Gli studi apparsi negli ultimi trent’anni su Domenico Laffi (1) hanno richiamato l’attenzione di studiosi e cultori di letteratura odeporica su colui che Paolo Caucci von Saucken reputa, in materia di pellegrinaggio jacopeo soprattutto, «il pellegrino italiano, senza dubbio, più conosciuto» [CAUCCI VON SAUCKEN, 1992: 246].
Tale affermazione si giustifica pienamente alla luce, non solo dei tre pellegrinaggi che il sacerdote bolognese compì a Santiago di Compostella (1666, 1670, 1673) e da cui trasse l’oramai famosa relazione Viaggio in Ponente [cfr. LAFFI, 1681], ma anche dei viaggi a Gerusalemme (1678) e a Lisbona (1687), egualmente da lui riferiti [cfr. IDEM, 1683 e 1691].
A Laffi, forse più che a chiunque altro pellegrino italiano del passato, ben si addice l’appellativo di homo peregrinans, nell’accezione propria di colui che viaggia all’estero, considerato che, a quelli religiosi e devozionali, univa interessi dettatigli – scrive – «da naturale inclinatione, da genio piegantemi alla curiosità di vedere cose nuove» [IDEM, 1691: 18]. Duplice natura, quindi, quella di viaggiatore e quella di pellegrino, che, associata alle indubbie capacità di scrittore e attento osservatore – come attestano le sue accurate descrizioni sia di luoghi sacri, sia di città e Paesi – fa di Laffi un vero maestro nell’arte della narrazione odeporica.
La relazione del viaggio a Lisbona, di grande interesse, al pari delle altre, quanto all’aspetto sia religioso-devozionale che storico-culturale, fu pubblicata nel 1691, a Bologna, con il titolo: Viaggio da Padova a Lisbona: dalla Tomba alla culla è un lungo passo. Viaggio da Padova ove morse il Glorioso S. Antonio a Lisbona ove nacque.
Nel presentare l’opera al «cortese lettore», Laffi illustra sia i motivi del viaggio sia il fine propostosi nel darne un resoconto:
«Io per satisfare alle curiosità discrete e indiscrete di tutti, dirò con mera verità d’haver fatto questo viaggio non so se spinto più da naturale inclinatione, da genio piegantemi alla curiosità di vedere cose nuove, o da spirito di pietà verso il glorioso S. Antonio di Padova; mi portai a quella città per adorare, in quelle sacre ceneri, vivi semi d’eternità, e raccogliere copiosa messe di grazie, e col favore del Cielo restorono sì consolate le mie speranze che allettato dal godimento risolsi, se havevo veduto la tomba, di trasferirmi pure a Lisbona a venerarne la culla […]. Tornato poi sano e salvo alla patria, e pascendomi l’imaginatione, col dolce pensamento d’haver felicemente trascorso tante celebri provincie, vedute e ammirate tante famose città, castelli, monti, fiumi e mari, imparate le costumanze di varij popoli, osservato tanti prodigij dell’arte humana e della gratia divina, mi stimai in obbligo di spenderne un succinto racconto sì per piacere a chi gode di simil lettura, come anche per piacere a chi si sentisse mosso da divotione ad intraprendere simil peregrinaggio. Ciò ho fatto con quello stile che ad una semplice narrazione mi è parso più acconcio» [IBID.: 18-20].
Parole significative che, in qualche modo, sconfessano le considerazioni avanzate dal biografo Giovanni Fantuzzi, allorquando, a proposito dei viaggi del sacerdote bolognese, asserisce che furono descritti e pubblicati «col gusto di un credulo, e devoto pellegrino» [FANTUZZI, 1781-1794: 3].
