbano che oltrepassa i 4 milioni di abitanti. I protagonisti di tali “storie”, uomini e donne, sono ritratti magistralmente, con dovizie di particolari comportamentali, tanto nelle loro (grandi) amarezze, avversità, frustrazioni, fallimenti e stenti, quanto nelle loro (piccole) conquiste, contentezze e soddisfazioni. E possono essere catalogati sulla base di tre tipologie sociali: gli appartenenti alla piccola e media borghesia (L’era del silicio, Danubio Blu, Il silenzio, Tributo), i proletari (La bicicletta, Un sogno distante, Un giorno di gloria) e i diseredati (Alba) [cfr. IBID.: 86-157].
In conclusione, siamo di fronte a un meraviglioso “affresco”, in chiaroscuro, della società contemporanea, e rio-grandense-do-sul in particolare, estremamente realistico, che Sergio Faraco traccia con “pennellate” a volte forti, date con senso critico, altre volte lievi, date con trasporto solidale e amorevole insieme. Il tutto grazie a un suo profondo vissuto, a un suo particolare coinvolgimento emotivo e, non ultimo, al supporto di una solidissima tecnica narrativa e una meticolosità – cui s’accompagna un’«autocritica feroce», nelle parole dello scrittore porto-alegrense, e suo amico, Luiz Antonio de Assis Brasil – che lo porta a rileggere e riscrivere un racconto durante lungo tempo prima di darlo per concluso. Ecco quel che lo stesso Sergio Faraco, nel corso di una delle poche interviste da lui rilasciate, ha avuto modo di rispondere alla domanda fattagli dall’intervistatore circa le modalità del nascere di un racconto e del quando lo consideri pronto per essere pubblicato:
«Le idee possono sorgere da un’emozione, da un’esperienza personale o di altri, da un fatto di cui vengo a conoscenza, da qualcosa che penso e d’immediato scopro che può essere trasformato in una narrazione, insomma, da molti e diversi motivi. E non è difficile capire il momento in cui il racconto è concluso, quantomeno nel mio caso. Lo lavoro lentamente, a volte durante anni, e lo ritengo pronto allorquando, secondo me, esso riproduce, al meglio delle possibilità e delle circostanze, il sentimento che m’ha portato a scriverlo» [rip. in VASQUES, 2007].
Note
(1) Sergio Faraco nasce nel 1940 ad Alegrete, nello Stato del Rio Grande do Sul – Brasile, anche se la sua città d’adozione è Porto Alegre, la capitale dello Stato, dove passa a vivere in pianta stabile nel 1971.
Ha diciannove anni allorquando, sempre nella capitale rio-grandense-do-sul, s’impiega nell’amministrazione pubblica federale (Justiça do Trabalho).
Di grande impatto sul suo vissuto giovanile sono gli anni fra il 1963 e il 1965, trascorsi nell’ex Unione Sovietica, dove frequenta, a Mosca, l’Istituto Internazionale di Scienze Sociali. Nel 1964, per aver espresso pubblicamente la sua contrarietà riguardo alle restrizioni comportamentali imposte dai responsabili dell’Istituto, è internato per tre mesi nel reparto psichiatrico dell’Ospedale del Cremlino: narrerà tale esperienza in uno dei suoi libri più importanti, Lágrimas na chuva: uma aventura na URSS, uscito in prima edizione nel 2002. Rientrato in Brasile, a causa della sua permanenza in Unione Sovietica è arrestato dall’Interpol e imprigionato per un brevissimo periodo: è a partire da questa esperienza, secondo quanto riferito dallo stesso scrittore, che le sue convinzioni politiche si moderano e passano in secondo piano. Più tardi, nel 1980, si laurea in Diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Instituto Ritter dos Reis di Canoas, città situata nell’area metropolitana di Porto Alegre.
Nel frattempo, ha già avuto il suo debutto letterario con la pubblicazione di vari racconti. La narrativa breve diviene il suo genere prediletto, editando negli anni diversi libri, poi riuniti, nel 1995, in una corposa raccolta, Contos completos, di cui uscirà una seconda (2004) e una terza edizione (2011), entrambe ampliate [cfr. FARACO, 2011].
