Alle prime note fa ondulare la testa e schioccare le dita; poi spinge a tamburellare i piedi, roteare i polsi, dimenare le gambe, accompagnando nel vivo della danza anche i più statici, i più lontani da questo pezzo di Puglia. E’ la pizzica salentina, che ha incoronato Melpignano (comune della provincia di Lecce che conta poco più di 2mila anime, ma solo quando le fisarmoniche e i tamburelli tacciono) capitale della musica popolare di massa. La pizzica è il corpo vibrante della “Notte della Taranta”, evento in grado di far perdere la testa ad assi dello spessore di Mauro Pagani, Goran Bregovic, Ludovico Einaudi, Franco Battiato, grazie a chi ha avuto l’intuizione di aprire la musica popolare salentina alla contaminazione col folk di altra provenienza, il pop, il rock, lo ska, perfino la formazione jazzistica di alcuni dei suoi protagonisti. L’esito del mix è un crescendo di presenze che va dai 5mila spettatori del 1998 (prima edizione, “sperimentale”) ai circa 150mila “tarantolati” dello scorso 24 agosto. Non più un appuntamento musicale, non solo almeno, ma un fenomeno di costume, “di tendenza”, con un appeal mediatico dirompente.
Tutto questo si deve ad amministratori e animatori culturali “di sinistra”, guidati dalla volontà di riportare in auge la pizzica (pressoché dimenticata sul territorio fino alla fine degli anni Novanta, quando scocca la scintilla melpignanese) senza approcci nostalgici, incrostati. L’etichetta ideologica dei padri fondatori della “Notte” non è un modo, misero, di ricondurre ogni manifestazione del creato a una parrocchia politica, come è malcostume costante in questo Paese; è, al contrario, l’ammissione di evanescenza dell’area politico-culturale che, per cromosomi, dovrebbe custodire e rivitalizzare la Tradizione: la “destra”; rappresenta la certificazione della resa di un mondo di fronte al vitalismo dell’avversario, quella sinistra cui appartiene meritoriamente questa “Notte della Taranta”.
Si dirà: “la maggioranza silenziosa, ovvero certa cultura borghese, non promuove concerti, festival itineranti, fondazioni di respiro popolare, grigliate di strada”. E’ questo l’adagio con cui la destra italiana, ancor più dalla sua berlusconizzazione (volgarizzazione), si autoassolve quando le viene chiesta ragione della morte culturale che ha scelto di infliggersi. Se è vero che è difficile immaginare un liberale gobettiano alle prese col rispolvero della pizzica e i virtuosismi di Bregovic, è del tutto falso che la smania dell’allora sindaco di Melpignano Sergio Blasi (oggi segretario regionale del PD) non si confaccia alle corde degli eredi della scuola missina, e a chiunque – prescindendo da identificazioni partitiche – si riconosca nei miti della cultura “non conforme”.
La sinistra ha effettuato un’operazione eccellente: la Tradizione non è parte del suo dna, ma la battaglia contro la “globalizzazione” sì; per lo meno, il metodo con il quale – su vasta scala – si è appropriata della questione del contrasto all’omologazione economica e culturale, l’ha applicato – su un ordine di grandezza infinitamente più piccolo – al patrimonio musicale salentino. Semplicemente. Chapeau.
Il progressismo scaltro ha fatto dimenticare la vocazione internazionalista che le scorre nelle vene, per accreditarsi come titolare naturale della difesa della tradizione del territorio, in quanto “modesta e indifesa”, in opposizione al moloch liberal-liberista che tutto ingurgita, forte e rapace com’è.
Non a caso la “Notte della Taranta“ ha determinato la consacrazione politica di due dei suoi architetti principali: Sergio Blasi, appunto, colui che è diventato capo regionale di un grande partito, di una grande regione, partendo da un paese di 2mila cristiani; e Massimo Bray, presidente della Fondazione omonima dall’agosto 2010 fino al 27 aprile scorso, quando è stato nominato ministro dei Beni culturali (era in Treccani d’accordo, ma Melpignano è stato il propellente decisivo per il decollo).
La sinistra porta la pizzica nell’eden dei fenomeni culturali di popolo, travestendosi e facendosi in quattro per non apparire abbigliata con divise che non la riguardano; la destra non danza, non progetta, non guarda oltre la mutanda.