È fuor di dubbio che in Domenico Laffi quello devozionale sia lo stimolo prioritario. Non è l’unico tuttavia, evidenziando difatti i suoi scritti una portata ben più composita in motivazioni e aneliti, anche cognitivi, del viaggio. Quanto poi al «credulo», se lo si volesse intendere nell’accezione corrente di ingenuo, dico subito che probabilmente in pochi altri autori di resoconti di pellegrinaggio del passato – religiosi o laici che fossero – ritroviamo le qualità professionali di Laffi, il quale si sforza sempre di riportare quel che ha visto, letto o solo udito, in maniera critica, non di rado distaccata, e senza alcun tipo di condizionamento, se non quello di una virtù teologale quale è la fede. Pure quando riferisce sugli eventi miracolosi, si dà cura di citarne le fonti, siano esse bibliografiche o solo di appartenenza al patrimonio tradizionale.
In sostanza, allorquando ritiene che la propria esperienza diretta potrebbe essere insufficiente ad avvalorare, di fronte al lettore, quel che riferisce, ecco allora Laffi ricorrere alle fonti, con una preoccupazione – oserei dire – quasi ossessiva, se si tiene conto, ad esempio, che in questa relazione del suo viaggio a Lisbona sono citati oltre sessanta autori, fra i quali molti biografi, storici e geografi.
Il suo stile, fluido e conciso a un tempo, ma non per questo del tutto privo di preziosismi lessicali, unito a una non comune, per l’epoca, molteplicità di interessi e conoscenze, fanno di Domenico Laffi un uomo molto colto. A volte, riferisce delle inesattezze, che sono, però, irrilevanti, per essere più che altro di natura geografica, raramente storica, desunte da manuali storico-geografici già di per sé spesso affetti da dati inesatti. Nel descrivere, tuttavia, quel che di persona ha visto e ammirato, è preciso al massimo, è un osservatore attento.
Altra particolarità interessante del modo di esporre di Laffi è quella di arricchire la narrazione di tutta una serie di annotazioni e considerazioni concernenti sia i costumi, le tradizioni e la natura (geografica, vegetale e animale) dei luoghi visitati, sia le difficoltà incontrate lungo il cammino, soffermandosi, a volte, su episodi curiosi, cui ha assistito o che ha vissuto in prima persona.
Il volume (384 pp.) si compone di quindici capitoli, corrispondenti ai percorsi principali, contenendo l’ultimo capitolo (Viaggio da Siviglia a Lisbona) anche l’intero viaggio di ritorno – dettagliato quello da Lisbona a Santiago di Compostella, riassunto in poche pagine quello da Santiago di Compostella a Bologna.
Laffi parte da Bologna il 24 maggio 1687. Lo accompagna Giuseppe (o Gioseffo) Liparini, frate minore conventuale, già suo compagno di pellegrinaggio a Santiago di Compostella nel 1673.
Passando per Bagno di Piano, Ferrara, Rovigo, Monselice, giunge a Padova il 30 maggio. Da Padova, il giorno successivo, dopo aver venerato il corpo di sant’ Antonio e celebrata con «gran soddisfattione» [LAFFI, 1691: 109] la messa, inizia il suo cammino a ritroso, appunto quello «dalla tomba alla culla», della vita del Santo portoghese. All’andata principalmente, seguirà un itinerario che coinciderà solo in parte con i precedenti in terra ispanica, sia perché diversi lo scopo e la meta, sia perché animato da quello spirito di conoscere e vedere cose nuove tipico di ogni buon viaggiatore.
Visitate lungo il percorso le città di Mantova, Cremona, Piacenza, Pavia, Asti e altri centri minori, giunge, il 15 giugno, a Torino. Da qui, invece di proseguire, passando per il Monginevro, per la cosiddetta via delle Alpi già da lui in precedenza percorsa, scende per Cuneo, per poi travalicare le Alpi a Tenda, e seguitare per Nizza e Antibes.
