Si leggono in questi giorni alcune note sparse qua e là su FB o sul web, in genere, dedicate a supposti riferimenti al Natale presenti nella Divina Commedia: risultano interpretazioni molto personali, forzature, fraintendimenti, che esprimono spesso solo una certa doctrina, accompagnata da presunto acume interpretativo. Di cui bisognerebbe disfarsi nel momento in cui si legge un’opera fortemente legata al suo tempo ed alla mentalità in esso corrente quale il poema dantesco.
Dante non conosce il Natale per come lo aveva inaugurato san Francesco, allestendo il primo presepe nel 1223 a Greccio. Poco più di settant’anni prima della stesura della Commedia, insomma. Gli è ignoto il Natale della mangiatoia, del bue e dell’asinello, degli umili stupiti ed increduli. Cioè, la Natività come culto popolare diffuso. Per cui i riferimenti che il sommo Poeta indirizza a San Nicolò, al parto della Vergine, alla venuta di Cristo sulla terra, di cui si parla nelle discettazioni seminate quest’oggi sul web, vanno, invece, considerati nel loro valore simbolico.
Se Dante ricorda il miracolo di San Nicolò (da Myra, per lui, e non da Bari), che diede la dote a tre ragazze indigenti, non vuole certo anticipare la leggenda di Santa Klaus né quella ad essa correlata di Babbo Natale e dei suoi doni, entrambe molto recenti e diffuse nel mondo grazie all’imponente apparato pubblicitario statunitense (la Coca Cola, in primis).
Per Dante, inoltre, il parto della Vergine Maria è un evento storico, che non ha bisogno di rappresentazioni più o meno scenografiche per essere compreso nel suo valore simbolico e nella sua prerogativa di svolta epocale per l’umanità. E la venuta di Cristo sulla terra è l’arrivo del Salvatore, che, agli occhi di un uomo medievale come l’Alighieri, può anche non avere avuto un’infanzia da bambino prodigio ma fondamentale è che abbia svolto il suo ruolo per riscattare l’umanità tutta con la sua morte. Infatti, non si dimentichi che la religiosità medievale non attribuisce molta importanza ad un evento come la nascita, sia pure di un santo, perché, interpretando pedissequamente il pensiero teologico cristiano, le preferisce la morte, che è il momento di passaggio verso la vera vita dell’anima, quella eterna. Tant’è che il calendario nostrano festeggia ancora solo il giorno della morte del santo o del beato (unico santo celebrato nel giorno della sua nascita è Giovanni il Battista). Insomma, l’unica grande festa cristiana che Dante conosce e celebra è la Pasqua, periodo nel quale, del resto, ambienta il suo viaggio ultraterreno, non il Natale. Ciò detto per amore di chiarezza nei confronti della Commedia e del suo Autore, giungano graditi gli auguri più sinceri di serenità.