C’è Osborne e Osborne, quello che ci interessa non è il noto drammaturgo, “l’arrabbiato” John Osborne di Look back in anger, ma Lawrence Osborne, un “esplosivo” e ingombrante scrittore inglese itinerante -è alto due metri, stazza conseguente-. Il “nostro” è riuscito a sottrarsi al fascino della Toscana dove cercava di far funzionare un frantoio dirigendosi verso l’altrove. Rifiuta l’etichetta di scrittore di viaggi. Le sue opere, apprezzate dalla critica, sono monopolizzate in Italia da Adelphi. Rammenta le epiche bevute con Roberto Calasso, così come la sua casa editrice, “unica al mondo” -dall’intervista di Michele Masneri su Il Foglio del 18-7-. Si fa prima a dire dove non ha soggiornato, forse al polo nord o nell’Africa nera. Parafrasando il Vate che affermava: “Il Verso è tutto,” per Osborne “ll Viaggio è tutto.”
Corrispondente del New York Times Magazine e collaboratore di The New Yorker, Harper’s, Financial Times e Newsweek, su altre pubblicazioni innumerevoli gli articoli di scienza, medicina, viaggi e costume. “Dovevo pur mantenermi!” spiega. The Guardian lo definisce “il nuovo Graham Greene”, anche se, pur apprezzando Greene, non ne comprende il motivo. Lawrence Osborne è l’autore di sette romanzi acclamati dalla critica, tra cui The Forgiven (ora film di successo con Ralph Fiennes e Jessica Chastain; il commento di Larushka Ivan-Zadeh sulla pellicola: “Ralph Fiennes e Jessica Chastain eccellono nei panni di una ricca coppia sposata che litiga per uscire da Tangeri in questo dramma/thriller audacemente oscuro.” Scrive Osborne: “Da tempo desideravo congedarmi dal Pianeta Turismo, per trovare uno di quei posti che ogni tanto compaiono nelle pagine centrali dei giornali delle città lontane, in cui -ci dicono- un pazzo solitario ha scoperto che ha perso ogni contatto con il mondo moderno. Sembra inevitabile che un giorno questo desiderio venga elencato nel Manuale diagnostico e statistico dell’Associazione psichiatrica americana come Sindrome di Robinson Crusoe.”
Da l’intervista “Il mondo di Lawrence Osborne” di Paolo Pecere, del 12-10-2021 su il tascabile: Osborne afferma: “Gli occidentali moderni che si trascinano intorno al globo sono tutto sommato un branco di sfigati. Paradossalmente hanno meno interesse per le culture che attraversano di tanti ufficiali coloniali di centocinquant’anni fa. Questo perché il trasporto aereo e la migrazione di massa hanno cambiato tutto. Oggi chiunque vive dappertutto, le vecchie restrizioni sono dissolte. L’assoluta stranezza di questo fenomeno non è considerata. La nostra ossessione per la politica dell’identità e per l’“autenticità” non ha senso oggi, e infatti suonano bizzarramente datate e nevrotiche.”
Dalla recensione di Nicola Vacca su Cacciatori nel buio apparsa su Senzaudio.it il 23-10-2017:
“Quando uno scrittore sa spiazzarmi con la sua prosa crudele, allora mi accorgo di essere davanti a un libro che difficilmente dimenticherò. È il caso di Cacciatori nel buio, il primo romanzo tradotto in Italia di Lawrence Osborne. Questo libro, in un certo senso contiene tutti i libri di viaggio che Osborne ha scritto. Quando lo scrittore fa il grande salto nel romanzo costruisce una tela e una tensione narrativa che difficilmente lascerà i lettori indifferenti. Robert, un insegnante inglese, si avventura in Estremo Oriente con tutte le inquietudini di occidentale in cerca di se stesso. Dopo aver vinto una somma consistente in un casinò sul confine tra Thailandia e Cambogia decide di restare in quest’ultimo paese e diventa un barang, ovvero uno dei tanti nomadi occidentali che cacciano nel buio alla ricerca impossibile di una felicità inesistente. Nella Cambogia sopravvissuta alla rivoluzione dei Khmer Rossi, il giovane insegnante nella sua deriva esistenziale incontra strani personaggi. A questo punto Osborne innesca nella trama una serie di ordigni crudeli e spietati che caratterizzano tutto l’intreccio, inchiodando il lettore alle pagine del suo libro. Il romanzo è intrappolato in una serie di reazioni a catena che hanno a che fare con la ricerca della felicità di Robert, in fuga dal grigiore occidentale della sua patria senza aver paura del salto nel buio che lo porta in una Cambogia in cui il confine tra bene e male e tra lecito e illecito è davvero inesistente…Quella di Lawrence Osborne è una scrittura che mira a creare suggestioni forti. Cacciatori nel buio è una critica mirata al mondo occidentale. L’autore stesso lo dice: “Un mondo in fuga e il potere si stanno spostando verso est e l’occidentale fugge, perché si sente spiazzato. E non ho dimenticato che, come dice Chatwin, “l’uomo è un animale migratorio”. È egli stesso un cacciatore che non smette di cercare nel buio la felicità. Perché deve esserci un momento nel quale inizia la felicità, un momento preciso e reale. Ma Robert e Lawrence Osborne sanno che non è così facile essere felici”.
Non potevo farti venire invano l’acquolina, ecco dunque un assaggio della sua prosa: “(…) Ricordò che sotto le finestre c’erano fazzoletti di giungla, alberi fiamma obliqui accanto ai magazzini del tabacco in rovina, immoti dall’occupazione giapponese. Dal burrascoso canale Saen Saeb nelle vicinanze si alzò un mormorio sommesso: i primi traghetti pendolari smossero l’acqua nera. Era sola tra le mosche, e la luna svettava ancora tra i grattacieli biancastri di Bangkok…” da: Il regno di vetro.
E da: La ballata di un piccolo giocatore: “(…) Mancava poco alle sei e ordinai una bottiglia di champagne per accompagnare le uova. Ne bevvi mezza, quindi mi vestii per rituffarmi nella mischia, anche se non al Lisboa. Provavo un odio freddo e stabile verso il mondo e verso me stesso mentre camminavo sulla moquette del corridoio con cinquecentomila dollari in una valigetta…”
Non so davvero dirti se Osborne giungerà a condividere l’esortazione di Gneo Pompeo: “Navigare necesse est, vivere non est necesse.” Visto che da 10 anni stanzia a Bangkok, sopportandone il mefitico caldo umido e altre amenità.