A questo punto della narrazione, mentre è in corso la descrizione di Antibes – per l’esattezza a pagina 167, all’inizio del capitolo VII (Viaggio da Nizza a Marsiglia) –, scopriamo non esserci soluzione di continuità, in termini di esposizione dei fatti, fra questa pagina e quella successiva, nonostante la numerazione progressiva delle pagine sia inalterata. Viene così a mancare, a causa certamente di un errore in fase di composizione e stampa, l’intero percorso da Antibes a Tarascona, parte del quale avrebbe dovuto trovare posto nel capitolo VIII (Viaggio da Marsiglia a Barcellona), regolarmente riportato nell’indice del volume. Una supposizione abbastanza plausibile è quella che Laffi passi per Aix-en-Provence e Arles prima di giungere a Tarascona (2).
Attraversato il Rodano, prosegue per Nimes, Montpellier, Narbona, Perpignano, e da qui, travalicati a Fort-de-Bellegarde i Pirenei, per Gerona e Barcellona, dove giunge il 15 luglio. Di questo percorso tralascia i particolari, dato che quei luoghi, afferma, erano già stati in precedenza da lui descritti nella relazione del Viaggio in Ponente [cfr. IDEM, 1981: 85-96 e 417-426].
Partito da Barcellona il 19 luglio, per un cammino non sempre in linea – con saliscendi e deviazioni allo scopo di visitare centri urbani e, in particolare, località religiose, fra cui alcuni santuari mariani – prende la direzione per Siviglia.
Fino a Cordova il percorso corrisponde quasi in toto a quello miscelato e descritto nel Viaggio in Ponente [cfr. IBID.: 362-379 e 416-417] (3), eccetto i due tratti Collbató-Tarragona, passando per Montserrat, e Tarragona-Tortosa, passando per Valls, Montblanc, Poblet.
Il 25 luglio, giorno di san Giacomo, Laffi è a Tarragona, «facendosi gran festa per tutti quelli paesi» [LAFFI, 1691: 199]. Da devoto dell’Apostolo, per l’occasione celebra la messa, probabilmente nel convento dei frati minori, dove aveva trascorso la notte [IBID.].
Ripreso il viaggio, prosegue per Tortosa, Villareal de los Infantes, Sagunto, Masamagrell, Valenza (4). Lasciata il 10 agosto Valenza, sempre lungo un cammino, come detto, già da lui in precedenza percorso, seguita per Catarroja, Alcira, Játiva, Yecla, Caravaca, Huéscar, Baza, Guadix, Granata. Il capitolo XII, quello corrispondente al tratto Caravaca Granata, si conclude con un brano (alquanto significativo in termini di devozione e iconografia jacopee) in cui Laffi, ricorrendo a Juan Eusebio Nierernberg e a Silvestro Pietrasanta, due autori fra i più citati nelle sue relazioni, accoglie e configura – considerato che fra le righe viene fuori l’immagine equestre di san Giacomo, con il cavallo bianco («piedi da ca vallo») e le armi del guerriero («spade», «lanzie», «altri arnesi militari») – il tema dell’Apostolo Matamoros:
«Nella campagna qui presso Granata, dove seguì la memorabile vittoria dei Spagnuoli, contro i Mori, mediante la protettione di S. Giacomo Apostolo, che fu l’anno 1055 al tempo di Fernando I, vi nascono pietre con figure di spade, di lanzie, di piedi da cavallo, e altri arnesi militari, e nella rupe medesima che sovrasta a detta campagna si vede l’imagine di S. Giacomo Apostolo fatta dalla natura» [IBID.: 260].
Da Granata, passando per Alcalá la Real, Baena, Castro del Río, giunge a Cordova, da dove, ripartito il 30 agosto, seguendo il corso del Guadalquivir per Palma del Río, Lora del Río e Alcolea del Río, giunge, il 3 settembre, a Siviglia.
Dopo una sosta di due giorni, il 5 settembre riprende il cammino. Lasciate l’Andalusia e l’Estremadura spagnola, entra, da Paymogo, in Portogallo, direzione Lisbona, passando per Aldeia Nova de São Bento, Alcácer do Sal, Setúbal, Moita. Il 16 settembre, al termine di un lungo viaggio durato quasi quattro mesi, Laffi giunge finalmente alla tanto sospirata «culla» di sant’ Antonio.