I suoi racconti sono stati pubblicati in diversi Paesi, Italia inclusa, con un’antologia curata da chi scrive (cfr. IDEM, 2014). Inoltre, tre di essi sono stati trasposti in film: Travessia (2002), A dama do Bar Nevada (2005) e Um aceno na garoa (2006).
Brillante e fecondo cronachista fin dal 1990, anno in cui edita il suo primo libro di cronache, a partire dal febbraio del 2003 inizia a pubblicarle quindicinalmente nel «Segundo Caderno» del quotidiano «Zero Hora», il più importante del Rio Grande do Sul. In ordine di tempo, l’ultimo libro di cronache pubblicato ha per titolo As Noivas Fantasmas & outros casos (L&PM Editores, Porto Alegre 2021).
Rilevante è la sua attività sia di traduttore, più che altro di scrittori sudamericani, con trenta e passa libri pubblicati a partire dal 1982, sia di saggista, soprattutto con alcune opere polemiche sulla storia del Brasile.
Numerosissime sono anche le sue curatele, fra cui si distaccano quelle di cinque libri dedicati ai più bei versi scritti da poeti brasiliani e portoghesi, una selezione dei quali è pubblicata, nel 2009, in un unico volume con il titolo Livro dos poemas.
Da quanto qui esposto in estrema sintesi sulla sua produzione letteraria si evince l’importanza e la grandezza di Sergio Faraco, il che giustifica ampiamente tanto l’assegnazione dei due prestigiosissimi premi nazionali (il Prêmio Galeão Coutinho dell’União Brasileira de Escritores, nel 1988, e il Prêmio Nacional de Ficção dell’Academia Brasileira de Letras, nel 1999), già precedentemente menzionati nel testo, quanto i tantissimi premi ricevuti in ambito regionale.
Bibliografia di riferimento
– BOSI, Alfredo, s. d. História concisa da literatura brasileira. Editora Cultrix, São Paulo (3.a edição, 15.a tiragem).
– COSTA, Flávio Moreira da (organizador), 2008. Os melhores contos da América Latina. Editora Agir, Rio de Janeiro.
– COSTA, Flávio Moreira da (organizador), 2009. Os melhores contos brasileiros de todos os tempos. Editora Nova Fronteira, Rio de Janeiro.
– De Cusatis, Brunello, 2000. Ironia e ruolo femminile nel racconto breve di Helena Parente Cunha. In La forma breve nella cultura del Novecento. Scritture ironiche, a cura di Monique Streiff Moretti et al., Edizioni Scientifiche Italiane / Università degli Studi di Perugia, Perugia 2000: 343-349.
– FARACO, Sergio, 2008 (2a edição ampliada). Noite de matar um homem. Contos de fronteira. Ilustrações de Eduardo Oliveira. L&PM Editores, Porto Alegre [1a ed.ne: Mercado Aberto, Porto Alegre 1986]– FARACO, Sergio, 2011. Contos completos, 3a. edição incluindo 4 contos inéditos. L&PM Editores, Porto Alegre [1a ed.ne: L&PM Editores, Porto Alegre 1995].
– FARACO, Sergio, 2014. Racconti, antologia bilingue, presentazione, selezione e traduzione di Brunello Natale De Cusatis. Morlacchi Editore, Perugia.
– MORICONI, Italo (organizador), 2000. Os cem melhores contos brasileiros do século. Editora Objetiva, Rio de Janeiro.
– STEGAGNO PICCHIO, Luciana, 1997. Storia della letteratura brasiliana, Einaudi, Torino.
– VASQUES, Marco, 2007. http:www.sergiofaraco.com.br/entrevista.htm [Diálogos com a literatura brasileira. Editora da UFSC / Editora Movimento, Florianópolis: vol. 2].
[Questo articolo è una versione rielaborata e aggiornata della mia Presentazione al volume: Sergio Faraco, Racconti, antologia bilingue, presentazione, selezione e traduzione di Brunello Natale De Cusatis (pp. ix-xx) – pubblicato in prima edizione nel 2014 da Morlacchi Editore di Perugia, più precisamente nella Collana da me diretta “Letteratura luso-afro-brasiliana” (n. 6), che si caratterizza per presentare sempre, a fronte della traduzione italiana, il testo originale in portoghese]