Note
(1) Di Domenico Laffi si hanno scarsissime notizie. Riferisce il biografo bolognese Giovanni Fantuzzi che era un sacerdote, figlio di Antonio, nato a Vedegheto, piccolo paese di montagna, poco distante da Bologna, il 3 agosto 1636 [cfr. FANTUZZI, 1781-1794: 3]. Sia il luogo sia la data di nascita di Domenico Laffi sono testimoniati dal fatto che il suo nome compare, appunto alla data 3 agosto 1636, nel registro battesimale (Baptizorum Liber Primis, 1566-1816, vol. I, p. 13) della chiesa parrocchiale di Vedegheto, dedicata a san Cristoforo.
(2) Suggestiva è la spiegazione data dallo scrittore bolognese sull’origine del toponimo Tarascona, che proverrebbe dal nome di un «dragone», Tarasco per l’appunto, che imperversava nelle acque del Rodano, minacciando da presso la popolazione. Si è soliti ricollegare questa leggenda – originariamente patrimonio del solo immaginario popolare, e ancora oggi molto viva in tutta la Provenza (la si ritrova pure nella letteratura provenzale; ad esempio, in Mistral, in uno dei suoi poemi meno famosi, Le poème du Rhône) – alla vita di santa Marta, la quale col segno della croce e l’acqua benedetta sarebbe riuscita a catturare il drago, finendo così per tradursi l’atto in una metafora dell’evangelizzazione. Questo spiegherebbe, come afferma lo stesso Laffi nel descrivere la statua del duomo di Tarascona, il perché nell’iconografia cristiana la Santa sia rappresentata con l’aspersorio in mano e un «dragone» ai suoi piedi [cfr. LAFFI, 1691: 168-171].
(3) Ricordo che a seguire la prima edizione, quella del 1673, in cui sono miscelati i primi due viaggi (quelli del 1666 e del 1670), le altre edizioni sarebbero state rivedute e ampliate, visto che, nel frattempo, Laffi si era recato per la terza volta (1673) in pellegrinaggio a Santiago.
(4) Di certo, quelle su Valenza sono fra le pagine più interessanti e suggestive dell’intero resoconto laffiano. Non solo per il loro valore religiosodevozionale, ma anche perché in esse sono nominate e, a volte, descritte costruzioni, civili e religiose, parzialmente o del tutto scomparse, quali: il palazzo reale (o meglio, in castigliano, Palacio del Real e non Palacio Real, pur essendo stato dimora dei sovrani di Valenza; e questo perché real è termine improprio derivato dal valenziano real, poi raal, che vuol dire arrabal, sobborgo in italiano), demolito dagli abitanti della città nel 1808, durante la guerra d’Indipendenza; il primitivo palazzo, in stile gotico, della sede arcivescovile, che era, secondo Laffi, «il più magnifico della città»; l’antico convento di Sant’Agostino, di cui oggi resta la sola chiesa, con la celebre tavola bizantina di Santa María de Gracia, «tenuta in gran veneratione da tutta la Spagna, honorata in varij tempi di ricche entrate da diversi principi e signori spagnuoli» (Laffi ne racconta la leggendaria origine); il convento agostiniano di Santa Tecla – demolito nel 1868, immediatamente dopo la rivoluzione di settembre – con «il santo Cristo miracoloso [… ] molto venerato da popoli, è sempre vi è gran concorso di gente» (anche di questo crocifisso, che faceva «gran miracoli ai suoi devoti», è narrata la storia). Inoltre, non poteva certamente mancare la descrizione della cattedrale e del reliquario donato da san Lorenzo, in cui, afferma Laffi, fra i tanti oggetti sacri, si conservano: il Santo Calice dell’Ultima Cena, che «non è d’argento, come hanno detto alcuni, ma è d’agata orientale cornerina, come io l’ho veduto coi proprij occhi, e toccato con le mie mani»; il pettine e una camicia della Beata Vergine; un braccio di san Luca; un dente di san Cristoforo; la tunica inconsutile di Cristo, alcune spine della sua Corona, un dipinto a chiaroscuro del suo volto eseguito da san Luca, «cosa bella da vedere», due denari d’argento di Giuda e alcuni frammenti della Santa Croce [cfr. IBID.: 216-230].
[Continua]
Bibliografia di riferimento
– CAUCCI VON SAUCKEN, Paolo G., 1992. La via lusitana en los relatos de los peregrinos italianos. In Actas del Congreso internacional dos caminhos portugueses de Santiago de Compostela.Lisboa: 245-259.
– COUTINHO, P. Ribeiro, 1687. Jornada de la Reyna de Portugal y fiestas que en el viaje se le hicieron hasta llegar a la corte de Lisboa. – Entrada del Embaxador, Conde de Villar-Mayor; Manuel Tellez de Silva, en la Corte de Heldemberg. – Fiestas que se celebraron en Lisboa desde 11 de Agosto hasta 25 de Octubre. Madrid [cit. in FARINELLI, 1942, 1944, 1979: II, 188].
– DE CUSATIS, Brunello, 1988. Introduzione, in LAFFI, 1988: 3-29.
– DE CUSATIS, Brunello, 1998. O Portugal de Seiscentos na «Viagem de Pádua a Lisboa» de Domenico Laffi. Estudo Crítico. Editorial Presença, Lisboa.
– DE CUSATIS, Brunello, 1999. Tra Italia e Portogallo. Studi storico-culturali e letterari. Antonio Pellicani Editore, Roma.
– FANTUZZI, Giovanni, 1781-1794. Notizie degli Scrittori Bolognesi raccolte da Giovanni Fantuzzi. Stamperia di San Tommaso d’Aquino, Bologna, 9 tomi: V.
– FARINELLI, Arturo, 1942, 1944, 1979. Viajes por España y Portugal. Desde la Edad Media hasta el siglo XX. Nuevas y antiguas divagaciones bibliogrcificas, 4 tomi [tomi I e II: Reale Accademia d’Italia, Roma 1942; tomo III: Accademia d’Italia, Firenze 1944; tomo IV (postumo): Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1979].
– LAFFI, Domenico, 1681. Viaggio in Ponente à S. Giacomo di Galitia, e Finisterrae, di D. Domenico Laffi Bolognese. Aggiuntovi molte curiosità, doppo il suo terzo viaggio à quelle Parti. Con Tavola de’ Capitoli, e cose più notabili, Terza Impressione, in Bologna, per gl’Eredi del Pisarri [1a ed.: Giovan Battista Ferroni, Bologna 1673; 2a ed.: Antonio Pisarri, Bologna 1676 (ristampa: Eredi del Pisarri, Bologna 1681); 4a ed.: Ferdinando Pisarri, Bologna 1726].
– LAFFI, Domenico, 1683. Viaggio in Levante al Santo sepolcro di N.S.G. Christo, et altri luoghi di Terra Santa di D. Domenico Laffi Bolognese, in Bologna, per gl’Eredi d’Antonio Pisarri (2a ed.: Costantino Pisarri, Bologna 1738).
– LAFFI, Domenico, 1691. Viaggio da Padova a Lisbona: dalla Tomba alla Culla è un lungo passo. Viaggio da Padova ove morse il Glorioso S. Antonio a Lisbona ove nacque, di D. Domenico Laffi Bolognese, in Bologna, per gl’Eredi d’ Antonio Pisarri.
– LAFFI, Domenico, 1988. «Viaggio da Padova a Lisbona». Itinerario portoghese. Edizione critica, introduzione e note di Brunello De Cusatis, E.S.I., Napoli.
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– SILVA, J. H. Pais da, 1983. Páginas de História da Arte. [A cura di] F. A. Baptista Pereira. Imprensa Universitária / Editoria Estampa, Lisboa, 2 voll. (1983 e 1986): I.